DELLA TERRA E CASTELLO DI RUBIERA”
ADDI 29 Feb. 1888: “MEMORIE STORICHE DI RUBIERA RACCOLTE DAL FU DR. RODOLFO ROMOLI”
(Consegnate oggi a questo Comune dal Dr. Pietro Barbieri, con lettera accompagnatoria in data 28/2/1888-agli atti al n°265)
(TRASCRITTE A CURA DEL SIG. SILIGARDI P.I. TIZIANO)
ANNO 1998/1999
Ai miei nipoti, Mattia, Elena, Martina, Margherita e Gloria.
“Herberia oppidulum in Agro Regiensi … si nobiltate, vetustate litteris, arte militari magnis oppitis conferenda non est, at non cedit aeris salubritate, non cedit loci amenitate, non incolarum probitate”
Urceus Epist. ad Eug. Mengum
(Rubiera Borgo in terra Reggiana … così celebre, per antica letteratura, per la inespugnabile piazzaforte di grande arte militare, ma al contrario non lo è per l’aria salubre, non lo è per essere luogo ameno, non lo è per essere dimora d’onestà)
“Nescire quid antea quam natus sis acciderit, id est semper esse puerum”
Cicero ……
(Non sapere che cosa sia accaduto prima di essere nati, dopo e come rimanere sempre bambini
DELLA TERRA E CASTELLO DI RUBIERA”
ADDI 29 Feb. 1888: “MEMORIE STORICHE DI RUBIERA RACCOLTE DAL FU DR. RODOLFO ROMOLI”
(Consegnate oggi a questo Comune dal Dr. Pietro Barbieri, con lettera accompagnatoria in data 28/2/1888-agli atti al n°265)
(TRASCRITTE A CURA DEL SIG. SILIGARDI P.I. TIZIANO)
ANNO 1998/1999
NOTE DEL TRASCRITTORE. *
ALLA COMUNITÀ DI RUBIERA. *
INDICE DELLE MATERIE PRINCIPALI COMPONENTI LA STORIA DELLA TERRA E CASTELLO DI RUBIERA E ILLUSTRAZIONE DEL LAVORO. *
NOTIZIE STORICHE DI RUBIERA DAL SEC. IX AL XIX *
FRAMMENTI DEL 1100 *
RUBIERA PRIMA DEL 1200 *
Molino e canale *
ANNO 1200 *
FRAMMENTI DELL’ANNO 1300 *
FRAMMENTI DEL 1400 *
CENNI STORICI SUL 1500 o SECOLO XVI *
CENNI STORICI SUL 1600 o SECOLO XVII *
SECOLO XVIII. 1700 al 1800. *
LE TRUPPE NAPOLETANE A RUBIERA NEL 1815. *
SECOLO XVIIII 1800-1860 *
Estensi Duchi di Modena. *
MEMORIE *
La Municipalità di Rubiera con dispaccio del 21 Luglio 1805 scriveva a mezzo del Cancelliere Distrettuale al Sig. Prefetto del Panaro. *
CAPI DI ACCUSA *
BREVE ANALISI DEL PROCESSO CRIMINALE RIGUARDANTE I FATTI DEL 19 FEBRAJO 1848. *
STUDI PER I PITTORI E SCULTORI *
LETTERA PER LA RICHIESTA DI NOTIZIE STORICHE AD UN AMICO DI REGGIO (pare fosse un impiegato comunale) *
SE PER FAR FRONTE A UNA SPESA SI ABBIA DA RICORRERE AD UNA IMPOSTA NUOVA O AD UN PROFITTO. *
Sui fabbricati. *
Sul mandato degli elettori. *
Sulle riunioni dei consigli. *
DEL GOVERNO POLITICO–MILITARE DI RUBIERA. *
DEL GOVERNO DELLA COMUNITÁ DI RUBIERA. *
DEGLI ORDINAMENTI AMMINISTRATIVI DEL COMUNE DI RUBIERA *
1612-Ordini riformati per il Consiglio della Communità di Rubiera. *
Dei Reggenti attivi della Comunità. *
1601 – Lettera della Comunità al Duca per l’estinzione di un debito contratto dalla Comunità stessa. *
1604 – Suppliche della Comunità al Duca di Modena. *
SULLA CIRCOSCRIZIONE DI RUBIERA. *
Dello stacco di Marmirolo dalla Comunità di Rubiera. *
DISTRETTUAZIONE COMUNALE DI RUBIERA. *
DAGLI ATTI DEL COMUNE DI RUBIERA. *
DAGLI ATTI DELLA COMUNITÀ DI MODENA *
MEMORIE SULLA COMUNITÀ DI RUBIERA. *
(Delibera di cessazione della dipendenza di Rubiera dal Comune di Modena fatta dai cittadini più riconosciuti del Paese all’atto della fine del Ducato di Modena nel 1859.) *
Lettera di accompagnamento della delibera suscritta. *
A SUA ECCELLENZA IL GOVERNATORE DELLE PROVINCIE MODENESI *
A SUA ECCELLENZA IL GOVERNATORE DELLE PROVINCIE MODENESI *
A SUA ECCELLENZA IL GOVERNATORE DELLE PROVINCIE MODENESI *
A SUA ECCELLENZA IL GOVERNATORE DELLE PROVINCIE MODENESI *
Memorie di circostanza. *
DOCUMENTI ORIGINALI ALLEGATI ALLE MEMORIE. *
Capitulum concessum per quondam Ill.mum Marchiones Nicolaum Estenses – Anno 1423 in libro 114. *
Lettere di Borso d’Este sulle regole per incassare “Colte” da Massari che hanno terminato il loro “ufficio” dopo il 1462. *
Lettera di Borso d’Este a sconosciuto su una lite fra il Comune di Rubiera e alcuni cittadini per le “graneze” di questa terra. *
Lettera del Giudice (di Rubiera) Mignani al Commissario Cittadino Garrau per chiedere lumi sulla forma di Governo da instaurare in Rubiera. *
Lettera di risposta del Commissario Cittadino Garrau al Mignani. *
Modo di estinguere li debiti di Conto Publico di Rubbiera senza nessuno aggravio. *
Regola da tenere per più facilmente accudire al vantaggio, et isparmio di questo publico di Rubiera, cioè *
Dichiaratione delle cause, e dell’autorità del Governatore di Rubiera e del modo da tenersi tra lui e la Comunità. *
Stato di popolazione della sezione di Rubiera nel 1859. *
RACCOLTA DI DOCUMENTI CONCERNENTI IL CASTELLO E LA COMMUNITÀ DI RUBIERA, CON INDICAZIONE DEI FONTI DA CUI SONO DERIVATI. *
Dal volume – Ercole II Capit. Comunit. Registrum 1523 ad 1545 – Della Collezione Vol XIX° *
1a– Pretensione *
2a – Pretensione *
3a – Pretensione *
4a – Pretensione *
5a – Pretensione *
6a– Pretensione *
DA UNA SENTENZA DI PAOLO TORRICELLI GIUDICE DEI DAZI E MASSARO GENERALE DELLA CITTÀ DISTRETTO E DUCATO DI REGGIO SI RACCOGLIE. *
COPIA DELLE INFRASCRITTE COSE LE QUALI È RITRATTO DI LATINO IN VULGARE – MCCCCXXIII DIE VIII DECEMBRIS *
Del pagamento dele cose se vendono in grosso, quanto pagare si debbia. *
De Taverneri ed altre persone che vendono vino al mercato quanto debbiano pagare. *
Delli Beccari e quanto debbano pagare delle bestie che si vendono alla Beccheria. *
Del pagamento delle cose che si cavano dal territorio di Rubiera e quanto si debbia pagare. *
Del pagamento delle cose che si conducono per lo Territorio di Rubiera cioè per transito quanto si dee da pagare. *
LETTERE VARIE *
DECRETA COITALIS HERBERIE SUPER DATIIS ET GABELLIS. *
HERBERIENSIS TESTAMENTI *
LA ROCCA DI RUBIERA. *
Il Rivellino distrutto. *
Memorie sulle porte del Castello di Rubiera. *
Delle Prigioni del Castello di Rubiera. *
ANNOTAZIONI SULLE PRIGIONI. *
Trasformazione della Prigione a piè di torre del Comune. *
Estratto della sentenza del Tribunale Statatrio Straordinario, residente in Rubiera per giudicare i rei di Lesa Maestà e di associazione a sette. *
STORIE DI PRIGIONIERI ILLUSTRI. *
Prigionia di Pietro Pariati Poeta Reggiano. *
Della prigionia della Marchesa Frescobaldi di Firenze, maritata col Conte Parisetti di Reggio. *
Del Conte Fulvio Testi di Modena. *
Prigionia del Conte Tommaso Sacrati Governatore dell’Ospizio de Pellegrini. *
Della prigionia e morte del Conte Ippolito Lodovico Carrandini. – 1687. *
Composizione di I.L. Carrandini, scritte a colore nero sul muro a Legno della Carcere che da lui prese il nome di “Carandina”. *
Prigionia di Vincenzi Giacomo di Campo Santo – 1708 *
Prigionia e Morte di Don Andreoli Giuseppe di S.Possidonio. *
Un po’ di Storia di Vincenzo Mignani (Presidente della Commissione Stataria che condannò D.n Andreoli) *
ANTICA CHIESA PARROCCHIALE TRASFORMATA IN CIVILE ABITAZIONE *
DELLA COLLEGIATA DEI CANONICI E DELLA NUOVA CHIESA *
ONERI DEL COMUNE *
DISTRETTO DELLO STATO ATTIVO *
CONSORZIO DI RUBIERA E COLLEGIATA *
Stato attivo del distretto di Rubiera *
STATO ATTIVO DEL DISTRETTO DI RUBIERA *
Legati Spettanti Alla Confraternita Della SS.ma Annunziata Di Rubiera *
LEGATI ATTINENTI ALLA CONFRATERNITA DEL SS.mo SACRAMENTO DI RUBIERA *
LEGATI ATTINENTI ALLA CONFRATERNITA DEL SS.mo SACRAMENTO E ROSARIO DI FONTANA *
LEGATI ATTINENTI ALLA COMPAGNIA DEL SANTO ROSARIO DI CACCIOLA *
LEGATI ATTINENTI ALLA CONFRATERNITA DI BAGNO *
COLLEGIATA DI CANONICI *
Beni Di Ragione Del Consorzio Di Rubiera *
STATO ATTIVO DELLA COLLEGIATA DEI CANONICI *
DEL CONSORZIO PRESBITERIALE DI S.DONNINO E BIAGIO *
RELIQUIE DI SANTA CONCORDIA PATRONA DI RUBIERA *
Delle Reliquie del Corpo di S.ta Concordia Patrona e Tutrice di Rubiera. *
Del Corpo Di Santa Concordia *
CONFRATERNITA E ORATORIO DELLA SS. ANNUNZIATA IN RUBIERA *
Della Confraternita E Oratorio Della SS.ma Annunziata *
Nome Dei Confratelli Della SS. Annunziata Nel 1722 *
CHIESA PARROCCHIALE DI FONTANA FUORI DI RUBIERA *
Memorie Sulla Chiesa Parrocchiale di Fontana *
Memorie Sulla Chiesa Di Fontana *
CHIESA E CONVENTO DEI MINORI CONVENTUALI FUORI DI RUBIERA *
Del Convento Dei Minori Conventuali di Rubiera *
Memorie Concernenti La Chiesa e Convento Dei Minori Conventuali Di Rubiera *
STATO DEI BENI DEL CONVENTO DEI RR. PP. MINORI CONVENTUALI DI S. FRANCESCO PRESSO RUBIERA *
DELL’OSPEDALE DI S. ANTONIO *
STATO ATTIVO PASSIVO DEI PP. CONVENTUALI DI RUBIERA ALL’ATTO DELLA SOPPRESSIONE DI QUEL CONVENTO *
AFFITTI DI TERRA *
BENI *
CONTI ATTIVI *
LIVELLI ATTIVI *
STATO PASSIVO *
PADRI CONVENTUALI DI RUBIERA *
DELL’OSPEDALE E CHIESA DI S.MARIA DETTA DI CO’ DI PONTE *
DELL’OSPEDALE DI S.MARIA DI CO’ DI PONTE IN RUBIERA *
Essendo arrivato (purtroppo per me) all’età della pensione ed avendo cercato di sfruttare l’enorme tempo libero che mi sono trovato improvvisamente addosso, ho pensato che una cosa ben fatta poteva essere l’utilizzo del Personal Computer, comprato per l’occasione, per cercare di fare qualcosa di ricreativo per me e di utile per il prossimo. Così mi sono accinto, spronato in questo dalla collaborazione richiestami dall’Arciprete don Claudio Gonzaga e da me accettata con entusiasmo di collaborare alla redazione del “Bollettino Parrocchiale”, a mettere assieme degli appunti per una Storia Ecclesiastica del Paese. Per questo ho cercato e mi sono ritrovato a trascrivere la parte religiosa delle “Memorie Storiche” del Dr. Romoli.
Dopo averci lavorato sopra per mesi, aver capito la grammatica ottocentesca e la sua calligrafia, aver trascritto l’intera parte riguardante le Chiese di Rubiera, ed aver letto la corta ma accorata dedica alla Comunità di Rubiera fatta dal Romoli dove tra l‘altro dice: “Altri di me più valente e fortunato potrà supplire ai tanti difetti, e trarre argomento e mossa da questo povero tentativo per fare cosa degna di qualche lode, e che onori il Paese” ho pensato: “Ma se non c’è nessun altro che prima si sobbarchi la fatica da Certosino di trascriverle, come potrà avverarsi il desiderio del Romoli di trovare uno, più valente di lui, che possa trarre dalle sue Memorie una cosa degna di qualche lode per il nostro Paese?”. Così mi sono messo di buzzo buono ed ho cominciato l’opera. Le difficoltà, però, non sono mancate.
La prima è stata la mia poca conoscenza del latino, per cui un vero latinista troverà lacune nelle alcune traduzioni e nelle trascrizioni dei documenti in tale lingua, che si trovano numerosi nelle “Memorie” comunque copiati da una calligrafia decisamente difficile da decifrare e scritte in un latino, a detta degli esperti, tardo maccheronico.
La seconda, l’0rdine non cronologico delle memorie con appunti sparsi un po’ ovunque riguardanti argomenti omogenei storicamente per fatti e date. Ho cercato in questo caso, di renderne scorrevole la lettura unendo gli argomenti nel miglior modo possibile e attenendomi alle indicazioni date dall’Autore stesso nell’illustrazione del proprio lavoro: ” …dividendo però la materia per capitoli separati per scopo di renderne più facile e più gradita l’esposizione col narrare seguitamente le fasi e fortune speciali di quanto li riguarda…”.
La terza, la mancata interpretazione di parole illeggibili, o per la calligrafia, o per la scarsa chiarezza della fotocopia, che mi ha fatto consultare il vocabolario d’Italiano in un modo mai così intensamente usato in tutta la mia vita.
In questa trascrizione ho lasciato tutto ciò che l’Autore ha messo senza cambiare una virgola; trascrivendo tutto quello che ho trovato senza alcuna mia elaborazione, senza togliere notizie ripetute, senza correggere errori. Insomma ho creduto di lasciarlo com’era nelle intenzioni del Romoli cioè, che oltre ad essere un opera di lettura storica, possa essere anche un opera di consultazione per chi “..altro di Lui più valente e fortunato..” volesse renderla finita e “… degna di qualche lode che onori il Paese…”.
Comunque penso che, con questo lavoro, qualcosa di buono abbia fatto e per questo ho voluto dedicarlo ai miei nipotini, perché quelli della loro età possano conoscere, se ne avranno voglia, la storia antichissima del nostro paese che le poche vestigia ancora esistenti ne lasciano una debole traccia.
E per finire voglio, con deferenza ed umiltà, associarmi al Dr. Romoli ed assieme a Lui dire: “Sarò soddisfatto se la fatica e diligenza da me sostenuta in questo (lavoro) troverà benevolenza e curiosità da miei compaesani.”
Senza conforto d’amici, senza aiuto di benevoli, senza speranza di premio mi accinsi a scrivere la Storia del mio Paese: e come meglio per me si poteva, la condussi a termine in mezzo a circostanze di luogo e di salute le meno acconcie a tal sorta di lavoro. Molte imperfezioni la rendono quindi meschina cosa; imperfezioni che io non disconosco, ma che non mi è dato correggere e migliorare, difettando dei mezzi necessari ad esperire indagini e continuare i riscontri di cui raccolsi con accurato studio le indicazioni. Altri di me più valente e fortunato potrà supplire ai tanti difetti, e trarre argomento e mossa da questo povero tentativo per fare cosa degna di qualche lode, e che onori il Paese. Valga frattanto questa mia fatica a testimoniare l’amore e la volontà con cui avrei dovuto più degnamente servire ed onorare la mia Patria, che mi fu cara sovra ogni altra cosa, siccome quella che fu culla e tomba dei miei Padri, e di Lei, che fu più caramente diletta al mio cuore = (povera cosa.)
INDICE DELLE MATERIE PRINCIPALI COMPONENTI LA STORIA DELLA TERRA E CASTELLO DI RUBIERA E ILLUSTRAZIONE DEL LAVORO.
1°- Origine natura e scopo di questi studi.
2°- Notizie generali della terra e castello dalla sua origine fino ai giorni nostri.
3°- Ordinamenti comunali antichi, riformati e con mutazioni. (Rocca sua antichità; vicissitudini di guerra, sue prigioni e ordinamenti coll’apparizione delle Poste nuove, il carcere offuscava il mantenimento di quartieri nonchè la loro fabbricazione)
4°- Distrettuazione Comunale e sue vicende comprese l’ultima del 1860.
5°- Mercato e Fiera; loro originale vicenda fino ai giorni nostri.
6°- Banco (Fenevatizio?) e Monte di Pietà loro statuti e durata.
7°- Monte anonario sua antichità, suo regolamento e durata.
8°- Gabelle e Dazio: Statuti antichi e loro vicisitudini.
9°- Canale di Rubiera e suoi diritti, soppressione del privilegio, e innovazioni del 1851
10°- Passo di Secchia: Ponte vecchio e nuovo e pedagno sul Tresinaro. (il Governo non pensò più a rifarlo e il Comune vi sopperiva con altro fatto allo scalo della strada di Salvaterra).
11°- Valli e canaletti di Fontana; loro origine e mutazioni avvenute.
12°- Prigioni del Castello; loro storia fino all’ultimo prigioniero di Stato.
13°- Uomini distinti che nacquero o ebbero dimora per ragioni d’uffizio in Paese.
14°- S.ta Maria e suo Ospedale; demolita, ricostruita e soppressa.
15°- Consorzio di S.Donino e Biagio; suoi statuti, e sua soppressione.
16°- Minori Conventuali; loro chiesa e convento, e loro soppressione.
17°- Collegiata dei Canonici; sua fondazione e soppressione.
18°- Confraternita dell’Annunziata: sue vicende e soppressione.
19°- Reliquia di S.Concordia; sua traslazione e vicende.
20°- Chiesa di Fontana antica; demolita e ricostruita.
21°- Distruzioni e trasformazioni avvenute ai giorni nostri.
22°- Conclusione.
23°- Come e quale ne fosse il Governo- Governatore, Castellano, Podestà.
24°- Guide e provvigioni della Comunità specialmente nel corso del 1500.
25°- Pestilenze cui fu soggetto il territorio di Rubiera.
Le soverchie particolarità mi condurranno qualche volta al (dubbio) e al tribolo. Frugai nella polvere degli archivi, trovai colori onde ricavarne i lineamenti dei quadri storici, per riconoscerne quelle tinte locali che caratterizzano la vita speciale di quei tempi.
- Il mio Paese non mi offrirà ne materia ne opportunità.
- Un documento può servire a diverso scopo secondo l’oggetto di chi lo tolga ad esaminare.
- Solo il Tiraboschi potè servire di avvio a miei studi e diligere a questo mio lavoro.
- Racimolai quante notizie, spogli, indicazioni più si poteva.
- Divisai da prima di mandare unito al testo i principali documenti, ma questi mi crebbero tanto tra le mani da formare forse un volumetto. Darò per ora solo l’indicazione dei frammenti e delle fonti dalle quali ho potuto ricavare la materia del mio lavoro e se la benevolenza dei miei lettori e compatrioti mostrerà desiderio di ammaestrarmi a tali studi sarò spesso costretto a ripetere ciò che ne scrisse il Tiraboschi.
- La storia particolare del mio Paese, per quanto poco importante (perché) involta nelle tenebre dei tempi, mancante d’archivio proprio, e privo di tradizioni, meritava pure che fosse illustrata.
- Li indici sono lavoro di incredibile noia per chi li sostiene, d’incredibile profitto per chi ne fa uso.
- La soverchia indipendenza conduce all’isolamento.
- Una istituzione viene amata per i benefizi che arreca alla società.
Per illustrare le memorie del mio Paese non perdonai a diligenza. Senza corredo di erudizione, senza arte e giustezza di critica, senza eleganza di stile, arrivato a penetrare negli archivi, perché meno spregevole ne sia il mio lavoro, conservai scrupolosamente l’ordine cronologico, dividendo però la materia per capitoli separati per scopo di renderne più facile e più gradita l’esposizione col narrare seguitamente le fasi e fortune speciali di quanto li riguarda piuttosto che intercalarle, alla rinfusa, dentro l’intera materia, non sempre con ragione sufficiente.
A istruzione e piacere, più che a utilità, serve questa memoria, perché se sono dilettevoli le memorie di famiglia, non meno gratifichevoli sono quelle del Paese in cui si è nati.
Per non interrompere il racconto e contare seguitamente le vicende della mia Patria, dividerò la materia secondo che mi parrà utile e prima tratterò delle vicende del Paese, delle sue condizioni, dei diversi Governi, ramovendo i fatti che gli appartengono, e quelli ancora che si possono rapportare per essere ivi accaduti, (che sono) tutt’altro che una continuata serie di fatti importanti, non essendo che un accozzaglia di fatti e avvenimenti. (Cose non sempre degne delle ricerche sostenute, non sempre meritevoli di speciale menzione).
Riunirò pure i documenti stampati i quali attesteranno la mia diligenza in ricercarli, come anche per risparmiare ai lettori che amassero conoscerli il doverli ricercare in opera, che sono cose non sempre rinvenibili.
L’oscurità del tempo, la mancanza di memorie non permettono di formare congetture abbastanza fondate per figurare al lettore le condizioni materiali e morali di quel tempo; solo di riflesso e come di rimbalzo ne (potrò), non dirò giudicare, ma immaginare confusamente delle condizioni che tuttora ci restano dei corsi e ricorsi di fortune e sciagure subite dalle prossime città, alle quali si atteneva il Paese stesso per ragioni di dipendenza.
Alieno per indole e di proposito da quella formulazione che non conduce alla pratica utile della vita, disadatto per impegno, per età e per mezzi agli studi della storia, ne trovandola utilmente traducibile nei casi della vita, mi parve più ragionevole attenermi a quella parte di storia parziale che più si lega e connette colle attualità della vita, che ne riassume le tradizioni, ne spinge gli usi, ne addentra le consuetudini, i bisogni.
Mi parve in genere corresse tal differenza dalla storia, come dalla vita publica di grandi uomini, alla vita intima dell’uomo privato; perché quella s’aggira su virtù rare e pellegrine, questa sulle comuni di tutti i giorni; quella prospetta lo stato, questa la famiglia e la patria.
Stavvi quindi la parte della storia che è utile al filosofo, allo statista; trovi pure la parte che può essere utile al popolo, ma per essere tale bisogna che sia più circoscritta, più legata colla sua vita, cò suoi bisogni. È la storia del Comune e della Famiglia.
Lo stile e il dettato semplice e piano non si conviene alla materia d’elaborazione; ne forse a ciò sarei stato adatto, ma sarò soddisfatto se la fatica e diligenza da me sostenuta in queste ricerche troverà benevolenza e curiosità da miei compaesani.
Pianta del Borgo Murato del 1433
NOTIZIE STORICHE DI RUBIERA DAL SEC. IX AL XIX
Rubiera terra con castello sulla Secchia a mezzeria tra Modena e Reggio in un “placito” d’Alduino Messo regio di Ugo Re d’Italia nel 945 (C.D.T.I.. pag. 113).In questo non si da alla Chiesa di S.Faustino di Rubiera che il titolo di cappella. Ma col nome di Pieve scorgi poi indicata nella nota dei censi che il Marchese Bonifacio verso la metà del secolo XI aveva in enfiteusi dalla Chiesa di Reggio (Antiq. Ital. T.3 col. 18).Questa enfiteusi dovette poscia cessare alla morte della contessa Matilde di poi che la Pieve di Rubiera è costantemente nominata nelle carte dei possedimenti della Chiesa di Reggio (Antiq. Ital. T. V° col. 867-vedi ancora TACCOLI T.III° pag. ne. 93).
