Colonie elioterapiche

LE COLONIE ELIOTERAPICHE

L’elioterapia si basa sull’azione benefica del sole che viene sfruttata a scopi terapeutici. Dal sole si sprigiona una enorme quantità di energia e l’esposizione al sole se condotta con cautela e gradualità apporta benefici all’organismo umano. Il sole ha un effetto antisettico, già intuito da Lazzaro Spallanzani, stimola la produzione di insulina e la circolazione sanguigna. Ha effetti benefici sull’emopoiesi e soprattutto combatte il rachitismo, stimolando l’azione della vitamina D. Fu così che per combattere il rachitismo e fortificare la gioventù il regime fascista, facendo tesoro di una lunga storia di impianti termali elioterapici e centri di talassoterapia in Italia e nel Mediterraneo, impiantò nei luoghi più adatti alla villeggiatura, le colonie per i bagni di sole che come scrisse un giornale dell’epoca “mireranno…con alta e nobile gara d’intendimenti a curare le gravi sciagure umane e a far sempre più forte e più valida la nostra razza”.

Una delle colonie solari lungo la Secchia sorse nel 1926 a Motta di Cavezzo ad opera del Comitato carpigiano fascista chiamato appunto “Colonia solare”, costituitosi nel 1925. Nel primo anno di attività la colonia mantenne con un personale di quattro insegnanti ed una direttrice, 61 bambini per 47 giorni di apertura con una spesa di 4,70 lire al giorno per bambino. Le entrate provenivano degli enti e dai   privati che la sovvenzionavano, mentre a fine anno la colonia si ritrovò un patrimonio in lenzuola, sdrai e suppellettili di 9000 lire.

Dal giornale “Il falco” del 13 febbraio 1927, in un articolo a firma dei membri del comitato così si poteva leggere: “Il Duce ha detto: – nel 1927, non meno di 100.000 fanciulli in mezzo ai campi, al mare e sui monti! – e la nostra colonia solare fascista di nascita ha bene inteso l’appello che gira subito a Carpi Fascista perché risponda davvero con generosità per i santi scopi che un comitato cittadino, senza idee di monopolio di preminenze individualistiche o di tornaconto, si prefigge perseguire…”

Il 31 luglio 1927 il quotidiano “Il falco” così scriveva: “Tutto procede ottimamente colaggiù presso il Secchia. I nostri bimbi, mentre vanno progressivamente colorandosi sotto l’azione benedetta di quei raggi, che il sole – lo ministro maggiore della natura – profonde, ora, generosamente sulla terra a beneficio di noi egri mortali, vanno pure acquistando tanto in salute. I membri e i medici del comitato, che vanno alternando le loro capatine alla colonia, ne ritraggono sempre di volta in volta migliore impressione; e i parenti, che vi hanno visitato i loro cari, parlano tutti con entusiasmo della perfetta organizzazione dell’istituzione e, compresi ormai anch’essi dell’importanza delle cure lodano poi anche il trattamento alimentare sano e sostanzioso. Poiché – non de solo pane vivitur homo – così non di solo sole e di aria purissima necessita il fanciullo; ma dell’uno e dell’altro fattore: ottima refezione, unita a saluberrima sede elioterapica. La società carpigiana contribuiva generosamente al buon funzionamento della colnia, con elargizioni in denaro e regali agli ospiti come quello della ditta Facchini che donò cinquanta cappelli di paglia.

 

Nel 1942 riaprì la colonia di San Martino Secchia “Superando tutte le difficoltà del momento – così scriveva “Il falco” del 5 luglio 1942 – per l’interessamento del comando GIL di Carpi e con l’appoggio del Comando Federale si è riaperta il primo luglio la colonia elioterapica di S. Martino Secchia che ospita 140 bimbi appartenenti a famiglie numerose o di combattenti. I bimbi sono stati radunati alle 8.30 alla Casa del Fascio ove sono stati presi in consegna dai dirigenti della GIL ed avviati a mezzo di autocorriere a S. Martino Secchia iniziando subito la loro festosa e proficua permanenza.” Il 23 giugno del 1942 le alte gerarchie fasciste, salutavano a Carpi 900 fanciulli che partivano per le colonie elioterapiche.