Bonifazio Marchese di Fossano chiede in feudo o enfiteusi dal Vescovado di Reggio, circa del 1070, fra i molti Castelli, Plebi e ville sul Reggiano “…medie medietatem Plebe S.Faustini in Herberia…” (Antiquit. Italian. T. III° pag. 356 – T. I° pag. 859)
Oltre la Pieve di S.Faustino che è fuori di Rubiera vedevasi nominata almeno fino al 1300 un’altra Chiesa in Rubiera in un assegno fatto da Marco Barigazzi alla Chiesa di S.Faustino e Giovita, alla Chiesa dello Spedale del Ponte di Rubiera ed alla Chiesa de “Casali Herberie” che trovasi chiaramente nominata col suo titolo di S.Donino e Biagio in una carta del 1302
Dalla pace di Costanza (1183) furono acquistate quelle libertà che ben presto da mezzo di vita e di attività (trascesero) a licenza, a tumulti, a violenza, e per maggiore sciagura divisero gli animi per miserabili interessi e per grette invidie provocando le guerre interne, le ire dei partiti, la mutabilità dei Governi, le prescrizioni, gli esigli, le distruzioni, gli incendi e i devastamenti. Nacque, da tali auspici, il Castello di Rubiera dalle intestine discordie fra le due città di Reggio e Modena; discordie procurate da quei troppi privilegi che tendevano a distaccare anziché accomunare la vita dei Popoli.
Il castello di Rubiera è celebre nelle storie Modenesi e Reggiane per molti fatti che ivi seguirono e per la famiglia Bojardi che per lungo tempo ne ebbe il dominio.
Trovasi in un diploma di Arrigo III spedito del 1077 che Rubiera era posseduta da Ugo e Gallo figli del Marchese Azzo d’Este (Antiq. Ls. T. I°. pag. 41).
Dava che debba ravvisarsi l’origine di questo dominio secondo il Muratori (Aut. Est. T.I° pag.90) nella compra fatta nel 1029 dal Marchese Ugo, zio del suddetto Azzo, da Gherardo Diacono tanto più è probabile in quanto che troviamo che Adalberto, fratello di Ugo, aveva ivi dei beni che furono donati al Monastero di Castilione. (Aut. Est. T. I° pag.99). E certo pare che gli Estensi la perderono presto, perciocchè non troviamo più alcun atto di autorità da essi esercitata in Rubiera finché non furono padroni di Modena, di Reggio, ed è probabile che allora il dominio di Rubiera passasse ai Bojardi.
Forse ancora quel Gherardo Diacono che tante castella e terre cedette nel 1029 al Marchese Ugo d’Este, e uno degli antenati della famiglia Bojardi o qualche di lei dipendente, potè forse recuperare alcuni dei luoghi da Gherardo venduti e proprio Rubiera ed alcuni castelli della Lunigiana ove credo che avesse fondi la famiglia Bojardi che signoreggiava Rubiera (Aut. Est. T1° pag.173). Questa famiglia chiamavasi dei Bianchi e prese forse il nome dei Bojardi da un figlio di nome Bianco detto Bojardos ramo forse che stabilissi in Rubiera. Bianchi pare continuasse a prendere così unicamente il cognome “di Rubiera” fin circa la metà del sec. XIII. (Aut. Est. TI° pag.169-171). Troviamo di essi menzione fino dal 1096. Nel 1116 in un Placito di Arrigo IV tenuto in Reggio, Rosone Arcidiacono della Chiesa di Parma si duole dei figli del detto Gherardo che continuavano ad occupare Marzaglia dal loro padre ingiustamente usurpata alla Chiesa di Parma, e ottiene che un comando imperiale si intimi a un figlio di Gherardo perché renda Marzaglia alla Chiesa medesima (Taccoli T.III° pag.72 e Anita. Ital. T.S. col.424). Nel 1187 Bonifacio Prevosto della cattedrale di Modena commenda l’investitura del Castello di Panzano a questa famiglia (…investivit dominus de praevia unum secura…) per poi fare.. portione de Castro Panzani.. (Arch. Capit. Di Modena).
1077.- Rubiera era posseduta da Ugo e Folco figli di Azzo Estense ne si conosce bene a qual titolo ne fossero padroni. (Ant. Est. T. I° pag. 41)
1160.- Federico I Imperatore conferma al Vescovo di Reggio e alla sua Diocesi fra le molte Corti, Castelli e Pievi anche quella di Rubiera. (Vedi Taccoli Par.ta 2a pubblicata nel 1748 – pag. 356).
1188.- I Signori del Castello di Dallo, Castello sul Reggiano, giurando di difendere la città e somministrare soldati ad arbitrio de Consoli, accettati fra i molti, “…i feudatari di Rubbiera sul territorio Reggiano…”.( Idem Parte 2a pubblicata nel 1748 – pag. 356).
Poco di notevole e degno di memoria ci ricorda la storia del territorio nostro prima del 1200. Non esisteva paese ne fortilizio, ma un umile e modesto casolare o Borgata con una Chiesetta dipendente da S.Faustino. E seppure un tal villaggio potè avere una qualche importanza, questo era dovuto alla sua posizione sulla Secchia all’epoca intermedia quasi a equa distanza fra Reggio e Modena; a trovarsi sulla via romana con un ponte sulla Secchia la di cui esistenza era tuttora testimoniata a giorni nostri dagli avanzi delle pile che sporgevano dal greto del fiume.
V’era un Ospizio pei pellegrini a capo del guado per favorire al passaggio del fiume, e per alloggiarli quando grosso e rasente non permetteva sicurezza di passo. Lo scopo cui era destinato fa presumere che detto Ospizio fosse fondato prima che fosse rifatto il ponte sugli avanzi del distrutto, se pure fu mai rifatto. D’altronde il Titolo della Chiesetta detta di “S.Maria di cò di Ponte” lascia congetturare che un ponte pure vi esistesse, forse mobile e mal sicuro poggiato su quegli avanzi di cui sopra. Pare, secondo il Tiraboschi, che il ponte di Rubiera solo nel 1208 o 1209 fosse cominciato giacchè egli esplicitamente viene nominato nel testamento di Giovanni de Fulconi in cui fa un assegno al Ponti Situle de Erberia. Non solo il ponte ma un Ospedale ancora vi fu fabbricato secondo il costume di quei tempi per aiuto dei passeggeri, ed alcuni frati ne stavano alla custodia. Anzi esso vi era ancora prima che il ponte si fabbricasse perché doveva ivi essere frequente il guado del fiume e ne troviamo memoria del 1202. Questa casa di frati era presieduta da un Priore. Anche presso il ponte fu fabricata una Chiesa la quale insieme coll’Ospedale annesso aveva il titolo di S.Maria della quale troviamo memoria nel 1259. La Chiesa e l’ospedale mantennensi lungamente e ne troviamo memoria nel giuramento di fedeltà dato nel 1374 dai Rubieresi al Marchese Nicolò II° d’Este. Fu poscia quel Priorato cambiato in un semplice beneficio e fu conferito con bolla di Bonifacio IX, nel 1400, a Niccolò Bojardi essendo prima posseduto da Pietro Bojardi allora eletto Vescovo di Modena. Nel 1433 lo Spedale del ponte di Rubiera fu, agli 8 di dicembre, da Tebaldo Sesso Vescovo di Reggio, investita in perpetuo quanto alle cose sacre la nobile famiglia Sacrati a cui fu confermato da Eugenio IV con bolla del 17 giugno del 1437 e circa il tempo medesimo essa ne ebbe l’investitura a temporali diritti dal Marchese Nicolò III.
(E forse in questa mansione le fu pure conferita l’investitura del molino che doveva essere in dominio degli Estensi).
I Sacrati poi ne trasferirono l’utile alla comunità che poscia ne usa. Ed ivi stette (vedi la situazione descritta nelle mie note) fino all’anno 1523 in cui avendo Alfonso I° ricuperata Rubiera e volendola fortificare nuovamente, distrusse tutti gli edifici che le erano intorno e fra essi lo Spedale e la Chiesa; esso fu poi riedificato dalla famiglia Sacrati l’anno 1531 nel luogo dov’è fatto fino ai dì nostri, e da essa pure nel 1535 fu fabricata la Chiesa. Ed ivi essa e lo Spedale mantenuti fino all’anno 1768 in cui fu soppresso, unendone le rendite all’Opera Pia di Modena.
(E questo ospedale è antico quanto e più del molino stesso come può vedersi in Tiraboschi Diz. T. 1°. pag. 386 – vedi (pure) l’archivio dell’Opera Pia di Modena, cui furono unite le rendite di detto ospedale nel 1768, anno in cui fu soppresso).
Il ponte pare che fosse distrutto poco dopo la metà del secolo decimo terzo, giacchè non troviamo più memoria di esso, o atti che ne attestano la sua esistenza in passato. Così rimase il fiume senza ponte finchè Ercole III° ne fece rifabbricare uno nuovo ora esistente, aperto nel 1796 alla venuta dei francesi.
V’era pure un canale e un molino di cui troviamo menzione del 1117 e che doveva esistere molto prima e forse fu fondato dalla Contessa Matilde, che aveva quivi molti ed estesi possedimenti. Tale era in quel tempo la povera Borgata la quale benchè soggetta a S.Faustino godeva però il prestigio del primato che gli conferiva la sua posizione sulla strada principale che attraversava l’Emilia e metteva in comunicazione la bassa coll’alta Italia. Ne poca cosa doveva essere in quel tempo l’avere un molino, un canale irriguo, un Ospizio caritatevole e il trovarsi in facile comunicazione coi principali centri di Provincia mediante una delle poche strade rimaste dalla vandalica distruzione delle illuvioni barbariche.
Codesto nostro territorio doveva appartenere al Distretto di Modena, benchè posto per isteso sulla sponda opposta di Secchia. Dovè più tardi o poco prima della pace di Costanza appropriarselo il Comune di Reggio, forse in forza delle giurisdizioni ecclesiastiche quivi esercitate da quel Vescovo, chiamato a presiedere il Comune o Republica.
Molti possessi ebbero gli Estensi, maggiori ancora ne ebbe la Chiesa ma pare che a quei primi vi subentrasse o per successione o per acquisti la Casa Bojardi la quale troviamo già ricca di possessi e di fondi in questi contorni ben prima del 1200.
Non trovo memorie anteriori al 945. Rilevasi che in quel tempo S.Faustino apparteneva al territorio di Rubiera (D.I. pag. 113). Di Rubiera ne troviamo memoria per i possedimenti che vi teneva la Chiesa e dapprima il Marchese Bonifazio cui succedeva la Principessa Matilde.(Antiq. Ital. T. III° col. 183 – T. V° col 867).
Possedimenti vi ebbero pure i figli del Marchese Azzo Estense come da diploma di Arrigo III° del 1077 (Ant. Est. T. I° pag.41). forse tali possedimenti derivarono dalla vendita che Gherardo Diacono fece al Marchese Ugo, zio di Azzo circa nel 1029. (Ant.Ital. T.I° pag. 90). Adalberto pure fratello di Ugo vi aveva beni, e forse quelli del fratello Ugo (Ant.Est. T. I° pag.99), che gli erano pervenuti dal fratello Ugo morto senza successione.
Gli Estensi però vi ebbero corto dominio sì, ma vi troviamo figurarvi i Bojardi di cui quei possessi erano derivati o per successione o per atto di ricupera come discendenti dal Marchese Ugo d’Este.
Del 1180 la famiglia dei Bojardi erano chiamati Dominos de Yrberia (Arch. Capit Mo) e del 1188 prestavano atto di fedeltà al Comune di Reggio, il cui Capitano sospettava che solo l’utile dominio fosse permesso e che il Comune di Reggio vi esercitasse la suprema autorità, per la quale avevano ragione di temere sì per il strapotere della Casa Bojardi, sì per essere uno di questa famiglia passato a console del Comune di Modena, loro nemico e di cui avevano ragione di sospetti e temanza. (Tiraboschi Diz. Art. su Rubiera). Pare che i Bojardi avessero solamente l’utile dominio di Rubiera e che il Comune di Reggio vi esercitasse la suprema autorità e che se i Bojardi erano signori della terra, il Castello fosse immediatamente soggetto al Comune Reggiano, difatto che l’anno 1200 i Reggiani fabricano il Castello di Rubiera (le mura) e concedono diversi privilegi a coloro “Qui habitavuint sine grande in Castro Novo designatum a Burgum Herbarie-Colui il quale abitava da poco tempo nel nuovo castello eletto a borgo Herberia” (Taccoli T. I° 348-T.II° 359) (vedere quindi il titolo e la natura dei privilegi conferiti, come pure il perché della fondazione del Castello). E proprio nella guerra che i Modenesi ebbero coi Reggiani l’anno 1201 dacchè i primi ebbero dai secondi una fiera sconfitta presso di Formigine.(Antiq. Ital. T.I 603). I Reggiani circondarono Rubiera di nuove mura.
(Dalla cronaca di Reg. presso i Conti Crespi) : “…20 anno VIII die anonate septembre devicti, capti et sconficti fuerunt Mutinensis a Reginis in villa Formiginis et fuerunt fugati usque ad pratem de Lentigone et ibi fuit captus Dominus Albertus Potestas Mutine et censi omnes Mutinensis a Reginis et antiquam relaxentur fuerunt murum circa Castrum Yrberie pro comune Regis et possimodum relaxati fuirunt cum una infula in capite per ludibrium…”
(20° anno VII giorno di settembre, catturati e sconfitti furono i Modenesi dai Reggiani in villa Formigine e furono messi in fuga fino ai prati di Lentigone e la fu catturato il loro Signore Alberto, Podestà di Modena, e assieme molti Modenesi e furono tutti usati, dai Reggiani, ad allargare le mura intorno al Castello di Rubiera a pro del Comune di Reggio e poco dopo furono rilasciati con una benda in capo per dileggio…)
E siccome in quest’anno fra i consoli di Modena vi era Alfonso da Panzano che forse ivi aveva fissata sua dimora così è probabile che i Reggiani, sdegnati al vedere che uno il quale per riguardo a Rubiera era loro soggetto si fosse unito ai Modenesi loro nemici, se ne vendicassero col fabbricarvi un Castello e col far fare assoluti Signori.
E questa congettura acquista tanto più valore in quantochè era temibile che Casa Bojardi per l’influenza che esercitavano in Rubiera pei loro molti possedimenti, e pel credito a cariche illustri occupate e per la fondanza di dominio che avevano mostrato in passato coll’indebita occupazione di Marzaglia. Motivi tutti che giustificavano la costruzione del nuovo castello tanto più reso importante dalle minaccianti discordie insorte per le acque di Secchia.
Sedate nel 1199 le discordie interne insorte fra i nobili e i plebei detti con strani nomi i Scopazziati i primi, Mazzaperlini gli altri, ben presto nel 1200, le mal represse discordie colla città di Modena, colla quale pochi anni prima in fratellevole ed amichevole concordia aveva combattuto contro l’Imperatore Federico. L’aveva assoggettata al Comune di Reggio Quarantola(?); e l’aver innalzata una fortificazione a Comunaggia che forse era in quei contorni, parve un attentato alla giurisdizione dei Modenesi; disputavasi sul diritto delle acque di secchia che intercorreva fra i due territori ed ambedue vi pretendevano. E forse fu esca all’incendio fra le due città la concessione fatta agli abitanti di Castellarano perché gettassero le acque su quello di Reggio. Così che i Modenesi minacciati si posero sulle difese fabricando il Castello di Marzaglia; e nel seguente 1201 si diè da essi mano alle armi: ma vinti e sbaragliati videro i Reggiani fin sotto la Città di Modena. I Reggiani però crederono prudente di prepararsi a maggior difesa ben prevedendo che i Modenesi sarebbero tornati alla riscossa. Fortificarono ancora Rubiera e i Modenesi, indispettiti dal modo tenuto coi prigionieri più che avviliti dalla subita sconfitta, sulla fine del 1201 strettesi in lega coi Mantovani ai quali giuravano di non unirsi mai in lega coi Reggiani: così pure Modena si collegò coi Malaspina. Rafforzati per tali alleanze i Modenesi gonfi e minacciosi corsero sopra Rubiera la quale strinsero d’assedio: non valsero però tante forze combinate per espugnare Rubiera e forse l’assedio sarebbe durato lungamente se non si interponevano mediatori potenti.
1117.- Trovasi memoria del canale e molino di Rubiera in un rogito di Donna Matilde moglie di Arrigo V°, in cui fa donazione di essi alla monachia di S.Rafaele. Non si sa veramente con qual titolo (la Regina Matilde) fosse padrona di detto molino; forse era parte del dominio matildico, e perciò ne disponeva secondo l’intenzione del marito che ne doveva aver preso possesso.
Venne a turbare le assopite e non spente discordie fra Enrico V°, e Pasquale II° per le investiture, la morte della Contessa Matilde (di Canossa), la quale senza distinzione di beni feudali, degli allodiali aveva chiamata la Santa Sede erede generale de suoi beni. La resistenza del Papa a venire a patti e le quasi impossibilità di distinguere i beni reali dai patrimoniali tutti confusi e assimilabili dall’opera del tempo, delle successioni o dall’opera dell’uomo, Arrigo calò in Italia e occupò di forza quanto spettava al Patrimonio Matildico nell’Italia centrale; il che gli attirò i fulmini di Roma. Matilde sua moglie, che lo aveva seguito in Italia, per portarlo a purificazione col Papa gli ispirò di rivolgere i beni a destinazioni più ecclesiastiche sperando, per tali mezzi, di far preventive al Papa le buone disposizioni del marito per venire a transizione. Dovè essere in quell’epoca che la Regina Matilde donava alle suore di Reggio il molino di Rubiera, il quale doveva essergli pervenuto come facente parte del Dominio Matildico.
Ciò accenna indubbiamente che il Molino era proprietà sovrana e che forse, o dalla Matilde o di chi ella ripeteva per i possessi, era stato fondato poco dopo l’opera di distruzione dei Barbari.
(Il documento succitato trovasi nelle memorie Storiche di Tiraboschi, e l’originale nell’archivio di S.Rafaele in Reggio, ove importa riscontrarlo e copiarlo nella sua integrità, come pure indagare come e quando lo stesso monastero li alienasse e a chi).
Che il molino e il canale di cui si parla in questo rogito occupassero la posizione che tuttora conservano lo attesta il seguente documento del 1473:
“Locus situationis dicti hospitalis et eius ecclesie (Sancti Marie Pontis de Hirberie) est positus in burgo a mane dicte terra Hirberie et ante portam ipsius terre: cui confinat de subtus fovea dicti Burgi, a mane molendinum prefati Comitis Iacobi (Sacrati) desuper via; qua itur a porta dicte terre ad dictum molendinum, et a sero Mateus Rabitus). (Luogo ove è situato detto Ospedale e la sua Chiesa [Santa Maria del Ponte di Rubiera] è posto nel Borgo a mattino delle detta terra di Rubiera e davanti alla porta della stessa terra, che confina di sotto con la fossa del detto Borgo, a mattino col mulino del Conte Iacopo (Sacrati) al disopra della strada che porta dalla porta di detta terra al detto mulino, e a sera col Matteo Rabitti)
1122.- Il canale navigabile fatto dai reggiani colle acque del Tresinaro.
1183.- Discordia per le pretese dei reggiani di servirsi delle acque di Secchia per la scarsezza di quelle di Tresinaro prodotta dalla grande siccità.
In questo anno insorsero vive discordie fra Modena e Reggio per le acque del Secchia:
“In sequenti erta inter Mutinensis, Regiensisque discordia, que post in grave bellum erupti. Annis est Sicla media inter Mutinen et Regium via…..injus integrum jus se Mutinensis habere Henrici secundi Imperatoris concessione profitabantur. Itaque sum Regienses emissarium ad suum rei navalis usum derivare paravunt, Mutinenses ei rei fa impedimento futuros, usque facem armis tutaturus denunciarunt…”
(Nella seguente difficile discordia fra i Modenesi e i Reggiani che poi eruppe in grave guerra. Erano anni che del Secchia, via d’acqua in mezzo tra Reggio e Modena, bisognava vedere se era giusto l’inizio del diritto riconosciuto ai Modenesi del suo uso esclusivo, che loro hanno avuto da Enrico II° Imperatore. Pertanto ai Reggiani che volevano derivare un suo emissario per uso delle loro navi, i Modenesi per fare loro impedimento futuro, denunciarono di voler tutelare il loro riservato diritto fino all’uso delle armi…) .
Ecco menzione della discordia insorta fino a prorompere in aperta e sanguinosa guerra. Pretendevano i Reggiani di estrarre da Secchia una condotta d’acqua ad uso di navigazione. Si opponevano i Modenesi che per le concessioni loro immediatamente (dirette?) dall’Imperatore e Re d’Italia Arrigo III° trovavansi da centoventotto anni in possesso di tutte le acque di detto fiume. Quindi mal soffrendo i Regggiani l’opposizione dei Modenesi avevano prese le armi risoluti di acquisire con la forza ciò che ottener non potevano per diritto. “Id egra Regiensis passi, quod jure non poterunt, armis sibi parandum eccistimarunt (?)”. Come terminasse la controversia veggasi nel 1200 Parte cancellata dall’autore.
1212.- Guglielmo Mazzi o Maggi nelle memorie storiche della città di Carpi dice “…la quiete che si godè in quest’anno fece che il nostro senato diede mano alla fabrica del canale dè Mulini; si condusse quindi l’acqua dal territorio di Rubiera al campo di Carpi e si fè sboccare in Secchia di nuovo appena compita l’escavazione mentovata nel 1215 (Arch. Del sudd. Libro A cart. 67-74-84-91-100) Il Mazzi conferma ancora l’epoca di tale escavazione a carta 111 ove parla della introduzione in Carpi del canale stesso operata nel 1545.
Troviamo che i Carpigiani vennero a pattuire coi Rubieresi per condurre quelle loro acque, al loro territorio per introdurle nella città a benefizio di molenda. Se venissero per convenire dell’escavo semplicemente, o per anche dell’acque questo è quello che non si conosce, troviamo però del
1336.- che i Rubieresi dovevano essere padroni del canale stesso perché Manfredo Pio da Carpi convenne del modo di condurre in avanti le acque.
1441.- La Comunità viene investita da Nicolò III del molino e del diritto delle acque del canale. E del
1445.- Leonello permuta il molino con alcune terre di Bagnacavallo e Lugo, confinanti con altre dello stesso, con fortilizi, le quali tornavano utili per contiguità.
Leonello in cambio e permuta dava il Molino novo di Reggio posto nel quartiere dei Nazari. …et item molendina posita in Burgo Terra sen Castelli sui Herberij, Mutinensis districtus justa suos quoscumque confinis; et hoc cum ipsorum omniune molendinorun casa mentis et domibus edifictis votis, votis ferit scoramentis et cum navibus canalibus acque duttibus … et jurisdictionibus suis debitis et consuetis et adipra molendina quoscumque moderatione vel causa spectantes æ spectantibus. (pag.94-Vol.AB).
(Rogito di Lodovico Casella del 1445 col quale Leonello investisce a titolo di permuta il Conte Francesco Sacrati del dominio diretto del Molino di Rubiera)
1449 Francesco Sacrati, che ne aveva avuta l’investitura come direttorio, riconferma l’investitura stessa alla Comunità di Rubiera. Per quanto consta il diritto della Comunità era di usare le acque di tutti i giorni festivi senza dipendenza da altre autorità.
1523.- Furono nei capitoli riconfermati i diritti stessi e tanto più in quanto che (si vide) quanto fosse necessario per tener fornito di foraggio quel forte.
1749.- Dal gridario vediamo ancora quale fosse l’antico privilegio di Rubiera sulle acque ad uso e beneficio dell’agricoltura; quando del
1769 per decreto del Consiglio di Giustizia fu pronunziata la sentenza del privilegio di … e fu annesso a condizioni comuni salvo e riservato il diritto d’uso.
1200.- I Reggiani fabbricano il castello di Rubiera e concedono privilegi.
I Reggiani però prima di intraprendere la guerra contro i Modenesi fabbricarono in questo anno nella loro sponda di Secchia il Castello di Rubiera presso l’antico Borgo di detto nome.
I modenesi ne fabbricarono un altro nella loro sponda in Marzaglia all’incontro di Rubiera.
1201.- Dopo la battaglia vinta sui modenesi, i reggiani conducono i prigionieri a Rubiera e li costringono a lavorare a una seconda cinta. Soccorsi i Reggiani dai Bolognesi con un numeroso corpo di fanti, di cavalli e mezzi e condotti dal loro Podestà Buvaletto Bolognese, avendo attraversata Secchia superiormente a Marzaglia nel primo scontro che ebbero i due eserciti il 23 settembre presso Formigine al ponte Sanguineto, dopo un ostinato combattimento, i Modenesi oppressi dal maggior numero di nemici furono volti in fuga ed inseguiti fin presso alle porte di Modena colla perdita,oltre i morti, di cento e più cavalieri e dello stesso loro Podestà Alberto da Lendinara, rimasti prigionieri, che poi dopo alcuni mesi furono rilasciati dopo aver posto loro in capo per ischerno una mitera ….E forse fu in questa epoca che i Reggiani si appropriarono le acque di Secchia come risulta dal lodo di cui parla Panciroli e parmi anche Affarosi. Ecco come il Panciroli (T.I° – pag.151) racconta l’origine, l’andamento e l’esito della discordia fra Modena e Reggio:
In quel tempo, arse per avventura del gran caldo le Campagne,i Modonesi, dall’altra riva presso Sassuolo, tirarono a se le acque per un altro canale, e fabricarono il Castello di Marzaglia a respingere i vicini se si movessero. La qual cosa come venne a saputa dei Reggiani, dibattuto lungo tempo presso i Decurioni l’affare, piaque finalmente di far la pace coi terrieri di Castellarano perché procurassero che tuttaquanta l’acqua di Secchia mettesse capo a Reggio. Fatta pertanto una solenne convenzione diedero a Mazzoni notaio e Bondelfino Oderici, consoli di Castellarano, due molini fondati fuori di porta S.Croce con tali patti: ch’essi chiuse le cateratte o chiaviche alla corrente gravassero a loro spese in tutto quanto il nostro distretto, il canale che scorreva per Reggio ed ove fosse d’uopo lo nettassero. Per la qual cosa i Modenesi con tal arte privati dall’uso e come dote del fiume infestarono a guerra rotta il territorio reggiano. Di che i nostri sentito che ebbero l’assalto dei vicini vennero a petto con loro al Borgo di Formigine e sotto la capitananza di Dainabello Podestà vi ruppero una atroce battaglia. Alberto da Lendinara podestà e in uno capitano dell’oste de Modonesi, incoraggiati i suoi; gridò a testa una tal gargagliata; e diè dentro impetuosamente nella mischia e ne tagliò alla prima percossa uno o due. Di contro i Reggiani tengono valorosamente e senza punto scorarsi la sinistra puntaglia dei soprastantii: si levano al cielo le grida e la povere, e fatta dappertutto una sanguinosa strage la battaglia s’inasprisce. Alla fine il corno della cavalleria Reggiana vie più steso circonda, volge in isconfitta e in fuga i nemici, li insegue fino a Prato Lentesone e quasi tutti quanti vivi una con Alberto, fa prigionieri. Delle cui mani si valsero poi, con poca clemenza, i Reggiani, ad attorniare di mura il Castello di Rubiera il quale allora fabricavano rimpetto a Marzaglia e dopo, secondo è fama, con una cannuccia in mano li congedarono sbeffeggiati. Quelli volendo vendicarsi di questa ingiuria e sentendo fiaccate le loro forze si danno a ristaurare il Castello di Formigine e coi Veronesi e Salinguerra, che per l’aiuto dell’Imperatore aveva occupato Ferrara, ragunano nuovo e gagliardo esercito. E l’anno dopo nel mese di Giugno, mettono su il carro che chiamavano il Carroccio e fanno oste sopra Rubiera, governata da Manfredo Pico. Difesa pertanto valorosamente Rubiera dai nostri, poiché i nemici ebbero tentato indarno tutte le arti d’espugnarla, mandano ambasciatori ai Reggiani, perché messe giù le armi , a giudizio di arbitri si ponesse fine alla controversia. I nostri acciocchè non paresse che più si attenessero su la forza che la ragione, non ricusano le dimande; e per commune consentimento d’ambe le città fu data a decidersi la lite ai Podestà di Parma e di Cremona. I quali, considerarte che ch’ebbono con diligenza le ragioni delle parti, aggiudicarono la pertinenza e il dominio della Secchia alla nostra città. Laonde sconfitti in battaglia e in giudizio, i Modonesi si misero la coda tra le gambe molto crucciosi.
Altre pretenzioni circa i confini e certi luoghi restino da distendersi da i medesimi pretori a fini che eccetto il Castello di Marzaglia che rimanga come è di presente. (Il che mostra che i Reggiani lo volevano demolito)”.
1202.- I Modenesi vengono all’assedio di Rubiera. Indispettiti dalla sconfitta e animati in seguito dall’alleanza coi Mantovani e coi Marchesi Malaspina che giurarono egualmente di fare guerra ai Reggiani a fuoco e sangue, e coi Veronesi e coi Ferraresi cinsero d’assedio nel giugno il castello di Rubiera e cominciarono con mangani e colle catapulte a tormentarlo e a dare il guasto al paese: ma il Castello essendo stato precedentemente circondato dai Reggiani di nuove mura potè resistere contro gli sforzi di tutti gli alleati e specialmente dei Veronesi e dei Ferraresi che erano comparsi in campo coi loro carrocci e giunti col nerbo maggiore delle loro forze.
L’assedio e la guerra sarebbero durati ancora lungo tempo se non fossero accorsi Parma e Cremona, a calmare le ire ed ammansare gli sdegni, e potenti mediatori come il Marchese Azzo d’Este, Salinguerra e il Podestà di Ferrara Uberto da Imbiavato(?) raccoltisi in Marzaglia, non avessero persuaso i due popoli a rimettersi ad un arbitramento.(Sigon.lib.cit Murat.. loc. cit. et incit. Disert.49 col 377 ad 384 – 391 ad 394 / Tirab. Loc.cit. e cap.6 pag.175 Diz.Stor. T. I° 375; T.II° 286; veder.part. 2. libro 13 pag.135)
I Modenesi indignati dalla patita sconfitta e non soddisfatti forse dai patti svantaggiosi ed umilianti, e forse anche offesi dalla fortificazione di Rubiera che minacciava la loro sicurezza ne assediarono il Castello e ne fanno poscia pace. (È tanto più probabile che le proteste dei Reggiani dovevano essere adirate ché nel trattato di pace fu decretata Marzaglia ai Modenesi, il che fa credere che i reggiani l’avessero occupata e la pretendessero).
Il castello di Rubiera dopo la pace passò in potere dei Reggiani che possedevano …casamenta omnia in Borgo de Herberia et ipsum Castrum… (nota del 1270 delle entrate del Comune di Reggio ” cod.rex.const. anno 1204). Comunque lo attesta l’atto di protezione del 1244 opera dei Reggiani contro Rodolfo de Pianciani come nota il Panciroli, o da Panzano come vuole il Tiraboschi secondo la cronaca del Crispi(Memorie Podestà del Comune di Reggio.Script. Rev.it. T.8° col 1112)
Difesa pertanto valorosamente Rubiera dai nostri, poiché i nemici ebbero tentato indarno tutte le notti di espugnarla, mandano ambasciatori ai Reggiani perché, messe giù le armi, a giudizio arbitri si ponesse fine alla controversia. I nostri deciocchè non paresse che più si ottenessero sulla forza che sulla ragione non ricusarono la domanda, e per comune consentimento d’ambe le città fu data a decidere la lite ai Podestà di Parma e di Cremona. I quali considerate che ebbero con diligenza le ragioni delle parti aggiudicarono la pertinenza e il dominio della Secchia alla nostra città.(in libr.mai. trabulari, cart. 172). Laonde sconfitti in battaglia e in giudizio i Modenesi misero la coda tra le gambe molto crucciati. La paura dei nemici esterni fugò le apprensioni domestiche insorte fra gli Scopazziati e i Mazzaperlinii che travagliavano in quel tempo miseramente la città di Reggio. (vedi Affarosi-Taccoli-Micheli-Tiraboschi-Vadiani-Azzari compendios- Gazzata “Cronaca di Reggio” e il memoriale del podestà di Reggio)
Esenzione dalle colte per i cittadini dimoranti nel Castello di Rubiera.
(Da “RUBBIERA SUL TERRITORIO REGGIANO” Parte 2a pubblicata nel 1748 – pag. 356).
1233.- Cavalcabò eletto podestà di Modena (invade) e depreda il nostro territorio per correre sopra Reggio.
1258.- Tennero in quest’anno consiglio i podestà di Modena e Reggio coi loro savi in Rubiera e stabilirono gli statuti, i patti e ordinamenti di reciprocanza fra le due comunità. Statuti e Patti approvati fra la città di Reggio e di Modena e confermati dal Comune di Bologna in Rubiera. (Farioli T. II° pag. 348)
1283.- A 10 ottobre fu ucciso Gherardo ed un suo fratello presso Rubiera. Gherardo Bojardi Arciprete di S.Faustino di Rubiera insieme con un fratello di cui ignorasi il nome fu ucciso nella campagna presso Rubiera da alcuni della Nobile famiglia dei Greppi dello stesso castello che aveva il diritto dell’avvocazia della Chiesa di Reggio, e quello di avere il cavallo su cui montava il Vescovo nel giorno in cui prendeva il solenne possesso della sua Chiesa.(Taccoli T.3° – pag. 209)
1286.- A 3 di giugno Bonifazio Bojardi con quelli di Bismantova e coi banditi da Reggio e Modena entrano in S.Prospero, e si ricacciano alla preda di Rubiera. Soccorso Reggio dai Borgognoni in quel giorno medesimo partendo due monaci dal monastero furono uccisi, per la qual cosa i Bojardi uccisero Giovannino de Muti attinente all’Abate di S.Prospero.
1289.- I Parmigiani occuparono Reggio e gran parte del suo territorio ma non il Castello di Rubiera.
1290.-Reggio si leva a …… e il Marchese Azzo d’Este tiene il dominio di Reggio e prende il possesso di Rubiera.
Dal Compendio delle storie di Reggio del Capitano Fulvio Azzani – 1623
” Rubiera fu soggetta al Ducato di reggio; ore è separata e il Sereno Duca nostro vi tiene un Governatore, un Presidio e un Podestà. È stata in diverse volte soggetta a vari padroni; in particolare alli Bojardi di Reggio; poiché della loro famiglia selvatico l’anno 1354 con l’aiuto di Giovanni Visconti Arcivescovo di Milano la levò dalle mani di Feltrino Gonzaga; fu goduta dai Bojardi fino all’anno 1408 e poscia la diedero a Nicolò Marchese d’Este dal quale ebbero in cambio Scandiano colle sue pertinenze nel 1423. Fu Rubiera edificata dai Reggiani per difendere le ragioni delle acque di Secchia contro i Modenesi l’anno 1201: fu edificata la Rocca di quella l’anno 1331(°) da Feltrino Gonzaga: è nella pianura sulle rive del Secchia dietro la strada Emilia.”
(°) Fu nel 1335 che Feltrino murò un fortilizio in Rubiera. Dopo che gli fu levata secondo i patti della lega la città di Reggio e suo distretto.
Negli sconvolgimenti politici che durante il 1300 travagliarono questo povero Paese, i Bojardi si collegarono cogli Estensi e colla Chiesa non tanto per richiamare e rimettere gli Estensi stessi nella Signoria di Reggio e di Modena, quanto altro per avere l’intera padronanza di Rubiera, e per allontanare i danni e le molestie che ne venivano alle loro proprietà dalle frequenti occasioni di guerra e di saccheggio.
1309.- Die 18 septembris inunduns era fluminus intravit civitatem per portam Sancti Stefani et et ivi asque ad tremin Episcopi et arenum in campis reliquit ultam uno brachio et similiter fecevant omnia flunta Episcopolus Regio, Mutina, Bononie … et deum est uno die et una nocte et hoc propter pluvium magnam Trisinaria venit usque ad Plebem de Prato et mortem fecit pluris bestie
1315.- Rubiera trovasi soggetta al Comune di Reggio in quel tempo libero Comune (Taccoli T.I° pag. 261-269). Fra i Castelli ed alloggi descritti nell’estimo mentovato, fatto nello stesso anno, trovasi Rubiera e suo territorio. (Tomo II° pag.113)
1324.- In quest’anno fu nominato Podestà Giberto Tacoli. (idem pag. 288).
1326.- Si ordinò dal Comune stesso il ristoramento di quella Rocca (idem pag. 288) Pare che Rubiera appartenesse al Comune di Reggio fin dal 1202, e che la famiglia Bojardi benchè potente non vi esercitasse supremo autorità o dominazione. (Provv: Com. Reg. 1115 in seg. Arch. Estense)
Esiste nota del Comune di Rubiera dei casali si civili che stalle e ovili come vita delle Milizie di Rubiera. (Tomo II° pag.52). Trovasi pure memoria al Comune di Bagno, S.Faustino e S.Donnino
1329.- Cronicam Mutinense de Bazano ab anno 1002 asque ad annum 1363 – Tom. XV°. pag 551 – . 1329. Magi 22 – Castrum Herberie datum fecit Domino Legato Ecclesia per illos de Boiardi Marchesiones Estenses da Ferraria se concordarerund cum dicte Legato et Ecclesia
I Bojardi per avere un assoluto dominio del castello di Rubiera, si collegarono colla parte della Chiesa unita allora agli Estensi e impegnata a rimettersi nella Signoria di Modena e di Reggio: giacchè nel 13 genajo 1329 Marsiglio e Pietro dè Rossi, parmigiani, colle loro truppe congiunte colle reggiane recaronsi a Rubiera ed assaltarono quel Borgo dalla parte di ponente, ove stavano acquartierate le truppe della Chiesa, e fattane grande strage ne le cacciarono ed ebbero molti prigionieri e fra essi Gherardo Bojardi.(Storia di Reggio T. XVIII° . Col. 40).
I Modenesi si ribellano a Passerino e recansi dalla parte del Papa. Frattanto si face a Reggio un altro Governatore per la Chiesa il quale rimise gli usciti Roberti. Ma Rolando Rossi cacciò di Reggio il nuovo Governatore e vi sostituì Bonaccorso Ruggeri di Parma. Ma i Fogliani e i Manfredi rimasti in città temendo che per opera dei Roberti potesse nuovamente ricadere la città in mano al Papa, bandirono i sospetti, e li perseguitarono a ferro e fuoco nelle loro ville e ne loro Castelli, e per ultimo venuti alle mani coi Roberti che andavano a saccheggiare Portiolo li perseguitavano fino ai soborghi di Rubiera dove presero con due figli di Bartolomeo Roberti 20 cavaglieri e quasi tutti i fanti e menaronli prigioni a Reggio.
Erano in quel castello, sotto Gherardo Bojardi, molti aderenti del Papa i quali danneggiavano grandemente i reggiani. Ma stanchi i reggiani del partito papale con Marsilio e Pietro Rossi a 13 di gennaio combattevano per più giorni il borgo occidentale di quel luogo dove era una guarnigione di 300 soldati e finalmente sconfitti tutti e preso Gherardo lo recavano in loro potere. Impadronitisi per tal modo i reggiani imperiali di Rubiera, stettero ad un filo a perdere poi dopo la città Reggio per opera di tradimento finemente ordito dai partigiani del Papa. Fallito il tentativo su Reggio i seguaci del Papa anziché scoraggiarsi, trassero forza dalle ingiurie stesse della parte nemica, e argomento di vendicare le perdite e sconfitte, guastarono le campagne dei reggiani e a 23 di maggio per condotta di un Roberti Arciprete di Prato presero anche Rubiera e Bagno, poi s’impossessarono di Modena. Non ottenendo facile sottomissione e obedienza il partito Guelfo s’infuria e inferocisce, disperde arde e distrugge le ville, le case i castelli e fino i soborghi di Reggio. Così chè i reggiani Imperiali per disperazione fatto un grosso di gente vanno ostilmente a Bagno, castello dei Muti, dove stanziavano le genti del Legato del papa, ma tentarono invano quel distretto, ben guardato e difeso da grossa guarnigione. Lodovico Imperatore s’impadronisce in questo tempo di Modena, Reggio e Parma: ma il suo prefetto abusando delle donne modenesi (essendo partito l’Imperatore) spinse Manfredi Pio a cacciarlo di Modena: ma tornando a Modena in mezzo a 60 cavallieri trovò vicino a Rubiera oltre 1000 seguaci del Papa e verso scopo di scansare l’incontro, ruppe inanzi e li sbaragliò: perirono in quel conflitto Tomasjno Roselli e Roberti e Giovanni Melli. Il prefetto coi suoi germani si ritirano in Reggio sempre in devozione all’Impero. Quivi i Fogliani formarono lega colle città della stessa fazione Modena e Parma. Ma ajutato il Legato del Papa dalle genti di Alberto e Mastino della Scala, mise l’interdetto sulla nostra città, poi mandò 4000 fanti e 600 catafratti i quali dopo aver guastata la villa dei Strinati e fatta grossa preda ricoveravansi in Rubiera, che ancora si teneva pel Papa. I reggiani di rimpatto con 600 cavalieri e 400 fanti corrono sopra Rubiera per vendicare il fatto: ma i seguaci del Papa, fatto finta di fuggire, voltano sopra Formigine, ma fra via messi in mezzo dai Modenesi, salvo pochi che si ritrassero in Rubiera, tutti gli altri furono trucidati e presi e fra essi molti personaggi illustri. Dopo questa sconfitta 20 cavalieri della Chiesa, da Rubiera ove stanziavano, corrono sopra Felegara di lancio; i reggiani volano ad incontrarli e tranne due scampati colla fuga gli altri presero ed uccisero. Ma vedendo di non aver pace finchè al partito papale restava quell’appoggio (inespugnabile) di Rubiera, e finchè ai banditi del partito avverso restava un nido ad ordir trame e congiure, i reggiani si unirono ai Modenesi diedero il guasto al territorio di Rubiera tenuta dai seguaci del Papa. Ma il Legato pontificio si pose a campo fra Reggio e Rubiera: i parmigiani, reggiani e modenesi forti di 800 cavalieri e 2000 fanti assediarono Marzaglia per sfidare i nemici. Ma non osavano di venire a decisiva giornata, e si ritrassero a Sassuolo e Fiorano a ciò spinti anche dall’avvicinarsi dell’inverno. Reggio continuò a governarsi a Repubblica di nome, ma in fatto mal menata dalla sfrenata signoria dei Fogliani e Manfredi.
In quest’epoca passa in Italia Giovanni figlio di Arrigo VII° e Re di Boemia con grossa forza per essere creato Re di Lombardia. Mediatore fra i Guelfi e i Ghibellini trasse a sua soggezione molte città lombarde e fra esse anche Reggio li offerse la signoria della città; venuto a Reggio e presa la giurisdizione della città, passa quindi a Modena e s’impossessa dell’imperio della città. Carlo figlio di Giovanni venne a Reggio a metter pace fra le fazioni tornate alle contese.
1332.- Preso in sospetto il Boemo per certe sue trattative col Legato del Papa, Ghibellini e Guelfi fecero lega e congiura contro di esso per cacciarlo d’Italia. Patti della lega furono che le città tenute da lui si spartirebbero così: ad Azzo Visconti Cremona e Borgo S.Donnino, a quei della Scala Parma, ai Gonzaga Reggio, ai Marchesi d’Este Modena e ai Fiorentini Lucca.
1333.- L’armata della lega assediò dapprima Modena, poi lasciata Modena passarono sopra Reggio. Ma Carlo di Boemia da Parma corse sopra Reggio a liberarlo dall’assedio delle armi della lega, le quali furono rotte e sconfitte: non contento il Boemo volle espugnare Ferrara, ebbe sconfitta e fu costretto a ritirarsi a Cremona.
Nominato un nobile di Germania Prefetto di Parma, Reggio, Modena e Lucca a 18 ottobre partì d’Italia. Colto il momento di tale allontanamento, Rolando Rossi prese la signoria di Parma, Nicolò Fogliani s’impadronì di Reggio, e ne ebbe conferma dal Re di Boemia.
1335.- I Visconti, gli Scaligeri, l’Estense e il Gonzaga rinfrancate le forze fecero oste sopra Reggio, e dopo ostinata battaglia ricacciarono in città le genti dei Fogliani, e vi posero assedio, occupando la Pieve di Bagno: ma nata discordia fra le loro armi i confederarti si ritrassero alle loro città. Ma i Gonzaga disperati di poter prendere Reggio colla forza fingono di voler la pace coi Fogliani.
1336.- Mastino della Scala compra, dai Rossi, Marzaglia, e Rolando la città di Parma e per loro mezzo sperò anche aver Reggio, al quale scopo al 26 d’agosto si portò ad assediare Reggio. I Fogliani disperando di potersi difendere cedono a Mastino la città di Reggio a 4 di Luglio (1337?). per tal modo Mastino divenuto padrone di Reggio, secondo i patti della lega, agli 11 di luglio ne investe Guido Gonzaga per suo padre Luigi. Così Luigi Gonzaga costituito principe di Reggio ne creò podestà Ettore da Panico Bolognese e a 25 d’ottobre passò a Reggio, poi piantato in un forte a Rubiera travagliò miseramente i cittadini dentro la città e i castellani di fuori.
Tiraboschi – “In questo tempo gli estensi per opera dei Pii presero Modena, ma non Reggio e Rubiera che rimasero in potere Gonzaga.”
Panciroli – “Per convalidare la Signoria di Modena Obizzo d’Este diede per moglie al fratello Nicolò, Beatrice, figlioccia di Guido Gonzaga.”
1339.- Il Gonzaga non pensa che a fortificarsi facendo fosse, spianando Palazzi e alzando mura.
1340.- Mastino invidioso della potenza dei Gonzaga tenta colla corruzione di avere la nostra città di Reggio, ma senza esito.
1341.- Il Gonzaga guarnì il castello di Gonzaga per sottrarsi dalle insidie dei suoi nemici interni. Luigi Gonzaga sospettoso che Mastino fosse autore delle sommosse che ne minavano la Signoria, sollecitò Azzo e Guido da Correggio a cacciare Mastino da Parma promettendo loro ajuto per ampliarne la Signoria.
Cacciarono di fatto di Parma i Prefetti del Mastino, il quale collegossi cogli Estensi e coi Bolognesi contro i Gonzaga.
Il Gonzaga d’incontro trattò lega coi Visconti di Milano e tolse i Castelli posseduti dai Fogliani e dall’altra parte i Bojardi, con grave danno pei poveri, arsero insieme cogli animali la Villa di Bagno, che era tenuta dalle armi della lega.
(Die 3 Junii. Bojardi iverunt ad Plebem de Bagno et eam coperunt, et combusserunt omnibus (ex)stadibus).
1342.- I Fogliani non potendo vendicarsi del Gonzaga stringono lega con Obizzo d’Este e con gli Scaligeri. Scoperta la cosa Gonzaga esiglia, confisca, uccide, saccheggia, devasta e arde le Ville dei nemici, finalmente ad inchiesta del Legato del Papa i Gonzaga e Luchino fanno tregua per tre anni coi nemici.
In questo tempo vacando l’Impero (perché sepolto il Bavaro) Benedetto XII, a rimovere il pericolo di una nuova occupazione creò il Visconti Vicario della Chiesa a Milano; Mastino della Scala di Verona e Vicenza; Alberto Carrara di Padova; Obizzo d’Este di Modena e Luigi Gonzaga di Reggio. Ciò non spense le gelosie che li dividevano fra loro: Mastino rinnovò la lega coi Fogliani a danno del Gonzaga e nuovamente con danno delle campagne reggiane che lo osteggiavano.
Il Gonzaga caccia di Reggio Luchino Visconti, Azzo e Guido da Correggio, cui poco prima aveva aiutato nel occupar Parma. Per cui Azzo irritato vende la città di Parma ad Obizzo d’Este per 26 mila fiorini. Ottenuto il possesso della città di Parma Obizzo s’allegò nuovamente con gli Scaligeri e coi Pepoli (di Bologna) a danno di Luchino e dei Gonzaga.