 

Tiziano Uber Siligardi di Rubiera ricorda che negli anni ‘30 i bambini di Rubiera che frequentavano le scuole elementari venivano portati nel periodo estivo alla colonia elioterapica lungo la Secchia, nella zona, vicina al ponte della ferrovia chiamata da allora in poi La colonia. Nel periodo estivo le maestre delle scuole radunavano i bambini davanti al Forte, sede del Fascio e li conducevano di buon ora allo stabilimento. Il regime fascista scandiva con regole precise la permanenza dei bimbi all’interno della colonia: alla mattina si arrivava in Secchia e si facevano dei giochi all’aperto, lungo la riva del fiume, poi si pranzava e ci si riposava. Al pomeriggio, poi, si prendeva il sole sulle sedie a sdraio e si faceva una merenda. La sera quando si rincasava tutti insieme, la maestra Boilini, simpatizzante del regime, si divertiva a far cantare ai bambini, passando in via Emilia, sotto le finestre della parrocchia di Rubiera delle canzoni garibaldine che il Fascismo aveva riciclato e che inneggiavano alla grandezza imperiale della patria ed alla romanità. Il concertino canoro riusciva particolarmente sgradito al curato Don Guidetti, cattolico antifascista, che fermava la marcia sulla via Emilia, davanti alla canonica, per protestare ed invitare il gruppo a proseguire sulla propria strada celermente ed in silenzio. A Rubiera la presenza della colonia era sentita come un’importante servizio pubblico per i bambini ed era supportata dalla società dell’epoca con donazioni in denaro ed il lavoro di volontari. Carlo Prampolini, l’uomo più ricco della Rubiera degli anni ‘20 sovvenzionava la colonia tramite elargizioni in denaro, che consentivano di provvedere al pranzo di molti bambini ospiti. Non era raro il caso di maestre che lavoravano nello stabilimento senza percepire alcun compenso.

 

Graziano Siligardi, medico di Rubiera, così ricorda l’esperienza delle colonie: “Finite le scuole, forse alla fine di giugno i nostri genitori facevano domanda al Comune di Rubiera per chiedere la nostra ammissione alla colonia elioterapica di Secchia. Non so con quale criterio scegliessero i fanciulli, ma in genere erano ammessi tutti. Ricordo che il primo giorno di villeggiatura ci radunavano nella sede del Fascio di Rubiera che occupava i locali dell’ala nord – est del Forte. Al pianterreno c’era un salone lungo, dentro cui venivamo, per prima cosa, tosati a zero. I giorni seguenti ci vestivano con un grembiulino ed un cappello, una sorta di divisa e così raggruppati in squadre ed affidati alle maestre delle scuole elementari, partivamo a passo di marcia verso il fiume. Questo generalmente alle otto del mattino. Percorsa la via Emilia centro ed usciti da Rubiera, scendevamo l’argine a sinistra del ponte stradale, passavamo sotto il ponte della ferrovia e dopo un po’ arrivavamo in un punto chiamato “gorgone”, a causa della presenza in quel punto di un gorgo piuttosto pericoloso, che si formava a ridosso di un promontorio. Era una polla d’acqua sorgiva che più di una volta aveva provocato delle vittime tra chi si bagnava in quel punto. La colonia situata su quella lingua di terra che si spingeva dentro il fiume era costituita da alcuni edifici, alcuni in muratura altri fatti di strutture mobili, come tendoni. Mi ricordo che quella sotto cui si mangiava era costituita da un muro da cui scendeva lo spiovente di un   telone verde. Appena arrivati si faceva colazione, poi c’era il momento dell’educazione fascista, durante il quale ci insegnavano canzoncine inneggianti alla guerra o a Mussolini: Nel giorno del compleanno del Duce ci facevano cantare: “…il ventisei di luglio è nato un bel bambino…” oppure canti di guerra come “Vincere e vinceremo”, “Il balilla”, “Giovinezza” o come “… partono i sommergibili rapidi e invisibili: parte il siluro dritto e scuro, schianta e sconvolge il mar…” oppure ancora come La saga di Giarabub “…colonnello, non darci il pane, dacci il fuoco del tuo moschetto…” ed in questo fummo accontentati perché, in periodo di guerra anche noi bambini   delle colonie avemmo il pane razionato. Il pranzo non era eccezionale, una minestra e molta verdura, certe insalate di verza enormi e non molto gradite dai giovani commensali. Sempre meglio però dell’olio di merluzzo, che per essere mandato giù doveva essere addolcito da una fetta d’arancia, sennò dava il voltastomaco. Giocavamo all’aperto e questo ci fortificava, poiché spesso i bambini di allora soffrivano di rachitismo, perché si viveva in case umide e buie. Alla colonia c’erano degli sdrai sui quali prendevamo il sole, a torso nudo e senza creme protettive di sorta. Porto ancora i segni di una scottatura sulla schiena presa a quei tempi. Al pomeriggio c’era ancora un po’ d’indottrinamento all’etica fascista, ma si giocava anche e si faceva ginnastica tutti insieme. Alle 17.30 ci si preparava per il ritorno al Forte. Ricordo che anche le maestre marciavano con passo militare. A volte ci faceva visita qualche gerarca fascista ed allora eravamo obbligati ad inneggiare al Duce. Naturalmente come tutti i giovani ci divertivamo a dissacrare e a disubbidire, così invece di urlare “Duce! Duce!” gridavamo “Du uciée! Du uciée!”, ossia “Due occhiali! Due occhiali!”. Nelle occasioni importanti, invece della canottiera e del solito grembiulino, ci vestivano da balilla, tutti neri col fez in testa. Sopra il cappello c’era uno stemma color dell’oro con un’aquila e con incise le lettere O.N.B. ossia Opera Nazionale Balilla, che noi avevamo riformulato come “Ochi, Nader e Barbagian”, ossia “Oche, Anatre e Barbagianni”. Ricordo quando il Duce fu deposto dal Gran Consiglio del Fascismo, eravamo in colonia ed entrarono due o tre ragazzi di 16 o 17 anni, presero il suo ritratto, appeso al muro del refettorio assieme a quello del re e della regina e lo ruppero in terra gridando “Libertà! Libertà!”.