1345.- Non contento di aver teso un agguato ad Obizzo che tornava da Parma, il Gonzaga mise a ruba le terre dei Modenesi. Perlochè l’Estense afforzata la lega con Mastino, Pepoli e Carrara fece oste alla città di Reggio e vi pose l’assedio: se non che per la infermità (contratta) nella sua armata pei primi di ottobre fu costretto a levare l’assedio e ritirarsi: non così per questo Obizzo dal travagliare i Gonzaga e tentano per congiura di cacciarli da Reggio: ma scoperta la congiura fa un scempio orribile degli autori, partecipi e sospetti. Ma i Fogliani indomiti nell’odio e nella vendetta trattano accordo coi partigiani perché la città di Reggio sia tradita a Mastino che teneva per l’Estense. E fu ad un pelo la riuscita, se la rottura del ponte della fossa, non ruinava l’impresa. Risoluto l’Estense alle calende di Settembre tornò con impeto sulla città di Reggio, ma fu respinto dopo accanita e sanguinosa zuffa. Non invilì d’animo per questo l’Estense, ma tornò ad assediare Reggio; quando per lo strabocco dei fiumi fu costretto a levare il campo e tornò a circonvallare Rubiera. Falliti i replicati tentativi fatti da Obizzo d’Este per impadronirsi di Reggio, tenta poi un colpo allora sopra Rubiera che ubidiva ai Gonzaga. Alcune truppe Modenesi a 29 ottobre del 1345 recaronsi ad assediare quel Castello e per impedirgli i soccorsi vi alzarono d’appresso una forte bastia. Ma fossero i fiumi gonfiati dalle soverchie piogge o fossero le acque del canale rivolte dagli abitanti di Rubiera contro gli assedianti, questi ne furono assaliti ed inondati per modo che abbandonati cavalli, carriaggi ed ogni cosa dovettero precipitosamente fuggire: erano coi medesimi alcune truppe tedesche, contro le quali singolarmente avventaronsi i Rubieresi, inseguendo i fuggitivi, e una donna sola con un forcone ne prese cinque e percuotendoli continuamente li cacciò entro Rubiera. (Tiraboschi Mem. Stor. Di Mod. Tomo 3. Pag. 13).
Le truppe modenesi congiunte con alquante tedesche condotte da Guglielmo da Camposampiero, Podestà di Modena, pel Marchese Obizzo, ne tentarono invano l’assedio.
(Tiraboschi dalla Cronaca di Bazzano)
(In mense octobris exercitus Marchionis circa Herberiam venit. De mensis novembris illi de Herberia in noctis silentio aperuevunt canale super exercitus Marchionis et irruevunt in eum et (serpli)gaverunt et multi rustici difatti sunt in illo conflictu usque in odiernum vieni)
(Nel mese di Ottobre l’esercito dei Marchesi venne a circondare Rubiera. Durante il mese di Novembre quellli di Rubiera di notte in silenzio aprivano il canale sopra l’esercito dei Marchesi le acque irruppero in esso e tutto sommersero e molti rustici distrutti in quel conflitto fino a noi odiernamente sono giunti)
1346.- Forte ed esteso terremoto fu in quest’anno.
Obizzo Estense vedendo la difficoltà di conservare la città di Parma travagliato dalle continue paure del Visconti, d’accordo con Mastino vendè la città di Parma ai fratelli Luchino e Giovanni Visconti. I Visconti di rimpatto pacificarono i Gonzaga con Obizzo. Il Gonzaga fornì di gente Borzano e fondò la Rocca di S.Martino: Obizzo fortificò Castellarano e Campogajano.
1347.- Fiera pestilenza invase le nostre città per al quale molti morirono con desolazione e spopolamento delle città stesse.
1348.- Due anni fece strage questa pestilenza, per cui ne venne il caso della vittuaglia che durò quattro anni affamando ed immiserendo queste infelici popolazioni. A ciò si aggiunse il gelo delle viti per cui il vino montò a prezzi inauditi.
1349.- Morto Luchino Visconti e succedutogli il fratello Giovanni questi fece la pace coi Gonzaga: i quali per ridare la pace a Reggio distrussero i castelli dei Fogliani, poco dopo il Gonzaga stesso fece tregua cogli Scaligeri.
1350.- In questo anno accadde il Giubileo, primo che si rinnovasse di 50 in 50 anni. Giovanni Pepoli Signore di Bologna temendo per le patite soperchierie del Conte di Romagna di perdere anche Bologna, per la libidine di Clemente (Papa) di allargare la sua dominazione, cede la città stessa all’Arcivescovo Giovanni Visconti di Milano.
Delusa per tal modo l’avidità di Clemente questi pose l’interdetto sopra Milano, e lancia i Fiorentini e quelli della Scala contro il Visconti: ma il Papa non potè impadronirsi di Bologna difesa da Bernardo Visconti e da Feltrino Gonzaga.
1351.- Dopo due anni fu fatta la pace fra il Papa e i Visconti ai quali privilegiò la città di Bologna.
” Bonifacio Bojardi in questo tempo si teneva a forza lontano dal castello di Rubiera da Bartolomeo suo congiunto che avevane occupato i beni confiscandoli. Sorpresolo Bartolomeo a 21 maggio presso il torrente Tresinara lo uccise quindi fuggì nella Puglia”. (Tiraboschi. Rev.Ital: Tom.18° col.7)
“Bonifazio Bojardi uccise Bartolomeo Gentili dal quale era stato cacciato da Rubiera e confiscato di tutti i beni e passò quindi in Puglia ove fatto Cavalliere visse onorevolmente.”(Panciroli)
(In die 21 maji Bartolomeus Bojardus accidit gladio Bonifacium Bojardi in super stratam ultra Tresinarum et hoc quid eam tenebat extra Castrum Herberia et occubat bona sua)
1354.- Selvatico Bojardi figlio di Gherardo cui spiaceva vedere il castello di Rubiera in mano di troppi potenti Signori adoperossi per modo che sottratto il castello di Rubiera all’obbedienza dei Gonzaga sottoposelo a quella dei Visconti che ne proposero possesso e conferirono una sua provigione a Selvatico Bojardi. (Tiraboschi T.18° col.75/ T.15°- 481-619/ T.14° 216-239-251 / T.16° 332).
I Gonzaga fecero rubare a un mercante milanese un traino di buoi ed altre merci, per cui mosso da tale ingiuria il Visconti sollecitò i Fogliani e i Bojardi che tenevano Arceto a ribellarsi ai Gonzaga. Francesco Castracane suo generale corse sopra Modena, in gran compagnia di fanti e di cavalieri, che credeva prenderla a tradimento: ma fallita l’impresa tornò sul Reggiano mettendo a ferro e fuoco le ville e il suburbio della città. Ai 24 di giugno tornando a Modena per via ebbe Rubiera da Selvatico figlio di Gherardo, corrotto con gran somma, e per tradimento ebbe anche Campogajano e Fiorano.
(Il Visconti indispettito dalla lega di Can della Scala, Veneziani, Estensi e Carraresi che, chiamato in Italia Corrado Landi fratello di Lucio, ne attraversavano le ambizioni e ne minacciavano finanza e particolarmente i Gonzaga in Reggio con l’abbattere i castelli e derubare un mercante.) (Panciroli)
1355.- Carlo IV° di Boemia creato Imperatore viene a farsi incoronare a Milano poi va a Roma. Giovanni da Oleggio(?), sentita la morte del padre (Credeva fosse l’Arcivescovo Giovanni Visconti) ritiene per lui Bologna della quale era Vicario
Ma vedendo di non bastare a difendersi si fa lega col Legato del Papa, coll’Estense e coi Gonzaga contro i comuni nemici. Il Visconti volendo vendicare l’ingiuria e prima coi Gonzaga ruppe guerra ai Reggiani, ma fu rotto da Feltrino Gonzaga forte delle armi dei confederati che lo respingeva sulle montagne Parmensi.
1356.- I fuorusciti Reggiani assalivano il Convento di S.Prospero ad istigazione dei Visconti: il Gonzaga Feltrino con impeto e forza tenta di combatterli ma visto di nulla avanzare implora l’ajuto dell’Estense, di Giovanni da Reggio, del Carrara e dello Scaligero suoi collegati. Radunato per essi un grosso esercito a 16 di febbraio espugnarono il Convento, dove i fuorusciti si erano fortificati di fosse, di argini, e di steccati. Ma i Visconti per intelligenze segrete viene per occupare Bologna ma fiutato il tradimento, Ugolino Gonzaga, generale dei confederati, respinge le armate del Visconti, investì le terre dei Parmigiani e danneggia grandemente i Visconti.
1359.- Ma temendo Feltrino delle insidie che movevano dalle pretese de suoi parenti e consanguinei, unissi col Legato del Papa Urbano V° per difendere dalle armi de suoi avversari, fra i quali Ugolino Gonzaga che tentava di togliergli Reggio.
1361.- Era già passata una convenzione fra l’albonese e i Bojardi sul prendere parti di questi a pro della Chiesa. (Arch. del Comune di Scandiano).
1362.- Bernabò Visconti ansioso di stendere il dominio e di ricuperare Bologna fu rotto dal Legato del Papa che dapprima lo scomunicò e più volte lo sconfisse; poi avuta Rubiera dal Selvatico e Guido Bojardi, (o secondo altri da Rollando Leonardi Rubierese) ai quali promise cento fiorini il mese, indusse l’Estense, il Carrarese, e il Gonzaga a far causa comune contro il Visconti. “Salvatico stesso cambiò partito e unissi a quello della Chiesa nemica dei Visconti, la quale per mezzo del Cardinale Legato Alborno gli conferì il mero e misto impero nei luoghi da essi presentemente occupati”. (Arch. del Comune di Scandiano). Così che Selvatico cacciò dal castello le truppe del Visconti, e vi introdusse quelle della lega “Facendo venire segretamente da Modena alcune truppe e a 16 di luglio sorprese e costrinse ad uscirne quelle di Bernabò” (Tiraboschi Tom.15° pag. 633 e Tom.12° pag. 694 e 978). Occupata Rubiera e rafforzato l’esercito, il Gonzaga ruppe le genti di Bernabò, che non desistevano dal far scorrerie nel Bolognese. I Bojardi passati al servizio degli Estensi e del Papa, questi pare accordano loro un assegno mensile ed il mero e misto imperio nei luoghi dai medesimi occupati. (Arch. Estense)
1363.- Ma Bernabò visto di avvantaggiarsi nell’interesse di Bologna, a tradimento e di sorpresa tenta di prender Reggio a Febbrino. Ma fallitagli l’impresa di Reggio, pose l’assedio a Modena ma senza riuscita essendo stato battuto dalle armi della lega condotte da Febbrino. Non ristè per questo dal fermo proposito Bernabò, che ristorate le forze di nuovo tentò ad assediar Modena. E gli prestò grande ajuto il Castello di Rubiera dove Selvatico Bojardi Signore del luogo ritenendo il Castro della fortezza, ossia la fortezza stessa riceveva i soldati di lui. (Come era tornata Rubiera in mano al Bojardo, mentre l’aveva pochi anni prima consegnata alle armi della lega?).
1367.- Ma Bernabò non osservata la fede, vi aveva per se fatta fare altra fortezza e procurava di occupare il castello: onde Selvatico di presente diede la terra all’Estense. (Mast.Villani Lib. X° e XI° cap.3). Il Marchese Nicolò II° a prova della fedeltà dei Bojardi volle una testimonianza di loro devozione non essendo ancora padrone di quelle terre a 24 di marzo del 1367 nominò Nicolò Corradino e Vincenzo da Mazza suoi procuratori a ricevere da Selvatico e Feltrino Bojardi il possesso del Castello di Rubiera e porne alla guardia le sue truppe; ma poscia a 9 di aprile pago di quest’atto di soggezione rendette terre e castello medesimo e ne rimosse i suoi ufficiali (Ved. Tiraboschi).
1370.- Bernabò irritato per tale ingiuria, contro Feltrino, venne a campo sotto le mura di Reggio ma Feltrino forte dell’aiuto dei confederati Estensi e Bolognesi rompe l’assedio. Ma poco dopo il Bernabò riparò la sconfitta col rompere i confederati della Mirandola.
1371.- Ma poco dopo Nicolò d’Este cupido di allargare la Signoria e di vendicare la vecchia ingiuria ricevuta dai Gonzaga tratta con Selvatico Bojardi per sorprendere Reggio a tradimento. (Selvatico a dar prova di fedeltà agli Estensi, concertò con Gabenale Cavalganti e Filippo dei Roberti il modo di togliere Reggio a Feltrino e renderla al Marchese Nicolò II° il che sarebbe avvenuto se il tradimento del Conte Lucio Lando non avesse sconcertato le misure che opportunamente si erano prese, facendo che Reggio non all’Estense ma a Bernabò si assoggettasse.- Tiraboschi). E già aveva occupata la città, ma Feltrino indignato della slealtà dell’infedele compagno ad onesti patti rese la città di Reggio a Bernabò, il quale ricevute le chiavi, segno di dominio della città, mandò tostamente gente la quale introdotta nel castello, che tuttora era in mano di Feltrino:
1372.- Rassodate per tal modo le forze fecero una sortita dal castello nella città combattendone i nemici: ciò saputo Lucio Lando che combatteva le mura di Sassuolo corre sopra Reggio, ricaccia in castello le armi dei Gonzaga e del Visconti, e abusa della vittoria a danno della povera città di Reggio. Poco dopo, ricevuta dal Bernabò 4000 fiorini gli cede la città della quale ne prese possesso e la Signoria il Visconti.
1373.- Inaspriti gli animi fra i Visconti e gli Estensi continuossi la guerra più crudelmente di prima e così giurato dai Bojardi di tenere a devozione degli Estensi il Castello di Rubiera, e di ciò non paghi a 18 di gennaio del 1373 cedè Selvatico agli Estensi durante la guerra ogni suo diritto sullo stesso Castello e quindi ne presero questi il possesso e il tennero per qualche tempo volendo dai rubieresi il giuramento di fedeltà che fu dato al 15 di ottobre del 1374. – Segue il Panciroli – (Avuto per tal modo la città di Reggio, Bernabò spasimava di distendere l’imperio, volle occupare Modena e dopo alquante scaramucce mise in volta le genti del Papa a Rubiera.)
(nota dell’Autore)
ESAME DEL TACOLI PER TUTTO CIÒ CHE PUÒ RIGUARDARE IN RUBIERA, AVVISANDO DALLA CRONACA CHE VI SI TROVA.
La storia deve cominciare dalla fondazione del suo Castello che gli conferì una certa importanza.
Rubiera si vede sempre appartenere alla Diocesi e distretto di Reggio, per cui è probabile che al 1423, in cui passò agli Estensi, si reggesse cogli statuti antichi di Reggio, non trovando memorie che avesse statuti particolari; pare però da certa memoria che costituita separata e indipendente a mò di servizio adottasse, almeno pel criminale, gli statuti di Modena.
In tutto il restante si conduceva con ordinamenti, regolamenti e provisioni in proprio, conforme ai capitoli, concessioni e grazie di che gli erano liberali gli Estensi.
Conservava gli ordinamenti tradizionali quanto al Governo della Comunità; aveva Statuti propri sui dazi e gabelle.
1403.- La fedeltà e l’attaccamento mostrato dai Bojardi di Rubiera nel seguire il partito del Papa, a cui allora erano comunemente uniti gli Estensi, singolarmente all’occasione della guerra che la Chiesa mosse a Bologna nel 1403, ottenne loro dal Cardinale Baldassar Cossa, Legato, un onorevole diploma con cui ad essi concede in perpetua enfiteusi molti beni nei contorni di Rubiera che erano del Monastero di S.Prospero ma che erano rimasti sterili ed incolti.(Affar. Mon. Di S.Pros. T.1° pag. 461) (Scrip. R. Ital. T. XVIII° col.1056-1057). Circa quest’epoca i Bojardi Matteo, Bonifazio, Corrado erano feudatari del Castello di Rubiera – Tomo II°. PAG.107
1408.- Mostrarono poi maggiormente la loro fedeltà agli Estensi nell’ostinata guerra che questi ebbero a sostenere nel 1408 e nel 1409 contro Ottobuono de Terzi nella quale Gherardo e Feltrino fanno da principali condottieri delle truppe Estensi. E Nicolò pigliò la sua dimora durante la guerra in Rubiera. (Scrip. R. Ital. T. XVIII° col.1065). E fu nei dintorni del Castello di Rubiera che ai 27 di Maggio del 1409 fu a tradimento ucciso Otto de Terzi.
1421.- Dappoi che Nicolò III° ebbe assicurato con nuovo trattato del 1421 il suo dominio della città e del territorio di Reggio, conobbe che troppo importante era per lui il castello di Rubiera e venne cò Bojardi a trattato di cambio: fu sì da egli ceduta nel 1423 in parte e in parte del 1429. Così ebbe fine il dominio dei Bojardi. Il Marchese Lionello ad assicurare meglio questa importante fortezza cominciò a cingerla di nuove mura, il qual lavoro fu poi dal Duca Borso condotto a fine. (Script. Fer.Stat. T.20° col.462).
1454.- E il medesimo Borso con suo decreto del primo marzo 1454 conferma alla Comunità di Rubiera il privilegio concedetole già dallo stesso Leonello, cioè che quella terra non fosse soggetta alla giurisdizione d’alcuna città o persona, ma solo al Duca medesimo ed al Comune di Ferrara. Anche Ercole I° continua a fortificare Rubiera come da sua lettera si raccoglie.
CENNI STORICI SUL 1500 o SECOLO XVI
1505.- Morto Ercole a 25 di genajo del 1505 nello stesso giorno fu creato Duca di Ferrara e di Modena Alfonso I°. Questo fu anno di penuria e di malsania. La Borgia moglie di Alfonso I° venne a visitare il forte di Rubiera donde scrisse la lettera che si conserva nella Comunità di Modena. (Al 21 Agosto 1505 lettera della Lucrezia Borgia dal castello di Rubiera ai Presidenti della Repubblica di Modena.)
1506.- In quest’anno Papa Giulio recuperata col favore di Paolo Buglione, Venezia(?) colle sue fortezze, e coadiuvato da Ciamonte colle sue schiere inviategli dal Re di Francia, costringe i Bentivogli a sortire da Bologna, i quali pagata una somma al Ciamonte, Luogotenente in Milano, ottennero un salvacondotto per abitare nello Stato di Milano. (A consultarsi il Balbo e la Storia di Modena del Guercio”
1507.- I Bentivogli ajutati dai Pistoiesi raccolsero molta gente, e la collocarono presso Alessandro Pio in Sassuolo e Formigine, e invisibilmente presso il Conte Guido Rangone (entrambi nipoti del Bentivoglio) e in Scandiano presso Giov. Bojardi.
Ma Alfonso I° dispiacendogli che questi suoi feudatari tenessero mano ai nemici del Papa, chiamolli a Ferrara ove li trattenne, privando Guido Rangoni di Spilamberto.
Ne pago a questo spinse il fratello Cardinale Ippolito colle truppe di Ferrara e di Modena contro i Bentivogli che erano già postati sopra Bazzano per tentare un colpo di mano sopra Bologna, i quali rotti e sbaragliati dal Card. Ippolito alla Lamezia(?) dovevano rinunciare all’impresa, e ritirarsi in tutta fretta.
Questa impresa fu tentata per consiglio ed ispirazione, e per impulso di Ginevra moglie di Giovanni Bentivogli. (vedi Landi “Vita di d’Ercole” – Panino “Cronache M.S. – Vizzani e Bambaci)
Offeso ed irritato il Papa da questa mossa dei Bentivoglio, ne prese vendetta contro Modena coll’interdetto per sospetto che gli avesse fornito uomini o vi avesse prestato ricovero.
1508.- Aveva di poco tempo levato l’interdetto primo, che preso sospetto che una Bentivogli si nascondesse a Modena, le fulminò nuovo interdetto; quindi scomuniche e taglie contro i Bentivogli e contro chi li alloggiasse specialmente contro Guido Rangoni loro partigiano e seguace.
1509.-In Aprile il Papa dichiarò Alfonso I° Gonfaloniere della S.Chiesa per lo che questi mandò a Bologna molti dei suoi soldati per gratificarsi il Pontefice e seco di conserva rivolse le sue armi contro i Veneziani ricuperando così il Polesine e Rovigo. Ma sommossi i Veneziani dal parteggiare dell’Estense per il Papa, e più irritati della perdita suddetta, rivolsero il grosso delle loro armi contro Alfonso I°, e tentarono la Mirandola ove ucciso Dalvezio Signore d’…..; per ordine del Duca vi entrò Gherardo Rangoni con trenta cavalli per impedirne l’occupazione straniera.
1510.- Ma il Papa desideroso di ampliare lo Stato della Chiesa, mosse guerra al Duca Alfonso I° che lo aveva onorato e servito tanto fino allora: partito adonestato dal pretesto che il Duca tenesse amicizia coi Francesi e che fosse andato a Milano a visitare il Re: ma la ragione di si subita mutazione, fu il timore che l’Italia percorsa da tante armate potesse cadere sotto altri Principi; per lo che riconciliatosi coi Veneziani venne ei stesso in Romagna con formidabile esercito e prese Cento e la Pieve e quanti luoghi erano colà degli Estensi e taluni fecero baldorie in Bologna. Alfonso prevedendo dove andava a terminare tal mossa presidiò Nonantola, S.Cesario ed altri Castelli di gente e di vittuaglia ma più di tutti Rubiera, (…ove sul cominciare di Luglio si lavorò allo scavo delle fosse con aggravio della Comunità di Modena e delle soggette Castellanze che furono tenute a prestare gli operai – Dalla Cronaca dello Spaccini) della quale poi tanto ……… derivò al nostro stato. Poco giovarono tanti apparecchi, perché mentre Alfonso era occupato nella guerra ai Veneziani e nella ricupera degli usurpati luoghi di Romagna, nel mese di Agosto il Papa Giulio spinse sopra Modena le sue truppe, la quale, sorpresa alla sprovvista dovè arrendersi a Filippo Bentivoglio di Sasso Ferrate Viceimperadore del Papa, non avendo in se stessa armi per tentare la difesa ne tempo e mezzo per rimettersi e aspettare soccorso dal Duca troppo distratto ed impegnato (come sopra). Così avuta Modena tornò facile l’avere Sassuolo, Carpi, S.Felice e il Finale.
Il Papa arriva in questo tempo a Bologna. Le fanti del Duca, la maggior parte Francesi, si erano acquartierate a Rubiera donde venivano giornalmente a depredare il Modenese e nel ultimo giorno di settembre saccheggiarono Formigine menando via le donzelle, bruciarono Fiorano e il territorio di Sassuolo fu trattato peggio. Travagliata dalle frequenti incursioni delle genti del Duca, Modena mandò ambasciatori al Papa pregandolo a metter fine a tanti mali e a frenare le correrie. Per lo che fu mandato il Duca di Urbino con 16000 combattenti a Modena. Erano Condottieri di molta autorità nell’esercito Pontificio Paolo Buglione, Marco Antonio Colonna e Giovanni Vitelli i quali opinavano ed insistevano per attaccare i Francesi che sotto il Vicerè Ciamonte venivano da Rubiera per recuperare Modena al Duca; ma gli altri Capitani erano di contrario parere perché inferiori di numero con truppe colletizie senza ordine ed obbedienza per cui nacque discordia fra il Duca d’Urbino e il Legato sospetto di tenere coi Francesi ed imputato della perdita di Carpi e di altri Castelli, fu quindi preso dal Duca d’Urbino e mandato prigione a Bologna. In tanta differenza d’opinioni e di partiti altro non si fece che spesse scaramuccie verso Rubiera e scorrerie da questa parte, mentre Alfonso dall’altra prese il Finale ed altri paesi e più avrebbe fatto se unitosi col Ciamonte, se non lo avesse costretto a ritornare indietro la necessità di difendere Ferrara.
Ma Ciamonte non patì più a lungo le provocazioni e le scorrerie delle armi della Chiesa, ma fatto nodo in Rubiera delle sue truppe Francesi accostossi a Modena provocandoli ad una sortita: ma deboli e malsicuri si tennero ferme e chiuse le armi della Chiesa, sicchè, accortosi il Ciamonte della debolezza del presidio e della nessuna temanza per parte loro alle spalle, giudicò e assolvè colpire forte e tentare una decisiva impresa, anziché perdere il tempo in vane mostre e insignificanti scaramucciamenti: fattosi quindi sopra Spilamberto la prese e difilato corse su Castelfranco, quindi all’assalto di Bologna e riporvi i Bentivogli che aveva seco nell’esercito. Già disposte e puntate le artiglierie accingievasi il giorno seguente ad assaltare la città ma trattenuto dagli ambasciadori di Cesare, del Re di Spagna e d’Inghilterra, dissuaso calò a trattative d’accordo. Ma non ebbero effetto le trattative, perché in quel mentre arrivarono a soccorso del Papa gente Veneta e Spagnuola del che imbaldanzito ributtò con poca fede le già aperte trattative, il che conosciuto da Ciamonte e veduto che niuno si moveva per i Bentivogli, ritrossi sopra Rubiera e Reggio.
Visto adunque ingrossare le file della Chiesa il Ciamonte appostò in Reggio nuove truppe, fermo e risoluto a guardare solamente Sassuolo, Rubiera, Reggio e Parma. Battè le truppe della Chiesa che erasi spinte sul territorio Reggiano. Piegarono le armi della Chiesa sopra Sassuolo e dopo breve combattimento lo presero.
Di fatto allorquando nel 1510 le truppe pontificie occuparono Modena, la fortezza di Rubiera cui s’accostavano sostenne il loro impeto, e per lungo tempo tentarono esse invano di averla, finchè impadronitisi nel 1512 di Reggio, anche Rubiera cadde poscia nelle loro mani. Le truppe Francesi che erano a Rubiera presero d’assalto la terra di Formigine tenuta dalle armi pontificie. Approfittando di questi primi eventi, venne il Ciamonte a Rubiera per movere alla ricupera di Modena. Alloggiò quivi la cavalleria, mettendo a campo i fanti sopra Marzaglia donde fece molte correrie e scaramucce coi Pontifici che si tenevano sulle difese nel Borgo di Modena verso Rubiera.(Guicciardini T. III° Pag.ne 264 e 265).
2 e 3 agosto. Quelli da Rubiera che sono a parte del Duca Alfonso sono usciti fuori per tempo di notte e hanno fatto una scorreria per quello di Marzaglia e vi hanno tolto di gran bestiame
31 agosto. Ancora quelli da Rubiera fanno correria su quelli di Modena, e forzano le nuove armi, arrivate, a sortire
1511.- Voltò quindi il Papa le armi sopra Ferrara, ma volendo prima prendere la Mirandola, da tempo al Ciamonte di rifornire colle sue le truppe del Duca, e così perdè l’opportunità dell’impresa di Ferrara. Lasciò quindi alla guardia di Modena Marcantonio Colonna; andò poscia a campo alla Concordia che prese di viva forza, poscia assediò la Mirandola che dopo lunga resistenza si arrese per consiglio del Triusti(?) perduta avendo la speranza dei soccorsi. La restituì poi il Papa a Francesco Pico e la lasciò munita di truppe Spagnuole e Italiane perché non cadesse in mano ai Francesi.
Oste quindi le armi alla presa di Ferrara non potè mandare ad effetto, quindi portossi a Bologna.
Per consiglio del Re d’Aragona consegnò Modena all’Imperatore Massimiliano I° disgustato ed offeso di averne lese le ragioni coll’occupazione della città di Modena, e per la difficoltà di poterla mantenere oltre la presa.
Fu dunque consegnata a Cesare a 31 di Gennajo, e al primo di Febrajo ne fu preso il possesso da Vitfrust come Governatore e da Antonio Colonna come difensore.
Ciamonte non soddisfatto della cessione fatta dal Pontefice a Cesare della città di Modena e benchè occupata da Vitfrust, tacitamente tentò di sorprenderla e vi sarebbe riuscito se non fosse stato ingannato dal Cardinale d’Este, e se gli interni avessero corrisposto. Ritentò ancora il Ciamonte l’impresa ma vanamente per essere impedito dalla grossezza e furore delle acque di Secchia. Insospettito il Vitfrust che quei tentativi avessero filo e intelligenza colla città imprigionò alcuni cittadini sospetti di tenere per il Duca. (T. III° Pag.ne 264 e 265)
Ciò nonostante il Ciamonte non credendo a tale dedizione si mosse per sorprendere a tutti i modi la città e a tale effetto si partì con molta gente da Rubiera ed alcune volte danneggiò le ville, ma il giorno 18 Febrajo venne con tutto il grosso dell’esercito, con molte scale, molti ordigni per eseguire la meditata impresa, ma spaventati e sbigottiti da portentoso miracolo si diero alla fuga e difficilmente ripassarono Secchia cresciuta quel giorno, nella quale molti restarono assorbiti ed il Ciamonte ritirossi a Correggio ma dopo pochi giorni infermò e morì.
Tentata inutilmente dall’Imperatore, per mezzo del Vescovo Gorganze(?), la pace fra il Papa il Duca di Ferrara e i Francesi; Triulzio coll’esercito Francese e Gastone de Fois, figlio di una sorella del Re, s’approssimò a Bologna, donde fuggì il Papa sopra Ravenna, vi restituì i Bentivogli non trovando ostacolo nel Duca d’Urbino che tenevasi coll’esercito a Casalecchio. Ciò fatto il Triulzio riposò sul Modenese, e ajutò il Duca Alfonso I° a riprendere Carpi cacciandone Alberto Pio onde la sua porzione cadde in mano del Duca.
Intrepido anziché abbattuto dall’avversa sorte il Papa colleggossi col Re di Spagna, coi Veneziani e Svizzeri e ricevuti grandi ajuti per opporsi al Re di Francia, venne sopra Bologna, guardata e difesa da Gastone de Fois. Ma perduto d’animo i Francesi per la morte di Gastone de Fois sfilarono in ritirata sopra Modena per Milano conducendo tra i prigionieri Pietro Navarra, e il Legato Pontificio Giovanni de Medici.
Proseguì la guerra il Papa per mezzo del Duca d’Urbino; riebbe Bologna donde fuggirono i Bentivogli, poi venuto a Modena cavalcò verso Reggio e giunto a S.Maurizio mandò il Governatore di Modena Vistruff ad intimare la resa a Reggio a nome di Cesare la quale accettò e così Parma e Piacenza. Dopo tali acquisti il Duca d’Urbino s’impadronì della Garfagnana e ritornò a Bologna. Giunta la nuova a Roma di questi progressi, il Duca Alfonso I° che colà trovavasi con un salvacondotto per piegare il Pontefice, vedendosi soprastare il pericolo di prigionia evase travestito col favore dei Colonesi per scampare dalle ire e dalla vendetta del Papa.
Pervenuto con stato e pericolo a Ferrara presidiò e munì di fanti la città preparandosi alla difesa dall’assedio che a ragione doveva aspettarsi dal Papa che voleva a tutti i patti acquistarla alla Chiesa, e (che) recuperò Modena dall’Imperatore Massimiliano col prestito di 46mila scudi.
1512.- Impradonitosi Papa Giulio di Bologna, mosse il Duca d’Urbino coll’esercito contro Reggio. Posto il campo a Rubiera a cavagliere del fiume Secchia, e vanamente invocata la dedizione di Reggio al Papa, venne a S.Maurizio e per costringerla alla resa cominciò le solite devastazioni che determinarono la città alla resa.
Caduta Reggio, Rubiera pure fu presa e occupata dalle truppe Pontificie. (Panciroli V.II° Pag.ne 108-109-110)
(Antichità Estensi T.II° pag.329): ” Sottomesso Reggio e presa Montecchio venne il Duca alla terra di Rubiera sul fiume Secchia, dove quegli abitanti all’udire ch’ivi era in persona l’antico loro Signore fatta sollevazione contro Lionello Pio, ivi Governatore del Papa, gli aprirono le porte. Restava la Rocca fortissima e ben munita di quella terra che poteva far lunga resistenza: ma il Castellano Tito Tagliaferro da Parma al comparire gli spaventosi bronzi del Duca non volle aspettare la loro sinfonia e gli rassegnò la Fortezza.”
1513.- (Dopo l’acquisto di Modena dall’Imperatore Massimiliano per 46 mila scudi) il Papa vi inviò le sue genti per il possesso negatogli da Vistruff fino a nuovo ordine, poi andò per suo interesse ad’abitare nel Castello a nome dell’Imperatore.
Poco dopo Papa Giulio morì a 17 di Febrajo. Durante la sede vacante il Duca di Ferrara si accinse all’impresa di recuperare Reggio, promettendosi Giobattista Bobbi fuoruscito di avere corrispondenza nella città bramosa di ritornare sotto agli Estensi; ma scopertosi il trattato fu causa della prigionia d’alcuni principali Reggiani che furono condotti a Carpi donde poi evasero. Ne il Duca proseguì più innanzi per tema degli Spagnuoli che occupavano Parma e Piacenza come spettanti al Ducato di Milano.
A 12 di Marzo fu eletto Papa Giovanni de Medici, nomato Leone X che sborsò altri 40mila ducati all’Imperatore per riavere Modena al quale oggetto vi inviò Fabiano Lippa d’Arezzo, cui Vistruff negò (di nuovo) la consegna senza il beneplacito dell’Imperatore.
1514.- Nel 1514 i Conti Guido e Sigismondo Rangoni che tenevansi pel Duca ripresero questo castello come ci mostra la relazione fatta a questa Comunità a 3 di settembre del detto anno. (Ved. Arch. Com. di Modena). Ma presto ricadde in mano del Pontefice; e il governo di quella città non meno che di questa fortezza fu da Leone X affidato ad Alberto Pio. (Bibliot. Mod. T. IV° pag. 185).
Il Governatore Vitfrust dopo avere pacificato le parti in cui si era divisa la città la Papalina cioè e l’Estense che ne turbavano la pace e la sicurezza, fece trattenere in Castello i Conti Sigismondo e Guido Grossi Rangoni e mandarli a Sassuolo che era allora del Comune di Modena, donatogli dal Papa Giulio, poi a Rubiera e nessuno vi poteva parlare senza licenza del Castellano di Vitfrust, il quale pretendeva 3500 scudi per la (loro) liberazione. La città per compassione fece la sicurtà di 10mila scudi acciò fossero allargati, e 80 cittadini s’obbligarono che non uscirebbero di Rocca, ma andato egli (il Vistruff) in Alemagna per abboccarsi coll’Imperatore circa il lasciar Modena al Pontefice, avvenne che un servitore di detti Conti nomato Gio.Paolo ammazzò il Castellano suddetto e liberolli; quindi Andrea Duri governatore in luogo di Vistruff avendo paura del Conte Gherardo Rangoni rinforzò il presidio ed ordinò che le porte fossero chiuse. Per lo che tornato Vitfrust alfine d’assicurarsi volle per ostaggio Vincislao figlio del Conte Gherardo che mandò alla Mirandola. Per la qual cosa Guido pacificatosi cogli altri Rangoni s’impadronì coi suoi armati del Castello che fu saccheggiato collo spoglio di quanto apparteneva al Vistruff, trattenendolo fino alla restituzione del giovane Vincislao, poi cacciandolo facendo la consegna della città a Fabiano Lippa, Governatore a nome del Papa.
Alfonso I° riebbela poscia nel 1527 e nuovamente fortificolla. (Antich.Estens. T.II° pag 329).
1515.- In quest’anno nulla fussi di rilevante se si eccettuino le risse fra le fazioni in conflitto di Gherardo Rangoni coi Fassoni e i Grillinzoni da una parte, e dall’altra i Conti Alessandro, Guido Rangoni e Lavandisi(?).
Il Re Francesco di Francia cacciati gli svizzeri e conquistato il Ducato di Milano, mostrò desiderio al Papa di trattar seco, per lo che il Papa venne a Bologna, dal che avvisato il Re venne anch’esso con seco 40 fra Duchi, Marchesi e Principi, 800 Gentiluomini Francesi e Italiani, 1000 uomini d’armi per guardia, 1500 fra balestrieri e archibugieri a cavallo, 200 cavalli leggeri e 2000 fanti. A 10 di dicembre venne a Reggio e desinò a Rubiera poi s’avviò per Bologna. (Uscito di Chiesa, partì verso Rubiera, per vedervi la fortezza, la più celebre di tutte che allora si trovassero tra Milano e Cesena. Quivi pranzato, la sera andò a Modena e quindi a Bologna. – T. II° Pag 124 – Panciroli) Qui trattò a lungo col Papa sulla restituzione di Modena al Duca Alfonso, purchè pagasse alla Chiesa i 40mila scudi sborsati a Cesare, ma nulla seguì perché Giuliano, fratello del Papa, era stato dichiarato Governatore di Piacenza, Parma, Reggio e Modena con intenzione d’esserne investito per Duca in perpetuo.
Lorenzo nipote e generale del Papa ricupera Rubiera occupata da Guido Rangone, pagandogli 2000 ducati. (Guicciardini T.IV° Pag.ne 264 e 65)
1516.- Il Cardinale Bibiena compone in pace i partiti che agitavano la città. Guicciardini viene Governatore a Modena.
1517.- Fortifica la città contro il Duca d’Urbino che passando per le costate, andava alla recupera del suo ducato toltogli dal Papa.
1518.- Alberto Pio a favorire il Pontefice va colle sue genti a Vignola contro i Morini che tenevano pel Duca d’Este, e così riduce all’obbedienza della Chiesa i pochi riluttanti. Pel che gli viene donato il Castello di S.Felice, e forse anche fatto in tale circostanza Governatore di Reggio e di Rubiera.
1519.- Sparsesi voce della morte d’Alfonso, il Papa ordina levata d’uomini, per lo che s’agita il partito Ghibellino di Reggio.
1520.- Muore l’Imperatore Massimiliano I°, e viene eletto Carlo V°.
1521.- Il Papa assolda buon numero di Svizzeri, e si collega coll’Imperatore contro i Francesi per recuperare il Ducato di Milano a Bruno Sforza; con patto che Parma e Piacenza ritornassero alla Chiesa; fu compiuta tal Lega in circostanza che Scudo Vice Governatore di Milano venne con truppe sopra Reggio per spiare ed esplorare la non conosciuta ma sospettata Lega. Per cui Papa Leone pigliò motivo dalla pretesa invasione della terra della Chiesa, scoprendo la lega. Il Papa va sopra a Parma ma con poco buonesito. Alfonso riprende il Finale e S.Felice: per questo si fanno sevizie in Modena ed è travagliato lo Stato dal passaggio delle truppe Ecclesiastiche che vanno su Milano: questo è preso dagli Spagnuoli e Parma e Piacenza restituite al Pontefice; Vitelli colle milizie di Modena riprende S.Felice e il Finale. Ma poco godè il Pontefice di queste conquiste, che morì in Dicembre.
1522.- Fu eletto Papa Adriano Sesto. Incoraggiati i Bentivogli tentano nuovamente Bologna. Il Papa arriva a Roma. Gli Spagnuoli prendono Carpi e cacciano Alberto Pio per aver seguito le parti di Francia. Ercole figlio d’Alfonso ottiene la pace da (Papa) Adriano e il possesso di Ferrara e la speranza d’essere integrato di Modena e Reggio.
1523.- Morto Adriano, Alfonso s’accinse a tentarne l’acquisto (di Modena) col favore della montagna e colle vessazioni sopra Modena dalla parte di Carpi. Il Guicciardini non potè difendere Carpi trovando difficoltà, nell’interregno, a pagare gli Spagnuoli che formavano il nucleo della Milizia di Modena. Ma Alfonso arriva sotto Modena e l’invita alla dedizione: ma essendo la città ben provvista, e soccoribile prestamente per la vicinanza di Bologna, piega sopra Reggio soccorso da quelli del Frignano col (?….) ed unito a Renzo de’ Leri, arrivato a Reggio intimò la resa.
Atterriti dall’apparecchio e desiderosi di tornare all’antico padrone il dì di S.Michele si arresero i Reggiani. Per lo che Modena raddoppiò le difese cacciando i sospetti ed atterrando le case dei dintorni e distruggendo il forraggio.
Avuta Reggio, Alfonso tornò sopra Marzaglia, poi chiamato il Principe Ercole da Ferrara con grossi pezzi d’artiglieria, minacciando tuttavia Modena, ma indarno si voltò verso Rubiera, avendo prima fatto accampare Teodoro e Triulzio con mille fidati a piè e a cavallo vicino a Modena dalla banda di mezzogiorno, i quali ruppero tutti i canali che porta(va)no acqua alla città. Il presidio di Rubiera non comparendo ajuti dai Modenesi rese, dicono corrotto per denari, poco dopo la Rocca, consegnandola,Tito Tagliaferro parmigiano (all’epoca castellano), al Duca stesso il quale incautamente la munì di fosse e muri con dispendio dè contadini e terrazzani, atterrò quante case erano intorno per cinquecento passi e dimorandovi quaranta giorni facendo correrie sopra Modena, di qui pure corse sopra Sassuolo per rivendicarlo dalle mani dei Cucchi(?), che poco prima, e durante la sua mansione a Rubiera, l’avevano presa coll’uccisione di molti della famiglia dei Merzi suoi nemici e coll’incendio delle loro case.
(Antich. Est. T. II° pag. 329) “Dopo la presa di Reggio e Montecchio Alfonso venne alla terra di Rubiera sul fiume Secchia, dove quegli abitanti visto che ivi era in persona l’antico loro Signore, fatta sollevazione contro Leonello Pio ivi Governatore del Papa gli aprirono le porte. Vi restava la Rocca, fortissima e ben munita di quella terra, che poteva fare molta resistenza, ma il Castellano Tito Tagliaferro di Parma al comparire i spaventosi bronzi (fatti venire da Ferrara per la presa di Modena) non volle aspettarne lo scoppio e gli rassegnò la fortezza. Ivi il Duca si fermò e pose quartiere studiando e spiando occasione e opportunità a maggiori imprese”
Venne in tal’anno eletto a Pontefice Clemente VII° per lo che il Duca e il Triulzio si ritirarono prima a Brescello poi a Ferrara.
Rubiera viene di sorpresa sottratta ad Alberto Pio, che tenendola in nome del Papa, lasciava sospetto di patteggiare per la francia. Pochi giorni dopo difatto Renzo de’ Ceri conduttore dei Francesi e dei fuoriusciti saputa la morte di Adriano Papa, destramente tentò di impadronirsi di Rubiera, e sul pieno della notte i suoi soldati avevano già occupato il primo ponte e fidenti si accingevano ad assalire il secondo, quando svegliate le scolte, e dato l’allarme il presidio li repinge coll’uccisione di molti facendo prigioniero Tristano Corso, loro Colonello. Impaziente di ricuperare la paterna città colse il destro Alfonso della sede vacante ed unitosi al Renzo de ‘Ceri, portossi sopra a Modena ma inutilmente; voltosi allora a Rubiera ove prese campo per intercettare le comunicazioni fra Reggio e Modena ed impedirne i sussidi. Alle minaccie dell’Estense i Reggiani cederono la Città. Renzo de’ Ceri lasciò il Territorio Reggiano e l’Estense andò a campo a Marzaglia intimando la resa a Rubiera difesa e tenuta dalle armi Papali (vedi pag.ne 194 e seguenti T. II° del Panciroli)
Alfonso I° riebbela poscia nel 1523 e nuovamente fortificolla (Ant. Esten. T.II° pag 641)
1524.- 10 Maggio – Il duca fa lavorare in fretta a Rubiera, temendo che il papa volesse riprendere le ostilità. 30 Dicembre – Si dice che il Re di Francia ha accordato il Duca di Ferrara colla Santità di Papa Clemente VII° investendo il Duca della città di Ferrara, con che il Duca restituisca alla Chiesa tutto quello che gli ha tolto cioè Rubiera, Reggio e Brescello.
1525.- 3 Marzo – Il Duca fa sgomberare le case intorno a Rubiera per timore degli Spagnuoli. 10 Marzo – Gli Spagnuoli avendo preso Carpi, il Duca si mette sulle difese a Rubiera e Reggio.
1526.- Maggio – Il Duca ha fatto fornire di fanteria Reggio e Rubiera. 29 Luglio – Il Conte Bernardino dell’ …… capo dei Cavalli Leggeri di Modena fa spianare il canale presso Rubiera che dava a Carpi, il quale fu spianato un’altra volta. Gli Spagnuoli che tenevano Rubiera ne avevano fatto fare un altro, e lo hanno spianato perché non possano macinare. Il Conte Guido (Rangoni) tornando da Parma a Modena riprende Rubiera.
1527.- 24 Maggio – Il Duca fa ponti a Carpi e Rubiera. Il Papa chiamava le truppe pontificie sopra Roma minacciata ed assediata, quindi assottigliato il presidio di Modena, il Duca Alfonso che si trovava a Rubiera (come e quando ripresa dalle mani di Guido ?) intimò a Modena la resa, la quale si diede spontanea e mandò suoi Legati a Rubiera ove si segnarono i Capitoli di resa, e il dì dopo il Duca venne a Modena e ne riprese il possesso dopo 16 anni che gli era stata tolta.
1529.- Carlo V° Imperatore va a farsi incoronare a Bologna passò da Rubiera ove fu incontrato dalla nobiltà Modenese. A Bologna si convenne dal Papa che Carlo V° mandasse le sue truppe all’assedio di Firenze, e nel passaggio delle stesse, Rubiera pure fu gravata del loro alloggio.
1530.- Dopo l’incoronazione di Carlo V° cui era accorso anche Alfonso, fu nominato per compromesso, nella questione di Modena e Reggio, Cesare perché giudicasse (a) chi apparteneva, così che invitato a Modena Cesare, il Duca gli consegnò la città e Cesare vi mandò per Governatore lo Spagnolo Zapata.
1531.- Zapata si ritira e restituisce Modena ad Alfonso.
1534.- Muore Alfonso e vi succede Ercole Secondo.
1551.- Il Duca Farnese temendo l’insidie de Spagnuoli che trovavansi a Piacenza ricorse al Re di Francia che lo soccorse di molti soldati: del che irritato l’Imperatore mandò il Gonzaga ad assediar Parma, collegandosi col Papa perché ci … e vi convenisse colle sue truppe che erano già a Castelfranco. Vennero pure su Parma i soldati Pontifici, ma i Francesi che tenevano la Mirandola fecero invasioni e depredazioni sopra Bologna e fatto il bottino soccorsero la minacciata città di Parma.
Continuando poi le truppe Francesi guidate da Bentivogli e Strozzi a depredare il Bolognese, le truppe Papaline furono costrette a ritirarsi indietro per difendere Bologna. Se non che gli Spagnuoli inseguendo i Francesi che molestavano la ritirata dei Papalini vollero sorprendere Rubiera ma gli fallì il colpo e ciò perché loro pareva che il Duca favorisse troppo i Farnesi, tanto più che per esso militavano in Parma molti distinti ufficiali modenesi.
1555.- Il Papa Paolo IV° contrasse la lega coi Francesi contro e a danno dell’Imperatore desideroso di acquistare il Regno di Napoli; della quale collegazione fu Generale Ercole Secondo, che non volle però seguire le truppe Francesi che marciavano sopra Napoli, non troppo sicuro nel suo Stato dalle insidie dei contermini.
Ma indignato il Re Filippo di Spagna dalle offese recata da Ercole ai Signori di Correggio scrisse al Duca Ottavio Farnese perché ne facesse la vendetta assalendo gli Stati Estensi, diffatto Ottavio dopo molte azioni prese la terra di Scandiano e presidiatela se ne fa un punto d’appoggio per depredare i dintorni e molestare Reggio e Modena, e Rubiera specialmente .
1559.- Muore Ercole II° e vi succede Alfonso II° e poco dopo giunse la pace a ristorare i danni della patita guerra.
1561.- In questo anno accade la memoranda vendetta fatta da Lanfranco Fontana contro i Bellincini suoi nemici, e fu una scatola ben dipinta con fuori legata una lettera chiusa con sigillo ed acconcia con filo in modo che taglliando il filo per leggere, pigliava fuoco e scoppiava come una granata ed uccideva cha la teneva. Così che mandandola ad un tempo a molti de suoi nemici, a tutti ne avvenne micidiale conseguenza nell’aprirla. Donde il famoso proverbio, cioè la scatola di Modena:
“Le scatole di Modena e gli archetti di Verona erano costruiti in modo che, nello scoccarli, la freccia si rivolgeva e feriva il tiratore”. Cioè accarezza per uccidere.
CENNI STORICI SUL 1600 o SECOLO XVII
1631.- Volendo ricambiare i benefici ricevuti dal re di Spagna e gratificarselo maggiormente, istigato anche a ciò da Fulvio Tassi là residente a suo nome, Francesco volle andare in persona a visitare, in Spagna, il Re. E tornando fu incontrato a Rubiera dalla Duchessa Maria sua moglie, dai suoi fratelli Obizzo e Cesare e dallo zio Principe Ippolito e fu ai dì 23 di Novembre.
1655.- Il Cavarena Marchese Governatore di Lombardia di proprio arbitrio, e per motivi e cagioni mendicate anziché vere, (Pretendeva il Cavarena una piazza per sicurezza o i figli (del Duca Francesco I°) per ostaggi, esigenza imperiosa ed offensiva all’indipendenza di un Principe libero, quindi rigettata) passa il Po’ l’improvviso e corre sopra Reggio ove trovasi il Duca, che vedendo non poter resistere lungamente e con esito alle truppe d’assedio perché troppo superiori, si ritira sul Modenese e, affidata la difesa di Reggio al Pallavicini, raccolse truppe prestamente e fattale avanzare verso Rubiera, ove era un grosso di cavalleria sotto il Conte Bojardi, costrinse il Cavarena ad abbandonare l’assedio, e ritirarsi nuovamente di là dal Po’.
1701.- Si apre il secolo decimottavo sotto i migliori auspici e promettevole di riforme e di quieto vivere. Si aprono (a Rubiera) le due nuove porte col denaro pubblico, e si sopprime la vecchia. Si introduce la posta, che prima era a Marzaglia con utile del Paese.