Alla fine della guerra, per aiutare i fanciulli di Rubiera a dimenticare la paura e per dare loro la possibilità di riprendere una vita normale, fatta di giochi all’aria aperta e di svago, su iniziativa delle donne e dell’Amministrazione comunale, venne riaperta, stavolta a destra del ponte, la colonia elioterapica di Secchia. Lella Barani, partigiana e prima donna ad essere eletta nel Consiglio comunale di Rubiera così ricorda[1]: “Io ero responsabile delle donne comuniste. Rimettemmo a posto la colonia elioterapica in Secchia, fatta durante il fascismo e smantellata in tempo di guerra. Si trattava soprattutto di raccogliervi i bambini per dar loro da mangiare. Gli facevamo le tagliatelle di sfoglia. Fummo noi comuniste a cominciare, poi si aggregarono anche le donne cattoliche e operavamo insieme”. Il ripristino della colonia ed il vitto per i bambini costò al Comune 347000 lire e fu una delle voci più consistenti del bilancio comunale del 1945.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

LE COLONIE ELIOTERAPICHE

 

L’elioterapia si basa sull’azione benefica del sole che viene sfruttata a scopi terapeutici. Dal sole si sprigiona una enorme quantità di energia, e l’esposizione al sole se condotta con cautela e gradualità apporta benefici all’organismo umano. Fu così che per combattere il rachitismo e fortificare la gioventù il regime fascista, facendo tesoro di una lunga storia di impianti termali elioterapici e centri di talassoterapia in Italia e nel Mediterraneo, impiantò nei luoghi più adatti alla villeggiatura, le colonie per i bagni di sole che come scrisse un giornale dell’epoca “mireranno…con alta e nobile gara d’intendimenti a curare le gravi sciagure umane e a far sempre più forte e più valida la nostra razza”.

Il 31 luglio 1927 il quotidiano “Il falco” così scriveva: “Tutto procede ottimamente colaggiù presso il Secchia. I nostri bimbi, mentre vanno progressivamente colorandosi sotto l’azione benedetta di quei raggi, che il sole – lo ministro maggiore della natura – profonde, ora, generosamente sulla terra a beneficio di noi egri mortali, vanno pure acquistando tanto in salute. I membri e i medici del comitato, che vanno alternando le loro capatine alla colonia, ne ritraggono sempre di volta in volta migliore impressione; e i parenti, che vi hanno visitato i loro cari, parlano tutti con entusiasmo della perfetta organizzazione dell’istituzione e, compresi ormai anch’essi dell’importanza delle cure lodano poi anche il trattamento alimentare sano e sostanzioso”.

[1] Testimonianza tratta da “L’ova luneina. Storia di Rubiera dal 1800 al 1946” di Antonio Zambonelli, Edizioni del Comune di Rubiera, 1982.