1702.- Morto Carlo II° di Spagna succede la guerra fra i pretendenti alla successione. Filippo V° figlio di Luigi XIV° di Francia, occupa la Lombardia, e perché ligio all’Impero s’impossessa del Ducato di Modena. Rinaldo I° si trova costretto a ritirarsi a Bologna commettendo a una consulta il proprio Stato. La Francia mette presidio in Rubiera, e vi tiene un quartiere d’inverno nel 1702.
1704.- Viene concessa a decoro e beneficio pubblico una Collegiata di Canonici, la quale prende sede nella vecchia Chiesa Consorziale o Parrocchiale – I Minori Conventuali approfittano di tale concessione per avere un titolo di introdurre in Paese il loro Convento, a danno e pregiudizio della Confraternita della Nunziata. La quale per ordine Ducale viene costretta a cedere il suo Oratorio non che i beni fondi ai Frati i quali si obbligano ad erigere una Chiesa con accanto il Convento.
Con bolla di Clemente XI° la Chiesa di S.Faustino viene unita a quella di S.Donnino e Biagio di Rubiera, eretta in Arcipretura ed in Chiesa Collegiata coll’ordine di mantenere un Vicario in S.Faustino.
1706.- La guerra per la successione di Spagna viene a turbare ed interrompere il corso delle annunciate riforme. I Francesi già padroni di Modena non potevano difenderla dai Tedeschi, i quali ripresa Reggio e stretta la Rocca di Rubiera costrinsero alla resa i pochi Francesi che la difendevano. Fu l’ultima volta che il canoniere a difesa ed offesa tuonò il cannone dai nostri bastioni. “Nel 1706 mentre i Francesi erano padroni dello Stato di Modena, i Tedeschi ripresero la città di Reggio, e stretta la Rocca di Rubiera costrinsero alla resa i pochi Francesi che la difendevano.” (Antich.Estensi. T. II° pag 641). Il Principe Eugenio spedito in soccorso di Torino, spazza i corpi sparpagliati dei Francesi, e prende anche Rubiera col suo Presidio. Il Duca ritorna da Bologna e riprende il possesso dei suoi Stati che gli vengono confermati in premio della sua fedeltà.
1708.- Sull’area del demolito Oratorio i Frati innalzano la nuova Chiesa, e la Confraternita dalle proprie rovine risorge per carità pubblica più rigogliosa e fabbrica essa pure il suo Oratorio.
1709.- Gelo delle viti che seccarono quasi interamente nell’Agosto.
1712.- Missione alla Chiesa dell’Ospedale.
1713.- Mortalità di bestiame per epizoozia. Sospetto di contagio si chiudono i passi e si prendono misure preservative. Chiusura dei passi di Secchia durante la guerra.
1720.- I Canonici acquistano dai Frati la nuova Chiesa e portano in essa la Parrocchiale. La vecchia Chiesa resta ragione dei Consorziali col titolo di S.Giuseppe, restando in essa di servizio pubblico le tombe e sepolcri che servirono ancora per non poco tempo di pubblico cimitero. Per sospetto di contagio vengono chiusi i passi.
1735.- Gravi danni furono inferiti ai PP Conventuali dalla venuta dei Francesi, che ne occuparono il Convento e ne estorsero vettovaglie e foraggi.
1742.- Mentre il Duca tentenna a prendere partito fra l’Austria e i Napolispani che si avanzano sopra Modena, Carlo Emanuele di Savoja di conserva col Fracca s’impossessava a 17 Maggio della città di Reggio e mette presidio a Rubiera dalla quale il Duca aveva ritirate le sue truppe. Presidiata la fortezza di Modena e Mirandola, il Duca abbandonò lo Stato in mano di una giunta ritirandosi a Venezia.
L’armata Austro-Sarda s’impadronì poscia di tutti gli Stati del Duca di Modena.
1743.- Le truppe Sarde alloggiarono in grosso numero per più di un mese all’Ospedale tenendosi accampati sulla Secchia; furono fatte grosse abbattute d’alberi per gettarvi ponti militari; i chiostri furono guasti e malconci dalla Cavalleria.
1746.- Danni inferiti all’Ospedale dagli Austriaci.
1751.- Conclusa la pace di Aquisgrana si riprendono le riforme e si ritorna a vivere più riposato e sicuro. Il Paese riprende i suoi mercati disusi essi per difficoltà di tempi e mala sicurezza publica. Riprendono le fiere libere e franche come per lo passato. Che poi nel 1753 furono favorite con appositi regolamenti.
1752.- Anno di carestia, solita conseguenza delle lunghe guerre e dei disastri di cielo.
1755.- Ristaurato il Corpo di guardia di Porta Modena; alzata la torre del Comune e rifusa la campana del Publico.
1758.- Rubiera preferisce di rinunziare all’esenzione del mercato e fiere anziché continuare nella condotta del Dazio di Traversia.
1760.- Ristaurata la torre dell’orologio e ridotta la batteria alla oltremontana.
1761.- Il Fibramonte obbliga l’Arciprete a somministrare la cibaria al predicatore a fronte di £. 105 che gli vengono pagate dal Comune
1766.- Soppresso l’Ospedale dei Pellegrini, iuspatronato Sacrati. Abolito il privilegio del nostro canale aggregandone l’amministrazione e i redditi alla Ducal Camera.
1768.- Fu soppresso il Convento dei Minori osservanti.
1771.- Convenzione fra la Comunità e l’Arciprete Silvetti pei camerini annessi alla vecchia Canonica.
1776.- La Comunità riordina il capitolato di cassiere.
1781.- Riparazione al pilastro che accennava al Convento dei Minori Conventuali.
1783.- Viene demolita la cameretta di immunità che esisteva fra la Chiesa vecchia e la casa dell’orologio.
1789.- la fiera di S.Donino viene portata nella Domenica e Lunedì avanti il S.Martino. Sotto la direzione dell’Ing. Bolognini si eseguisce il coprimento di non poche latrine migliorando le condizioni igieniche del Paese.
1796.- Viene ultimato il nuovo ponte sulla Secchia. Le armate francesi entrano in Paese. Si pianta l’albero della libertà. Il popolo abbatte gli stemmi Ducali, e così i gentilizi che erano nei capitelli delle colonne della Porta. Dimostrazioni politiche all’avvicinarsi dei Francesi. Faini capitaneggia il popolo a festeggiare l’albero della libertà. Arrivo del Commissario Francese.
Del 1796 i Reggiani amatori di novità che vennero per sommovere il Paese a dimostrazioni ostili al Governo furono presi a fucilate e costretti alla fuga e ciò non tanto per spirito di parte quanto per la convenzione fatta in antecedenza coi Comuni limitrofi, colla quale si erano giurato reciproco ajuto per respingere le invadenti novità dei Francesi, a sollecitazione del Faini, partigiano caldo e operoso della Rivoluzione fu inalzato l’albero della Libertà in mezzo alla gazzarra del popolaccio; sicchè il Mignani si condusse ad incontrare le truppe che marciavano su Modena con proclama.
Stavano nel Forte due cannoni che furono trasportati a Modena, e fu lasciato il Forte completamente sguarnito e disarmato.
L’arrivo dei Francesi nel 1799 fu il giorno di S.Luigi. il Mignani aveva fatto dar acqua alle fosse e messo in croce il Paese. Una scorribanda di assaltatori francesi a cavallo, passato Tresinaro per la via di Montecatino si spinsero fin dentro le mura ove visto il Giannini vecchio soldato e comandante il Forte lo investirono mentre fuggiva per ritirarsi in Rocca e lo percossero con un colpo di sciabola.
Ma sul ’99 ricuperati dall’Austria questi territori, non credendo un ritorno, fu ristaurato il passato e mentre la reazione si preparava a quelle solite esorbitanze che le vanno congiunte, si cominciò a parlare in consesso di truppe Francesi reduci da Napoli.
Queste arrivano alla riscossa esasperate dai contrasti e dagli atti di ostilità superati negli Stati Pontifici, in Toscana e fino dalle Ville delle nostre basse colline sulla Secchia.
1798.- Sono chiuse le due Chiese, cioè della Annunziata e quella del Consorzio.
1799.- Saccheggio dell’armata di Mac Donald reduce da Napoli.
Mac Donald reduce da Napoli trova ostilità nel Paese, il quale si mette sulle difese scambiando gli avanguardia dell’armata per sbandati e disertori. Prende il Paese di viva zona e lo abbandona a breve saccheggio; imprigiona il Mignani che viene sul tamburo condannato a morte, poi graziato per intercessione dell’Arciprete.
LE TRUPPE NAPOLETANE A RUBIERA NEL 1815.
La divisione comandata dal Generale Carascopa arrivò a Rubiera a 9 di Aprile del 1815: dopo poche ore ritornò a Modena: e prese il suo posto, al Ponte di Secchia, un distaccamento di 24 uomini del 3° reggimento Lancieri a cavallo. Il giorno dopo sopraggiunse ancora una nuova divisione Napoletana, la quale retrocedendo per Modena cambiò il distaccamento al Ponte con altra compagnia di linea, forte di 93 uomini. Verso le ore 5 (cinque) pomeridiane dello stesso giorno sono entrati in Rubiera, dopo leggiera scaramuccia, gli Austriaci forti di 400 uomini circa, cioè una compagnia di Tirolesi, altra Austriaca e circa 200 di cavalleria Ungherese che si accamparono al Ponte di Secchia. Lo Stato Maggiore alloggiò alla casa di Luigi Romoli.
Agli 11 d’Aprile provenienti da Reggio passarono da Rubiera diretti per Carpi circa 1000 Austriaci. A 12 dello stesso, oltre il corpo stanziato da alcuni giorni, giunse pure di rinforzo il Reg.to Esterali forte di 3000 uomini con cavalleria e treno di artiglieria e si è accampato nei Paduli. Alle ore 1 (una) pomeridiana è partito il primo corpo Austriaco pur forte di 400 uomini arrivato il giorno 10. Col giorno 14 le truppe Austriache sgombrano il questo territorio e impoverirono questo Comune.
Qui cominciarono pel paese e Terrazzani dapprima la miseria effetto delle devastazioni, derubamenti e licenze militari, poi la carestia dei cereali che durò per ben due anni; e per ultimo il tifo che infierì con grave mortalità, trovando corpi esausti pei patimenti e privazioni, e per conseguenza sprovveduti di resistenza organica per resistere alla causa morbosa, e per superarne gli effetti sull’economia.
Poco dopo i patimenti della fame e le desolazioni dell’epidemia, avvenne il passaggio degli Austriaci pel Napoletano. Più tardi del 1822 si concentrarono in questo Forte i prigionieri politici e quivi da una Commissione Statuaria furono condannati. Don Andreoli venne ghigliottinato nel bivio a sera della Rocca. Nel 1825 avvenne il passaggio dell’Imperatore ricordevole per il riattamento delle case che fiancheggiano la strada maestra, che presentavano ancora le vestigia delle distruzioni e del saccheggio dei Napoletani. Nulla fuvvi più di ricordevole fino al 1830 epoca in cui ci fu tolto il Comune ed aggregato il nostro territorio a quello della Comune di Modena.
Dopo la restaurazione del 1831, sulla istituzione delle milizie di campagna cui si aggregò il marranume del popolaccio, il che più tardi produsse disturbi e dispiaceri non lievi.
Amnistiati i compromessi del ’31 a condizione si consegnassero furono detenuti in questo Forte fino alla loro liberazione. Nel 1847 accaddero tumulti per rincaro dei cereali, e si operarono spogliazioni e rapinerie. Ripristinato l’ordine a dar lavoro e guadagno al popolo si cominciò la distruzione del Rivelino.
Del 1848 avvenne la rivoluzione alla quale pure il nostro Paese prese parte coll’offrire un contingente volontario per la guerra che si combatteva contro gli Austriaci in Lombardia.
Durante la nostra rivoluzione, i volontari che si trovarono dimenticati e trascurati dal Governo, si portarono sopra Modena per farsene rendere ragione: ma giunti a Rubiera furono incontrati da agenti di Governo che loro proposero patti. Fontana e Piva capi delle due compagnie dopo trenta ore di festa, accettarono di deporre le armi nella Cittadella a patto di essere accolti dalla città come amici. Ma passato il Ponte, Piva non volle andare a Modena e si portò a Sassuolo, Fontana fece il suo ingresso in Modena la quale sotto apparenza di lieta accoglienza aveva posta in arme tutta la Guardia Nazionale: del che accortosi il Fontana sdegnoso ruppe la spada, lasciando i suoi soldati.
1800.- LA Francia vittoriosa a Marengo, recupera l’alta Italia; occupa nuovamente l’Emilia e vi ripristina il Governo Republicano. Si sopprimono la Chiesa Consorziale e l’Annunziata e si rafferma la vendita dei beni ecclesiastici. Passaggio di truppe Francesi.
1804.- colla nuova distrettuazione Provinciale e Comunale viene tolto a Rubiera definitivamente le ville di Bagno e Marmirolo e per compenso gli si unisce Marzaglia attaccando il Comune alla Provincia o Dipartimento di Modena.
1811.- Si dirocca l’interno del Forte e con esso si distruggono le vecchie prigioni, ricostruendo su nuove basi l’interno per uso di prigioni criminali – civili.
1814.- L’armata Napoletana accampa sulla Secchia, estorsioni sul Comune. Incendio dell’Archivio. Le autorità comunali fuggono. Succedono licenze, rapinerie e devastazioni nell’interno del Paese e peggio nei dintorni.
1815.- L’armata di Napoli si spinge in nome d’Italia fino a noi. Fatti d’armi sul Ponte. Prevale l’Austria e si ritorna al Governo Ducale.
1817.- Penuria di grani, il tifo infierisce e semina lo spavento. Cominciano le riforme della Restaurazione; Rubiera resta priva della Giudicatura; ultimo giudice degli Estensi Zuccoli, che fu poi prigione nel 1821.
1821.- Passaggio di grosse colonne Austriache pel Napoletano.
1822.- Si istituisce in Rocca il Tribunale eccezionale di Stataria per condannarvi i Franchi Muratori, che in numero di 47 sono condotti e guardati da presidio Austriaco. Avussi (l)a sentenza. Supplizio del don Andreoli, ghigliottinato e ultimo seppellito nella tombe degli Angeli della Chiesa Consorziale che ancora serviva di pubblico cimitero.
1825.- Passaggio dell’Imperatore d’Austria; ristaurate le case della via principale; migliorate le porte diroccate e cadenti, il paese perde quel lurido e squallido aspetto che lo faceva triste.
1830.- Si sopprime il Comune di Rubiera, e il Paese perde la sola istituzione alla quale si atteneva il suo benessere. Offeso sentimento di personalità e irritamento pubblico.
1831.- Sconvolgimento politico al quale il Paese risponde e prende parte.
Si ripristina il Comune, il Paese da il suo contingente volontario al Zucchi, che incalzato dai Panduri si ritira per le Romagne ed è sconfitto alla Catolica.
1833.- Piena strabocchevole del Tresinaro, che rovescia e scarta le pile in cotto del vecchio Pedagno. Trabocca e inonda i Paduli con lieve danno.
1842.- Grossa piena straordinaria di Secchia la quale rotti gli argini del Lovetto corre a trabocco dalla Contea e si riversa in Tresinaro, il quale più gonfio e impetuoso straripa e devasta le prossime campagne con allagamento di vasto territorio. Nuovamente viene rovesciato il Pedagno di Tresinara che era stato rimesso ed allargato dopo la piena del 1833.
1847.- Tumulto pei cereali. Invasione di granai di speculazione e privati. L’imitazione dei disordini altrove avvenuti ed impuniti, i lavori pubblici non sorvegliati, e per ultimo le imprudenti serrate del Generale, più che il bisogno reale furono causa e incitamento al tumulto. Fu sedato con qualche apparenza di forza e con imprigionamenti.
1848.- Il Paese risponde al movimento politico con feste e baldorie. Nel giorno di Pasqua riceve le truppe Piemontesi con dimostrazioni di gratitudine e d’amore. Da il suo contingente di volontari per la guerra.
I reduci da Boviolo e da Marcusia(?) fanno posta in Paese a parlamentare con Modena spaventata dal loro arrivo. Fatta una convenzione col Sanboy partono per Modena e si dividono da quelli di Sassuolo.
1849.- Alla vigilia di Novara le truppe Estensi pernottano in Paese. Il Duca al mattino le passa in rivista e partono per Brescello in mezzo agli schiamazzi della plebe sempre nemica della borghesia. Poco dopo tornano alteri e baldi di vittoria non propria, ed al ristauro succede la reazione di parte.
1856.- Infierisce il colera. False misure, provvedimenti apparenti, dilapidazioni del pubblico denaro, mortalità. Morte dell’Arciprete Don Bassignani. Mi succede nel 1857 il Dr Chiesi, che si fa organo a rappresentare al Duca i voti di pochi intriganti pel ripristino del Comune. Ma vanamente.
1859.- Poco dopo cominciate le ostilità in Piemonte, succedono provocazioni e vessazioni per parte dei militari, fomentate dai malevoli del Paese.
Parte il Duca da Modena. Fuggono i prigionieri dal forte.
Il Paese abbandonato a se stesso e senza Governo oscilla irresoluto fra i partiti. Finalmente il Comune alza la bandiera in mezzo al silenzio.
Continua sotto altro ramo il Governo Ducale. Si manda un miserabile figuro col titolo di commissario.
Un equivoco fa correre Garibaldi da Modena visita il Forte e ne consiglia la demolizione, ordinata dal Farini, sospesa da Ministero Fanti.
Si nomina in agente in persona di vecchio Governo. Cade e con esso i partiti si trovano afronte.
Si inaugura il Ponte della strada ferrata, e si apre la strada ai convogli militari.
La notizia di Magenta decide l’evacuazione degli Austriaci dallo Stato. Si mina il Ponte della ferrovia ma senza risultato.
1860.- Si ripristina il Comune per Decreto della Dittatura, e si restituisce la giudicatura detta Mandamento. Il Forte si destina ad uso reclusorìo militare, sprecando il denaro per riduzioni e modifiche fatte senza consiglio.
1866.- Poco dopo la campagna contro l’Austria, si sopprime il Reclusorio militare della Rocca; si ritirano le truppe di presidio e il Forte resta abbandonato alla discrezione dei ladri che lo manomettono e lo spogliano.
1867.- Nel Febbraio cessò il Forte di Rubiera di essere carcere militare; i prigionieri militari vennero trasferiti nel Forte di Bari. L’ultimo comandante del Forte e del Circondario militare di Rubiera fu Pietro Malagola di Ravenna, Capitano dello Stato Maggiore della Piazza.
1875.- 6 Sett. Vittorio Emanuele II assiste nei prati Paduli ad una grande fazione campale. Dopo, il Re e le truppe si recarono a Marzaglia e si eseguì una finta battaglia assistendo il Re dal Ponte della strada sulla Secchia. Dopo ripassò pel Paese accolto ovunque da fragorosi evviva. Forse questa fu l’ultima fazione campale cui abbia assistito il Re.
1877.-14 Agosto. Si inaugurò una lapide sotto il portico del Comune ad Antonio Urceo Codro.
Duca Regno Epoca Della Morte
Nicolò III dal 1400 al 26 Dicembre del 1441
Leonello dal 1441 al 1°Ottobre del 1450
Borso dal 1450 al 19 Agosto del 1471
Ercole I dal 1471 al 25 Gennaio del 1505
Alfonso I dal 1505 al 31 Ottobre del 1534
Ercole II dal 1534 al 3 Ottobre del 1559
Alfonso II dal 1559 al 27 Ottobre del 1597
Cesare I dal 1597 al 11 Dicembre del 1628
Alfonso III dal 1628 al 1644
Francesco I dal 1644 al 14 Ottobre del 1658
Alfonso IV dal 1658 al 16 Luglio del 1662
Francesco II dal 1662 al 6 Settembre del 1694
Rinaldo I dal 1694 al 26 Ottobre del 1737
Francesco III dal 1737 al 22 Aprile del 1780
Ercole III dal 1780 al 1797 – morto a Trevigi nel 1803
Lo statuto comunale stampato in Modena da Codro e Dall’Olio maestri di scuola (Vedi Tiraboschi Bibliot. Di Modena). Soppressione della Chiesa vecchia e più tardi del cimitero colla circostanza dell’ultimo seppellito.
1722.-Apertura della nuova Chiesa. Nunziata quando fatta e da chi.
1786.-Soppressione del Convento del Palazzo. Fabrica del Forte e quando fatta la porta di Reggio.
1796.- Arrivo dei Francesi.
1799.- Mac Donald cala dagli Appennini, minaccia di resistenza del Paese, saccheggio.
1814.- Venuta dei Napoletani e loro accampamento sulla Secchia, devastazioni, cattivo nome lasciato in Paese, distruzione dell’Archivio Comunale.
1815.- Nuovo ritorno dei Napoletani stessi e passaggio dal Papa per Roma.
1821.- Commissione Militare.
1822.- Morte del Prete (Don Andreoli)e sue circostanze.
1829.- tolto il Comune ad istigazione di chi?
1831.- Rivoluzione. Ripristinamento del Comune. Zucchi a Rubiera.
1842.- Inondazione.
1847.- Tumulto pei cereali.
1848.- Arrivo dei Piemontesi nel giorno di Pasqua. Accoglienza e accompagnamento a Modena. Ritirata non giustificata in mezzo agli scherni e alle invettive. Quei di Bozzolo nel giorno di S.Luigi. deportazioni. Rioccupazione Estense-Austriaca. Alla vigilia di Novara le truppe Estensi qui riunite e passate in rivista. Guido e Sigismondo Rangoni ripresero il Castello di Rubiera a 3 di Settembre 1514 come da relazione fatta a questa Comunità.
La Municipalità di Rubiera con dispaccio del 21 Luglio 1805 scriveva a mezzo del Cancelliere Distrettuale al Sig. Prefetto del Panaro.
“L’antica Fiera di Bestiame che si tiene nel Comune di Rubiera colla 2a Domenica di Novembre non le riesce molto vantaggiosa, attese le pioggie ordinarie della stagione. Pertanto quella Municipalità a promuovere e conciliare, per quanto possibile, il publico e privato interesse, trova conveniente l’anticipare una tal Fiera trasferendola dalla 2a Domenica del Novembre, all’ultima del mese di Settembre, tempo appunto in cui vorrebbe discendere immediatamente alla medesima Fiera quella di Sassuolo. Non vi è dubbio che passando la Fiera di Rubiera nell’epoca proposta si verrebbe ad assicurare il numeroso intervento di tutte quelle stesse paesane che si dispongono di concorrere a Sassuolo, le quali senza il più minimo loro disappunto farebbero passaggio dalla fine dell’una Fiera al principio dell’altra.”
Il Prefetto “…non risultando disappunto alle altre Fiere delle Comuni vicine da tale cambiamento, ma anzi che sia per riuscire più comoda ai mercanti che concorrono a quella…” da parere favorevole al 31 Luglio 1805.
La Municipalità di Rubiera a 16 Ottobre del 1807 a mezzo del Cancelliere del Censo ad istanza dei commercianti propone al Prefetto del Panaro
:”… il ristabilimento della Fiera che per l’addietro costumavasi di tenere la Domenica avanti S.Martino. I vantaggi che la Municipalità si ripromette che pervenirne ne debbono al Publico interesse dal ristabilimento dell’anzidetta Fiera fanno che si inviti…- F.to CAVIRANI”
“…Sibbene nello scorso anno si fosse qui rappresentata poco vantaggiosa al Comune la tenuta della solita Fiera nella 2a domenica di Novembre, ciò nullameno si concede…”
(Altra missiva indirizzata al Duca di Modena, quando non si sa, per l’introduzione del mercato settimanale.)
“…Adesso che giunto è quel fortunato memorabile giorno del glorioso ritorno di V.G. Serena, da cui qual benefico padre e liberatore ognuno può sperare di riportare sollievo alle proprie indigenze. I pubblici rappresentanti la Comunità di Rubiera …….. ammirati vengono a sottomettere alla mente illuminata dell’E.V. le deplorabili condizioni di quella terra per la decadenza che ha fatto da quel primiero stato in cui a tempi andati ella si trovava, ajutata dal trafico che vi fioriva, che presentemente languisce così che si è cambiata in una valle di pianto, abbandonata dalla maggior parte di benefattori e soltanto servita da una turba di miserabili che in faccia ad un passaggio si frequente di forestieri fanno una comparsa la più vergognosa e la più disdicevole al Paese. Per redimerlo dalle ingiustizie e quello restituire a miglio coltura il rimedio più giovevole saria senza dubio quello di ritornare ad introdursi un mercato libero e franco un giorno almeno di ciascuna settimana dell’anno, a chi riafermava il corso delle due fiere solite a farsi, una nella solennità dell’ August.mo Sacramento , l’altra nelle feste di S.Donnino e di S.Concordia consecutive, mostra che e l’uno e l’altre riaprendo la strada a un lodevole mercimonio, preserverebbero non solo dall’ultimo fatal colpo di publico interesse, ma lo favorirebbero in maniera che popolandosi la terra di abitanti comodi, (uscirebbe) da quella l’antico sgradevole aspetto e diverrebbe in poco tempo una terra veramente di promessa….” Fu approvato.
7 giugno 1684. La Comunità Pubblica costretta da molti e diversi creditori al pagamento, e aggravata oltre le ordinarie dalla spesa di Tresinara , applica una imposta di soldi due (2) per ciascuna libra di follicello(Filugello o baco da seta?) che si venderà o offrirà dal Paviglione da pagarsi dai compratori. Il Duca concede l’imposta di un bolognino per ciascuna libra a condizione che il ricavato si depositi presso persona sicura, la quale lo dispenserà a quei creditori della Comunità che ordinerà S.G. – Giuseppe Pagani.
(Un Paese che si formò e crebbe all’ombra di quei ripari, dai quali ne ebbe a patire lunghi e replicati traumi e disastri ora gli si vorrebbero togliere quella difesa e protezione che ancora ne presentano gli avanzi : si doni al Comune il quale ne farà quel meglio che crederà nell’utile publico. ?)
(Relazione, tenuta forse dal Romoli non si sa in quale data, sul comportamento del Capo della Guardia Nazionale in merito ad una adunanza della stessa per eleggere i nuovi ufficiali)
1°. Il disprezzo, i maltrattamenti usati alla Guardia Nazionale per le angherie, usate alla stessa, nei bisogni di casermaggio.
2°. Per avere esposta la Guardia stessa a sfigurare nella dimostrazione della Guardia Nazionale di Parma, non dando comunicazione ufficiale della lettera di Modena.
3°. Per il contegno rozzo, villano e insultante tenuto colla Guardia Nazionale, quanto colla proprietà della quale non è che servitore e servitore indegno.
4°. Per il partito che lo appoggia in massima parte creatura di salariati, pensionati e partitanti del caduto Governo.
5°. Come figlio della restaurazione e della reazione del ’50 quando ogni onesto cittadino e italiano rifuggiva di servire un Governo antinazionale e anticivile.
6°. Perché comprava quel grado coll’umiliazione e colla vergogna non curando la publica opinione che designava nelle maledizioni i servi e strumenti di sulordato Governo.
7°. Perché non ebbe riguardo, rinunciando alla dignità del grado accademico, di rubare il pane ad un bisognoso facendosi ruota e strumento di un Governo abominevole.
8°. Per l’abuso fatto del suo ufficio nella passata gestione, fomentando le sette di partiti e usando una prepotenza sola caratteristica del Governo che serviva.
9°. Perché nell’ultime agonie del caduto Governo fu compromesso dalla deferenza usatagli dal Governo che compilava in lui tre impieghi, mostrando con ciò che esso solo godeva l’estimazione e la confidenza del governo.
10°. Per il suo carattere ineducato, impopolare e fazioso, e per la sua condotta tradizionale e di fatto di partito.
11°. Per il contegno preso nel nuovo cambiamento considerandosi isolato dal partito. Liberale di principi non di progetto stringendosi coi pagnottitsti ed affezionato del caduto Governo.
Il modo segreto e subdolo della vostra dimissione per farvi surrogare ad intrigo da chi potesse avervi riguardi e continuare per tal modo il vostro prepotente servizio.
L’aver solo domandata la vostra dimissione quando non c’era più tempo a mettere di mezzo esaurendo tutta la resistenza, prepotenza e contrarietà ai diritti della Guardia Nazionale e del rispetto alla publica opinione.
L’avere, a dispetto, voluto attestare una incompatibilità di carica abusando della publica tolleranza ad onta delle ripetute dimostrazioni di sfiducia ricevute.
La viltà non di accettare ma di chiedere, senza bisogno, un uffizio indegno del suo grado, umiliante del suo stato, indecoroso pel suo rango.
La viltà di cercare, sollecitare una cosa avvilitiva del suo grado accademico, inconciliabile coll’esercizio di altra carica; e tutto ciò per la spudorata libidine di assicurarsi e conservare il monopolio della cosa publica.
Il modo aspro e villano con cui ha esercitato una carica sottigliando cogli altri, abusando della sua posizione e portando nell’esercizio della stessa tutto il più schifoso e ributtante della sua personalità, dell’intrigo e dell’inurbanità.
12°. Per non avere inquartata nella bandiera la croce di Savoia, come era desiderio della Guardia Nazionale non tanto per principi, quanto per conformità e rispetto della opinione del Paese.
13°. Perché trovava giusto che si avesse più a lungo a rispettare l’innaturale e anomalo scambio nella sua persona di due cariche a danno d’altri, mentre egli aveva una professione che gli doveva bastare.
14°. Sprezzandolo anche per la viltà della carica che lo rende abbietto e ……, mentre per l’assenza è tenuto di fungere le veci, e quindi di esercitare un punto e un compito al quale è ritenuto inetto.
15°. Perché egli ha voluto far credere di essere stato confermato nella carica, per impedire che altri lo surroghi, e che il voto del Paese mostri una preferenza per qualcuno che non sia della sua fatta.
Dovevasi attestargli la disapprovazione l’isolamento in cui si trovò cambiate le cose, abbandonato persino dai suoi amici e conoscenti ad eccezione di pochi di sua conoscenza coi quali si stringeva allontanandosi, di fatto, il restante del Paese. Egli non poteva gelosire la rappresentanza che era fatta tutta in senso a lui favorevole ………. un voto di fiducia per loro grado; e non aveva altro scopo che di vendicare la fase delle patite soperchierie, e cessare uno scandalo che non aveva misura, che attraversava l’andamento regolare e soddisfacente delle cose della Guardia Nazionale ed impediva la libera manifestazione del partito Liberale, costringendo il Paese alla più sentita umiliazione.
In faccia al Paese ed all’opinione egli scansò di contribuire dopo di avere partecipato, e ciò si seppe per insinuazioni di tale che brigava per sostenere una falsa rappresentanza (che si saprebbe indovinare e perché) arrivato il momento disse che: “…non poteva battere il tamburo, perché era in onta alla legge…“, e mandava alle case e botteghe ad avvertire che non ci era più la riunione. Ei non poteva negarla. Dunque egli l’aveva ordinata e permessa: perché questo? Per il regolamento, ma questo non esisteva che per lui; perché non aveva avuto pubblicità, non era applicabile perché non ancora organizzata. La sua subdola ed equivoca condotta il suo altalenare fra il si e il no, fra il programmare le ragioni della Guardia nazionale, o di un favorito di pentito; determinavano ad operare, e io mi decisi che la cosa andava fatta, non tanto per rappresentare ed essere consentario al preso partito, qaunt’anche per mostrare che si sapeva fare indipendentemente da lui; ovviando per modo le conseguenze che potevano venire per una irritazione spinta ad oltranza e convertita in aperta provocazione, perché non havvi conseguità di pazienza che non traducasi alla pressione a favore o per provocazioni senza fine, e per mancanza di una congrua soddisfazione.
Ci riunimmo, e si noti che andando io dimandai a qualcuno se venivano e mi risposero che erano stati quei signori non essere dei nostri. Le Guardie o piuttosto il Comando operò a controsenso quando (lo) vide riconfermato in carica: essi non potevano negare di essere stati incaricati a volerne la dimissione: quando accettarono riconobbero la giustezza della ragione e ne divisero la solidità. Forse per tal fatto ebbero le nomine di delegati ora quella riconferma doveva offenderli e come partecipanti a quel voto, e come delegati a rappresentarne le ragioni e farsi rendere giustizia. Puniti avevano senno credevano che essi si sarebbero dimessi, dimandando ragione alle competenti autorità. Dovevano questi dimandare spiegazioni delle ragioni che la Guardia Nazionale aveva formulato in genere in quella circostanza: dovevano questi signori tenersi offesi, dell’attesa fatta e del nessun conto tenuto della Guardia Nazionale. Ma essi più teneri del grado che delle ragioni della G.N. non si fecero vivi, ma sottomano operarono perché la G.N. non facesse dimostrazione; e quando il Bar. chiamato alla G. si rifiutò e mandò a casa i soldati fecero bacani, rapporti senza mai pensare e riflettere che non essendo una cosa regolarmente organizzata non era che una soperchieria che si usava a carico del miglior nome, ma troppo costò per farli tacere colla coscienza del proprio diritto.
Dissi interpellato ma se lo fossi di fatto lo dica il G. Barb. che alla sera precedente venne ad invitarmi dicendo che tutto era preparato per l’indomani. Risposi ch’io non accettava proposte a nessun patto: che guardassero di far cosa non scandalosa, ch’io sarei andato mostrando per tal fatto di partecipare alla comune rimostranza e alla disapprovazione della cosa pubblica. Al mattino sucessivo di fatto io mi trovava sulle 6 del mattino nella farmacia Ferrari dove si trovava il Cap. il quale mostrava palesemente di essere informato (dica se può se io le aveva parlato in antecedenza) e si parlò della riunione che lì disse doveva accadere alle 10 e che avrebbe dato l’invito col rullo di tamburo. Io dissi che nulla doveva minacciare la Guardia Nazionale, la quale facendo atto di fiducia ne suoi capi intendeva di vendicarsi dalle soperchierie patite. Avvertito che queste cose erano preparate da lunga mano colle durezze usate alla Guardia Nazionale, colle soperchierie usate a suoi capi, col disprezzo mostrato alla publica opinione, colla trascuranza di ciò che riguardava l’onore del Paese; col far attendere l’organizzazione della G.N. mentre fino dal giovedì Modena aveva scritto e mandata la lettera d’urgenza: col preparare e disporre i gradi della ufficialità ad un club che non apparteneva alla Guardia stessa; promovendo persone che non erano del Paese a dispetto di quelle dello stesso. Che se avessero voluto attraversare le liste di candidatura si sarebbero nominati di legge dall’autorità minacciando per tal modo qualunque libertà e diritto di elezione. Difatto alla 10 io tornava al Paese pensando che la cosa si effettuasse senza contraddizioni e senza disordine. Arrivato sento che tutto è sospeso, che la elezione è aggiornata al prossimo mercoledì, come dall’avviso che nello spazio intercorso dalle 8 alle 10 era stato affisso alla piazza. M’accorsi della cabala non vedendo più ne il capo ne gli aggitatori. Ricercai del come fosse accaduta l’improvvisa sinderesi e seppi che tale non del Paese, non Guardia Nazionale aveva esorcizzato il Capo, come pure aveva spaventato il Barb. che dietro a ciò si era precipitato l’affisso; che si era mandato a ciascun milite ad avvertire che la riunione era sospesa. Cercai del Capo per sapere come stavano la cose, era sparito o piuttosto si era nascosto non avendo prove per dar ragione della metamorfosi. Chiesto e richiesto fu trovato e rispose che l’organizzazione era…….. allora io mi tenni offeso e gli risposi che nessuno gli dava diritto di farsi gioco di noi; che egli era tale per fatto nostro, che se egli era indifferente alle proprie convenienze e che se egli non sapeva patrocinare l’onore della Guardia Nazionale, non poteva e non doveva impedire con debolezze, fluttuazioni, e sinderesi; ch’ella vi provvedesse per fatto proprio; che egli sapeva che la guardia non si riuniva per organizzarsi, ma per provedere ai propri diritti, al proprio decoro, ai propri bisogni. Che quindi si vergognasse di una vigliacca ritrattazione e facesse battere il tamburo, mi rispose che il regolamento lo proibiva: allora mi prese la furia e “…di quale regolamento mi parlate voi; quando è stato pubblicato ed applicato questo regolamento? Dite piuttosto che volete trascinare nel fango la Guardia…”. Dissi che si doveva andare. Andando incontrai il furiere che mi presentava il regolamento, “Ditegli che il regolamento lo conosco prima e meglio di lui; che questo non è fatto per uno, ma pel publico: e che solo io lo rispettava quando fosse pubblicato secondo il costume; ma quando secondo esso fosse organizzata”: e m’incamminai alla riunione col semplice animo che questa avvenisse come semplice espressione della publica indignazione e come atto manifesto di riprovazione della condotta. Ciò mi parve anche politico come sfogo e come espediente ad impedire un peggio, perché anche prima si era tentato di fare una dimostrazione in piazza a dispetto di persona, e questa provocazione calma dignitosa e privata, promossa a publica escandescenza.
Che tal fosse il mio animo lo dimostra il contegno e le parole indirette a tali che sapeva troppo favorevoli alla persona e avviosi a quella opinione che si sarebbe manifestata. “Non chiesi ad altri cariche, dignità, distinzioni; non chiedo a voi nulla per me, ma tutto per la patria. La mia vita ritirata dovrebbe provarvi che poco mi riprometto dalla società, nulla dal Governo.”
BREVE ANALISI DEL PROCESSO CRIMINALE RIGUARDANTE I FATTI DEL 19 FEBRAJO 1848.
Sono notori li popolari tumulti, gli atti violenti qua e là avvenuti, dè quali generalmente si sono tenuti quelli (cioè i mercanti) per colpevoli provocatori. Ne divisamente così a dirsi del tumulto di Rubiera della sera del 19 Febrajo.
Io non so ne mi curo di sapere se i tumulti popolari e gli atti violenti avvenuti altrove e prima del fatto di Rubiera avessero principalmente a provocatori li mercanti stessi, che poi ne furono il bersaglio. Che se ciò fu, come viene asserito dalla sentenza, dico francamente far trascurato il tribunale nel volere identificare il fatto nostro con quelli.
1°- Volendone accagionare la durezza, l’avarizia dè mercatanti, appoggiandosi alle deposizioni degli inquisiti, senza neppure interpellare in proposito la controparte.
2°- Promiscuando indistintamente li commercianti coi privati proprietari; svisandone le condizioni sociali col farne una causa in comune.
Prima di provare però che il fatto di Rubiera non ha nulla, o tutto al più una piccolissima parte in comune cogli altri avvenuti prima e altrove, mi studierò di mostrare come la sentenza è appoggiata non a prove ma ad asserzioni inesatte, parziali, imperfette;
1°- Mente di falso l’avervi avuta parte l’avara sete di guadagno, e la durezza. Giacchè è notorio ai buoni e ai cattivi ch’io ho sempre venduto e vendeva tuttora all’atto del tumulto un bolognino di meno la libra le farine di frumento e frumentone, il riso, i fagioli, e il frumento grosso, e se il tribunale si fosse presa premura di rettificare le deposizioni degli inquisiti e di qualche testimonio proletario a faccia mascherata avrebbe verificato quanto sopra di falso.
2°- Dico falso di aver rimandata gente per acquisti di farina, accusando di non averne, o decimandone la quantità domandata a pronti contanti come dice la sentenza. Che se pure avvenne, o realmente non aveva farina e questo non poteva essere argomento di provocazione non potendo disporre a talento del molino e del mugnaio; o non avevano quei pronti contanti di cui parla la sentenza e che sono si rari nel nostro Paese, e in tal caso nessuno poteva pretenderne a credito, chiamandosi offeso del rifiuto; o il quantitativo domandato era tale che tendeva a ledere quell’onesto interesse che ogni galantuomo ha diritto nel proprio esercizio, e in tal caso non era più vendita al minuto, ma bensì all’ingrosso. Infine bisognavano prove emergenti non da osservazioni parziali, ma bensì da reciproche testimonianze.
3°- Non dico falso di essermi rifiutato a vendere la mina di grano. Ma qual legge poteva obbligarmi a vendere il grano al dettaglio? Perché questo mio rifiuto avesse sua ombra di colpabilità in faccia al mondo e alla legge, bisognava provare ch’io ne avessi venduto parzialmente al minuto piuttosto all’uno che all’altro: bisognava mostrarmi essere delitto il non volere più continuare in un esercizio che per ragioni particolari aveva già abbandonato fin dallo scorso Maggio prima che si sviluppassero i sentori della penuria. E quando sia chiesto del perché dirò della notificazione e della necessità di crediti in massima parte inesigibili.
4°- Dico falsissimi il sarcasmo e l’ironia a sopraggiunta del rifiuto, quando almeno non si voglia tener conto delle asserzioni di un demoralizzato (senza morale) e triste, per rifiutare quelle di persone di onestà compiuta a tutta prova. Forse un’apparente contraddizione potrebbe tornarmi a danno quella cioè di dire che io non aveva più grano, mentre si sapeva dalla plebe stessa ch’io n’aveva; ma ero io obbligato a rendere piena e minuta ragione dè miei interessi alla plebe stessa?. Dissi e dico tuttora che non ne aveva giacchè io l’aveva già venduto in massa e per non riprenderne più: ch’io l’avessi venduto il tribunale, se avesse voluto lo avrebbe saputo e ne avrebbe trovata testimonianze irrefutabili, per non riprenderne più gli lo avrebbe provato la protesta che pochi giorni prima io faceva al tribunale di rinunziare all’esercizio della vendita delle farine prevedendo purtroppo l’impulso prossimo. Chi dunque di straordinario a voi tribunale il trovare l’origine delle irrisioni e sarcasmi, mentre una plebe eccitata studiava la maniera di levarsi a sedizione provocandone le circostanze?.
5°- Dico falso essere l’idea prima d’assicurarsi delle granaglie che vi erano, perché già le conservavo; e perché il fatto mostrava essere (il modo) di appropriarsele senza denaro, facendosi scudo di prenderle e regolare di seguito a credito e che credito: e non dice abbastanza il fatto considerato in se stesso che la causa prima movente e determinante era quella di trovare grano senza denari? Doveva piuttosto dire il tribunale che mancava il denaro ma non la roba. E chi poteva obbligare il mercante a vendere a credito le proprie sussistenze, unico capitale d’ogni loro industria dè loro mezzi di sussistenza?.
6°- Dico falsissima essere stata la partita del carro l’impulso prossimo (ai disordini): giacchè fin dal dopo pranzo si sapeva che nella sera doveva accadere il fatto, e l’Arciprete a ovviarlo, ne parlò col Sindaco ma inutilmente. Dico falsissima perché la turba, che non poteva sapere della partenza di detto carro e nemmeno l’ora di essa mentre ne il compratore ne il venditore stesso lo sapevano, ingrossata di gente estera marciava sopra Rubiera divisa a mò d’assalto, con tutt’altro scopo e divisamento fuori che quello del carro che fu accidentale!
Sarebbe forse il carro una di quelle combinazioni fortunate che il cielo talvolta manda a scanso di maggiori mali?
E se il carro non fosse partito (come non partiva se il Brigadiere non l’avesse garantito) che ne sarebbe avvenuto? Non fu dunque impulso, ma primo bottino della sfrenata plebaglia.
STUDI PER I PITTORI E SCULTORI
Storia anedotica d’Italia Antica e Moderna.
Storia della Mitologia.
Storia dell’Estetica Generale e Particolare.
Storia della Fantasia e dell’Immaginativa.
Storia della Pittura e della Scultura.
L’Italia Artistica e Monumentale.
Una lettera sugli studi che reputo se non necessari almeno convenienti per diventare artista come crederei si potessero trattare le disuse materie perchè servissero alle arti, e perché per essa animate ed ispirate da tali studi potessero diventare utili e ispiratrici alla poesia ed ai costumi coll’esempi. (vedi Gaverna)
Esempi di virtù civile, militare e domestica esistono in ogni gente che a ogni piè sospinto s’incontra nella nostra storia. Semplicità di sfogliare le storie parziali e le cronache che meglio rappresentano più interamente, i fatti semplici e complessi informando degli usi, costumi e indoli.
LETTERA PER LA RICHIESTA DI NOTIZIE STORICHE AD UN AMICO DI REGGIO (pare fosse un impiegato comunale)
Caro Vincenzo,
mi occorre una cognizione che non trovo facile di chiarire in questo archivio comunale; in qual epoca cioè la villa di Bagno sia stata staccata dalla Comunità di Rubiera per essere aggregata a quella di Reggio. All’archivio Comunale di Reggio forse non sarà difficile trovarne memoria; e perciò che io mi rivolgo incaricandoti a voler fare in proposito le migliori e dovute indagini. Tu forse conoscerai l’archivista della vostra Comunità che mi dicono fior d’impiegato e persona gentile cortese e compiacente. Rivolgiti a Lui, facendo punto di partenza delle ricerche dalli seguenti dati.
Da un catalogo della Città e luoghi principali dello Stato di Modena, stampato per Soliani nel 1750, si rileva che le Ville di Bagno, Caselle(sic), Cazzuola e Marmirolo appartenevano in quell’epoca alla Comunità di Rubiera, residenza in allora di un Governatore. Dopo quell’epoca adunque avvenne l’aggregazione di Bagno e forse delle ville nominate alla Comunità di Reggio. Circoscritto per tal modo la sfera delle indagini spero che tornerà facile il trovarmi l’epoca, il modo le circostanze e tutto che può avervi rapporto. Non dimenticare però di accennarmi i Documenti e gli atti, o che altro di chè potrai ricavare, alla richiesta cognizione.
Spero che mi vorrai favorire con qualche impegno risparmiandomi un viaggio che in questo momento mi tornerebbe incomodo, spero che troverai nell’Archivista cortesia e compiacenza, di cui sento parlare con vantaggio e favore; spera per ultimo che fortunato nella ricerca potrai fornirmi con qualche esattezza la cognizione.
Se posso favorirti, e mi (trovassi) abile a qualche cosa, comandami con altrettanta franchezza e libertà e (serviti) di chi ti fu sempre ed ovunque
Buon Amico.
Romoli Rodolfo
(nota dell’autore)
I miei studi procedono lenti e faticosi, non tanto per la loro natura delicata e sottile, quanto per il disordine e irregolarità in cui si trovano questi archivi. La materia è immensa e preziosa, ma finchè non succeda un riordinamento filosofico coll’oggetto di renderli utili, resterà materia morta. Se riuscirò di mettere insieme alcun chè di utile pel mio Paese mi terrò più che soddisfatto dell’ingrata fatica incontrata per tale studio
SE PER FAR FRONTE A UNA SPESA SI ABBIA DA RICORRERE AD UNA IMPOSTA NUOVA O AD UN PROFITTO.
La prima riflessione a farsi parmi quella di riconoscere e stabilire se l’oggetto della spesa sia produttivo o improduttivo, che è quanto dire se la spesa sia legittimata dall’utilità dell’erogazione; e per conseguente in che grado stia la produttività stessa colla spesa.
Se la spesa è improduttiva cioè a comodità e decoro semplice parmi irragionevole per ricavarne i mezzi di ricorrere ad una imposta, peggio poi a un prestito. Perché non è ragionevole di legare ai nostri avveniri le spese fatte per il nostro piacere e per comodità e che si dovrebbero fare senza pensiero; e credo che nessuno ci dia diritto di imporre i nostri capricci e renderne mallevadori i nostri posteri. Il ricorrere poi ad una imposta per coprire la spesa potrà essere approvato non mai legittimato dal mal vezzo dell’opinione dominante e di circostanza, ed è giusto in tal caso che l’età nostra ne porti la pena sopperendovi con privazioni e sacrifici propri. Che se la spesa o oggetto di erogazione della stessa è di natura produttiva, universale e duratura, in tal caso sarà ragionevole e forse lodevole il preferire il prestito alla imposta per la doppia ragione:
1°. che bisogna creare la ricchezza prima d’imporla per non correre rischio di diseccarne le fonti: e in tal caso basterà una lieve somma che valga a coprire gli interessi del prestito; per poi dopo qualche anno avvantaggiate le pubbliche e private risorse cominciare con ammortizzamento regolare il debito mediante una sovrimposta che non sarà più gravosa colpendo un frutto di un capitale che dapprima non esisteva, restando il capitale stesso in avvantaggio.
2°. parmi giusto ancora di ricorrere al prestito perché legando ai posteri i benefizi comprati con quella spesa, è pur giusto che essi pure ne portino la loro equa parte di gravezza, essendo tali benefizi un aumento reale di proprietà o piuttosto una comproprietà. Sempre legitimata e legitimabile quante volte l’aggravio sia proporzionale all’utile, e l’utile sia tale da immedesimarsi nella natura della proprietà e di avere e fare ragione comune con essa. Solo in questo caso dunque saremo autorizzati a legare ai nostri posteri un aggravio, una imposta con sacrifizio; trovando essi e godendo per contraposto un correlativo benefizio che altrimenti non sarebbe esistito.
Al primo presentarsi adunque di una spesa sia che possa (cadere) entro la cerchia dei redditi ordinari, sia che non (cadendovi) si chiegga nuovi mezzi; la prima considerazione a farsi è se sia e quanto sia di pubblica utilità, se tale utilità sia temporanea o duratura, se l’utilità stessa serbi proporzione colla spesa fino a giustificarla.
L’ingiustizia non gradisce, non ammette, non conosce prevenzione.
Si vanno esagerando i bisogni dei servizi, di proprietà e si pensa a (costruire) sale. Eppure i nostri padri tenevano i loro consigli e vi bastavano gli ambienti che trovavansi; e quando non bastavano la Chiesa vi sopperiva, la quale pure conferiva gravità, dignità e moralità a quelle riunioni e a quelle deliberazioni. La proprietà è cosa conveniente e fors’anche necessaria (si dice), come se l’ambiente conferisse dignità e autorità alle persone, ma la persona non porta con sé altra autorità che quella che gli conferisce l’opinione publica e la legge della quale è rappresentante (l’opinione che gode la persona in cui si incarna la legge, aggiunge o toglie decoro e autorità alla legge stessa): non bastavano forse quei ristauri resi necessari dal consumo che porta il tempo e l’uso della cosa? Perché tante innovazioni, perché esaggerare i bisogni che realmente tali non sono, ne indispensabili, ne urgenti? Quale utilità si donava al pubblico da tali spese se non i comodi a lusso di quei signori?.
Benchè l’elettore non passa per fatto di legge vincolante il consigliere ad un mandato formulato; questi ciò nullameno è sempre legato agli oblighi che gli incombono per fatto di legge, così che resta legato al suo mandante più per lo spirito che per la natura delle cose essendo queste prefinite, non così quella che deve informare e direi quasi colorire la cosa stessa: non cessano adunque i doveri dell’elettore colla nomina del consigliere, ma è pure tenuto a seguirlo nelle sue funzioni, studiarne la capacità, vegliarne lo spirito, non tanto per valutarne la condotta, quand’anche per trovare argomento di rielezione o di evoluzione in circostanza di altre elezioni, per tal modo non alla ventura, per istigazioni o simpatia, ma per conoscenza di merito potrà farne argomento di elezione, e questa non sarà più un tranello e una menzogna ma una verità.
Due sono i modi che può avere un consigliere per corrispondere ai suoi elettori; la pubblicità delle sedute alle quali tutti possono direttamente o indirettamente prendere parte; e una detagliata relazione dei consigli nei quali si tenga conto delle proposte e dei voti dei singoli consiglieri: per tal via l’elettore conosce più adentro il carattere, lo spirito, e il merito del proprio eletto; non potendolo desumere dai risultati delle publica Azienda, notando talvolta la miglior voce essere sostenuta dall’intrigo. È questo anche un mezzo di proteggere la minoranza chiamando a giudicarne il publico e l’0pinione, la quale sempre non si conforma e risponde al giudizio di un consiglio. Il consigliere adunque non ha finita la sua missione ne esaurito il suo mandato se a termine della sua sessione non rende conto del suo operato, non certo desumibile dalle cosa publica la quale piutosto vale ad esprimere una risultanza delle opinioni del consiglio da quello che l’opinione di un consigliere. Ciò serva anche ad informare i consiglieri sapendo di restare sottoposto o di incontrare a termine di cosa il giudicato o sindacato della publica opinione, la quale gli conferirà o gli ritirerà il mandato. Difatto smontano alcuni consiglieri, qual regola per rielegerli? Che sappiamo noi del loro mandato o operato? Quanta parte ebbero essi al bene o al male? Perché dovremo noi rielegerli? Qual criterio per nuove elezioni? Ci si pensi. Ciò parmi ancora pei Deputati politici. Presentino costoro il loro programma e per questo siano ammessi alla candidatura. Cessata la sessione parlamentaria, rendano conto del loro operato e dei loro voti; (perché), non potendo ne assistere i suoi mandanti, ne desumere dagli atti del parlamento, non figurando sempre come oratori, ne avendo parte negli uffizi, essa resta segreta.
Potendo ognuno per poca parlatoria negli uffizi esprimere la sua opinione, fornire quelle cognizioni, così (pure) il debito di un Deputato di rendere ragione del suo operato
Mi pare savio che il governo preferiva norme e regole alle riuioni; massime disciplinari per gli stessi; subordini la loro validità e legalità a leggi: ma che voglia poi limitarne il numero mi pare strano non dovendo ne potendo questo essere limitato che dalla natura delle cose a trattarsi e dal modo tenuto nella loro trattazione; così almeno costumavano i nostri padri i quali senza prescrizione di tempo o vincolo di approvazione si riunivano quante volte richiedesse la circostanza e il deliberato era sempre legale. Volendo limitati i Consigli ora fanno che più spesso si presentano sommarie proposizioni da approvare che da questionare, e all’infretta si delibera, e invece il Consiglio stesso dovrebbe per buona regola, non in ordine di presentazione, ma a favore di presentazione stabilire l’ordine, il modo e il tempo da trattarsi.
Prime a difendersi debbono essere le materie proprie della tornata; poi quelle tanto proposte dal singolo e dalla Giunta come da qualsiasi altro Consigliere debbono essere dal Consiglio stesso distribuite in ordine di urgenza e d’interesse, e su quell’ordine discusse. Il Consiglio stesso e non l’Intedenza dovrà stabilire modo e tempo alla regolare e utile disquisizione delle materie, e non a piacere e comodo di qualche Consigliere; ne le materie debbono essere (illustrate) a confidenza e con piacenteria, ma esposte con ordine e svolte per bene.
DEL GOVERNO POLITICO–MILITARE DI RUBIERA.
Prima che Rubiera di dasse a Nicola III d’Este (1423) era governata da Reggio che nominava un Podestà, e le Milizie che dovevano guardare e presidiare la Rocca. Dalle Rigovernagioni del Consiglio Generale del 1315 si rileva:
“Quod nullus posit eligi, vel vocari lex metti ad Potesterium sen custodiam dicti Castri Herberie de dictis Potestatibus et noveria custodibus qui continet vel debeat facere in bonis vel possessionibus prope ipsum Castrum de Herberia per duo miliaria. Et Massarius Comunis Regii solvere possit, teneatur et debeat dictis Potestati et Custodibus de pecunia et havea Comunis Regii”
(Perché nessuno possa esigere oppure invocare leggi contro il possesso e la custodia del Castello di Rubiera e della detta sua amministrazione e nuova custodia di coloro i quali in esso abitano, oppure abbiano interessi o abbiano delle possessioni entro due miglia nello stesso Castello, il Massaro di Reggio potrà sciogliere o mantenere i detti Podestà e Custode che debbono essere pagati dal Comune di Reggio.)
Ancora nelle Riformazioni del 1316:
“Quod de custodia Castri Herberie et per quos dicta custodia ad presens fiat et fieri dabeat et de munitione et de guarnimento et necessarijs circa ipsum custodiam codem modo remitentia D.°Capitaneo defensoribus et sapientibus tregue et quid perviderint.”
(Giacchè è nostra la custodia del Castello di Rubiera e perché detta custodia sia efficace deve essere fornito di guarnigione e di munizioni e del necessario per la sua custodia mettendo subito un Capitano difensore e capace in tregue e perciò previdente.)
E nell’anno istesso in altro Consiglio leggesi:
“Quod Potestas Herberie eligatur modo consueto et hac adictione; quod semper de maiori parte inter defensores et sapientes sit et intelligatur esse Potestas: et si plures approbureatur, quam qui labuerit plures voces ille fit Potestas…”
(Che il Podesta di Rubiera sia eletto nel modo consueto e a maggioranza; perciò sempre sia difensore dell’interno della maggioranza e sapiente e intelligente sia la sua Podestà: e se molti lo approveranno, come colui che provoca molta attrazione, esso sia Podestà…)
dal che si rileva indubia prova come il Comune di Reggio provedeva di tempo in tempo a proprie spese dei Podestà e dei Capitani il Castello di Rubiera col premunirlo e presidiarlo di soldati spettanti alla milizia del luogo, come rilevasi dall’estimo dè Fondi del 1315, ove figurano fra i militi di Rubiera:
“Milites de Herberia- Bernardus de Rogeriis, Ioanninus de Rogeriis, D.Bertianus de Rogeriis, D.Iohannes de Tomaxiis, D.Bonifacius de Fontana et duo Fratres, D.Gerardinus Henrigati, D.Mascarinus Mascari de Noceto”.
Quali fossero le facoltà e attribuzioni del Podestà sul Governo della Comunità di Rubiera non trovo argomento che me lo lascii congetturare con fondamento di plausibile verità.
Torna però presumibile il credere che l’autorità delegata dal Comune di Reggio ai Podestà quivi mandati non fosse troppo bene accetta dal Paese, perché fra i capitoli coi quali Rubiera si dava a Nicolò d’Este figura principalmente il seguente:
“Quod nullo unquam tempora ponatur ac deputataria in dicta Terra Herberis aliis Potestas, Camerarius, nec aliis alias Officialis nisi tales officialis sit Civis Civitati Ferrarie et fidelis servitor praefate Dominationis , et maxime quod ipsi tales Officialis non sint Mutinensis nec Reginis, nec de corum Episcopalibus et quod sint ad minus distantibus a dicta Terra Herberie per quadragente milliaria.”
(Poiché nessuno per alcuna ragione collochi e tolga nelle detta terra di Rubiera altri Podestà, Camerari, neppure per altre ragioni altri Ufficiali, fuorchè tali Ufficiali siano ferraresi e fedeli servitori della prima Dominazione, è che essi Ufficiali non siano ne Modenesi ne Reggiani, nemmeno della curia Episcopale e che abitino a non meno di quaranta milia dalla detta terra)
Passato il Paese agli Estensi questi vi nominavano il Podestà e il Capitano. Dal registro dei Pubbici Uffici rilevansi le distribuzioni e facoltà fatte dal Duca al Podestà stesso:
“Claves dicta Terra habere et tenere debes, quos conservabis et custodies dligentias, et cum illes portæ aperios et claudes, ven per fidem claudi et aperivi facies ipsum terram nostram haves suis congruis et debitis, et in illam umquam sella mundi causa gentes aliquas questres sive pedestres ad mittas: nec ipsum terram nostram alieni reddes aut consignabis sine nostris specialibus litteris et dignis ad talia deputates ivi serus aut funis nostram lesa Majestatis crimine … ; Fides tamen vostra discretioni que commitemus sed visum unum nobilem aut gregarium, ejus conditione perspecta, cum tribues ad plus comitibus intra ipsum terra in absque nostris letteris et figibus possi acceptare si inermis venerilit: circa cuius terra nostr et bonam et vigilem custodiam, pro statu et honore nostro, volemus die noctu que solerter intendas et ab stipendiarijs et hominibus nostris cunferit experians curas intente.
Item non licet tibi nec alio parte debes a sua Iurisdictiones discedere sine Nostri aut Capitanei vel Locum tenentis Mutina expressa licentia: nec durante uffitio vestro potes donum aliquod magnum aut parvum di aliqua persona accipera sub pena ammisionis gratis nostre et salarii unius mensis toties qupties contrafacentis suie nostro mandato et ordini, applicandi Camera Nostra.
Item volemus quod omnis et singulo qualibet facias condannationes de omnibus reis, qui quacumque di causa veniant condannati, et quod condannationes persefuite. Camera nostra applicatur; volemus earum copiare ad Cameram Nostram Mutinensem relazione trascrittos et etiam pro hoc et quacumque alio negotio pertinente ad Cameram Nostram debeas lindari ad omnis tempus.
Item ticeat vobis durante offitio vostro per nos vel aliorum aliquam mercationem facere sub pena predicta et ammisionis mercantiarum applicandi Camere Nostre.
Item quod teneamine et debaotis prompte et indilate Massarjis et Officialibus nostris quibuscumque tam salinavam quam aliorum introitumere, ad omnem ipsorum instantione et requisitionem dare et prestare omne auxilium, consilium et favorem pro exercitionibus et excecutionnibus faciendis de introitibus nobis et Camera Nostra quocumque spectantibus et pertinentibus: et quoque ubi tardes fueris aut negligans sperducaberis(?) specialiter super hoc et cageris ad solvendum et rafficiandum(?) nobis et Camera Nostra iisdem Massarij et Officialibus contra quas surditate et negligentia ausus fueris in duplici omne dannum et interessi perpessum causa sue tarditate et negligentia”
(Questa terra deve avere e tenere le chiavi, che conserverà e custodirà con diligenza, e con esse aprirà e chiuderà le porte, che noi fidiamo chiuda ed apra la faccia della stessa nostra terra ed abbia i suoi obblighi congruenti, ed in questo mai … causa genti tanto a cavallo che a piedi ammettere: e neppure la stessa terra nostra le nostre sostanze venda, renda oppure consegni ad altri fino ad un nostro speciale scritto, e Giudici con tale delega ivi saranno posti, in caso contrario sarà crimine di nostra Lesa Maestà.
Fidente così nella vostra discrezione precisamente vi investiamo però con un’unica vostra nobile impressione di essere veri conduttori; della stessa condizione suddetta è il non incaricare amministratori entro la stessa terra senza nostre lettere e proclami, perchè li possiamo accettare solo se onesti e di Noi rispettosi; circa la buona e vigile custodia della detta nostra terra, per posizione ed onore nostro, vogliamo che giorno e notte sia solerte attenta verso gli stipendiati e uomini nostri, e conferisca loro esperienza e attenta cura.
Parimenti non è qui permesso, e neppure altrove, essere obbligati a vostro giudizio dividere senza Nostra, oppure dei Capitani o dei luogotenenti Modenesi, espressa licenza: neppure durante il vostro uffizio potete ricevere alcuna cosa in dono da grande o piccolo personaggio sotto pena di perdere a nostro favore salari mensili tante volte confacenti il dono da voi ricevuto, i nostri ordini e il detto mandato sarà applicato dalla Nostra Camera Ducale.
Vogliamo inoltre che assieme o singolarmente e in qualsiasi luogo non si facciano condanne generalizzate, perché chiunque deve essere condannato di giusta causa, e perciò le condanne generalizzate debbono essere proscritte, e la Nostra Camera si applichi per questo; vogliamo per lo stesso motivo avere occasione, tramite la Nostra Camera Ducale di Modena, di trascrivervi la relazione inerente, e anche per la tal cosa e altre faccende pertinenti la Nostra Camera si debbono attenere in ogni tempo.
Parimenti non è lecito durante il vostro uffizio attraverso noi oppure ad altri fare alcun commercio sotto la pena suddetta e la Camera Nostra annullerà il commercio fatto.
Inoltre poiché i Massari e Ufficiali nostri sono tenuti ed hanno obbligo di intervenire prontamente ed inderogabilmente contro chiunque produca sali e in tal modo anche con chi li importa, daremo loro ogni aiuto e consiglio a favorire le istruzioni e le esecuzioni di cause inerenti i Nostri introiti dove la Nostra Camera Ducale dovrà comunque essere presente e operativa. E anche dove il procedere lentamente e negligentemente fa disperdere le cause sopraddette fino al loro scioglimento, consigliandoci Noi con la Nostra Camera assieme ai Massari e operando in modo contrario a quanto causano sordità e negligenza, vi verrà addebitato il doppio di ogni danno con gli interessi patiti, dovuto alla vostra lentezza e negligenza.)
Oltre il Podestà aveva pure Rubiera durante il 1400 un Castellano che governava il servizio militare della Rocca non chè la guardia delle prigioni, che fin da quel tempo cominciarono a servire ai delitti politici.
Sulla fine del cinquecento oltre il Podestà ci fu pur dato un Governatore, carica che durò fin oltre la metà del ‘700, e che fu soppressa per la mancata importanza del luogo.
Ecco come venivano tracciate le singole attribuzioni, e quale il modo da tenersi fra di loro:
“Le cause del Governatore oltre quelle de delitti militari, della vettovaglia e della caccia espresse nella sua patente quelle delle grida.
Della denunzia ed estrazione delle biade.
Dell’estrazione delle uve e dei vini.
Del mercato.
Dell’andar al soldo d’altri Principi
Del denunziare li forestieri.
Della peste e sospetto di peste.
Delle strade, ponti, fiumi, argini e levamenti publici
Si dichiara che l’autorità non solamente del dare la licenza dell’andare di notte senza lume per la terra, del sonare e del ballare, ma anche del procedere contro li trasgressori si lascia all’ufficio del Governatore.
Quanto all’osservanza degli ordini del Consiglio della Comunità si dichiara che il Governatore deve eseguire quello, che nelli stessi ordini e specialmente imposto a lui, lo stesso deve fare il Podestà; nel rimanente la parte del Governatore deve essere il sovraintendere e il tener mano che li ordini siano osservati, ma in caso d’inosservanza tocca al Podestà il procedere contro li disobbedienti.
Fuori delle suddette il Governatore non ha ne dee avere cognizione d’altra causa, ne meno dovrà intendersi che le sia data per Gride che siano indirizzate a lui, benchè con ordine di pubblicarle e di farle osservare, che piuttosto dovrà intendersi posto per errore, mentre non vi sia di più aggiunto di far giustizia e di procedere contro, li trasgressori. E quando non vi farà la detta aggiunta, il Governatore dovrà rimettere le Gride pubblicate che saranno all’ufficio del Podestà; il medesimo dovrà osservarsi dalla banda del Podestà e per parte le saranno indirizzare guide spettanti alla carica del Gov.re non volendo S.A. che timidi errori possano nell’avvenire partorire confusione e fare pregiudizio ne all’uno ne all’altro.
Inoltre in tutte le sue cause poi dovrà valersi del Consiglio del Podestà, come suo consultore ordinario così nel procedere come nel sentenziare e dovrà insieme valersi del Notaro ordinario, del Criminale nei Rogiti e lettura delle cause.
In difetto del Gov.re o del Podestà, l’uno terrà le veci dell’altro, ed eserciterà l’ufficio dell’altro, e se sarà per vacanza dovrà averne insieme gli emolumenti; ma se per assenza o per altro legittimo impedimento, dovrà lasciare gli emolumenti all’altro, e ciò mentre non sarà ordinato altrimenti da S.A.S.”
Così venivano delineate e distinte le singole attribuzioni delle due supreme autorità a scanso di arbitri e d’usurpazioni di poteri. Troppi fucili sempre dove non siavi linea tagliente di demarcazione fra le stesse.
Il castellano presiedeva e comandava il servizio della Rocca, il quale veniva regolato secondo che i tempi correvano ordinari e pacifici, o fortuneggiavano di torbidumi che di pericoli.
Il presidio permanente ed attivo della Rocca era formato da stipendiari, dei quali alcuni guardavano la porta, altri vegliavano in vedetta sul bastione Nord-Ovest per dare avviso colla campana ai vigili della porta e dei ponti levatoi.
(Sulla vetta del bastione Nord-Ovest, ove ancora scorgesi una guardiola, vegliava una guardia per dare il segno colla campana perché all’avvicinarsi di qualche armato fossero levati i ponti levatoi, asserragliati gli ingressi e messe in punto le difese.)
Altri guardavano le prigioni. Le milizie poi cittadine che venivano ad afforzare il servizio della notte, erano distribuite in sentinelle e ronde sulle mura; ed alcune facevano parte del servizio interno della Rocca.
DEL GOVERNO DELLA COMUNITÁ DI RUBIERA.
Si trovano i primi rudimenti del Comune di Rubiera nelle concessioni di immunità e di menzione fattagli dal Comune di Reggio in circostanza della fondazione del Fortilizio, concessioni che costituivano questo territorio in condizioni così eccezionali da richiedere una amministrazione separata e speciale. Difatto intorno al 1300 Rubiera governavasi già a Comune, benchè il Castello fosse tuttora dipendenza esclusiva del Comune di Reggio. Nel 1372 la troviamo già emencipata e autonoma in un atto solenne in cui il Comune giura fedeltà divozione agli estensi.
1315 – Troviamo in tale epoca già costituito il Comune di Rubiera. Esso non si estendeva oltre il Castello ed il suo territorio, come consta dalla Lista dei Fuochi (Fas.lo 10. Pag.5). Dipendeva dal Comune di Reggio e più specialmente dal Catasto di Porta S.Pietro, e ne veniva nominato il Podestà dal Consiglio Generale della Città (di Reggio) “…qui non confinit, vel habeat facere in bonis vel possesionibus prope ipsum Castrum de Herberia per duo miliaria …(Fas.lo 10. Pag.4) …si elegeva modo consueto et hac adictione quod…… (Fas.lo 10. Pag.4)
La piccolezza, la molteplicità e la dipendenza dei Comuni rurali soggetti alla Città di Reggio fa presumere che questi non avessero rappresentanza propria, ma che i Podestà che ne venivano eletti avessero una doppia autorità, cioè potere politico e amministrativo, come era proprio dei Podestà di quel tempo. (…in ricambio del tributo d’omaggio e del giuramento di fedeltà conferiva in feudo…). Così che quei Comuni si risolvessero in fatto in frazioni amministrate separatamente per delegazione salva sempre la loro connessità e dipendenza dal centro.
1374 – In tale anno troviamo già costituito il Comune indipendente e padrone di sé con rappresentanza propria, costituita dal Consiglio generale e dal particolare: quello era formato dai capi-famiglia; questo da 12 eletti fra essi a presiedere i negozi di detta Comunità, ed era proprio detto Consiglio dei Presidenti. Aveva inoltre il Massaro e due Nunzi. Del Consiglio Generale figurava 141 individui dei quali bastavano due terzi a rendere valido il Consiglio stesso. Non si trova anno di Podestà; ne facilmente saprebbesi spiegare come, trovandosi in quel tempo sotto la Signoria dei Bojardi, potesse quel Comune fare atto solenne di sudditanza e di fedeltà all’Estense. “…interfuerunt dicto consiglio Massarus, savii, fere totus popoulus et omnes patres familias, sea capita familiarum eiusdem Terre Herberie at eius pertinentiarum…”
(NdA – Che i Bojardi tenessero la signoria del Castello apparisce chiaramente dai fatti e più particolarmente dai documenti che attestano il loro dominio sullo stesso, non così sulla terra e Comune che pare abbia sempre mantenuta la sua autonomia e indipendenza, mentre lo vediamo trattare direttamente coll’Estense la restituzione di prigionieri, come più tardi la sua dedizione a Nicolò stesso senza intervento e partecipazione dei Bojardi, che in quei tempi possedevano il Castello. È però strano che nella cessione fatta dè loro beni all’Estense non si trova documento che accenni la cessione del Castello.)
1450 – Da un frammento di Rogito si rileva ancora composta la Reggenza del Consiglio Generale e dei Presidenti con Massaro e Podestà. E meglio ancora e più esplicitamente apparisce, dal rogito del 1453, (che) durava(no) gli ordini antichi in cui il Comune riconosce e promette di rispettare i privilegi delle proprietà Sacrati, locate entro il perimetro del Comune stesso.
Ma le guerre, le pestilenze, le carestie che afflissero questo povero Paese e territorio, dovettero necessariamente portare lo spopolamento e specialmente del Castello come rileviamo da molti documenti di quel tempo e specialmente dal trapasso dal 1505 al 1523. Tali condizioni dovettero determinare una riforma nella rappresentanza, la quale la troviamo composta di 56 uomini per il Consiglio Generale; e di 14 pel Consiglio Particolare; i quali si formava dividendo il generale in quattro polizze di 14 uomini ciascuna: le quali dovevano governare per un anno il Comune. Tali ordini duravano fino all’anno 1597 (riforma e riduzione del Consiglio Generale) epoca in cui fu promossa una riforma resa necessaria dalla scarsezza di uomini idonei e abili al Governo della Cosa Publica. Per relazione di Pietro Mella, Podestà di Rubiera, del 18 Dicembre 1600 (Fas.lo 1°. Pag.15) rilevasi che appunto nel 1597 fu ridotto il Consiglio Generale a 24, e il Particolare a 8 i quali dovevano reggere in turno (il Paese). Furono ammessi a partecipare alla rappresentanza anche i Terrazzani o contadini, i quali vi entrarono in ragione di popolazione in due terzi contro uno e quindi in maggioranza. E qui già vediamo un miglioramento, ammettendo la rappresentanza non nominale ma effettiva dei principali interessi, e ciò non tanto nel Consiglio generale quanto nel particolare, cosichè non fu illusoria, ma effettiva la riforma, non comittendo all’arbitrio, al caso, o all’intrigo la partecipanza di uno degli interessi.
Da un memoriale della Comunità di Rubiera rilevasi che nel 1597 era ancora governata da un Consiglio Generale composta da 56 uomini, del quale tenevansi legittime le deliberazioni quando vi intervenivano più di due terzi degli uomini suddetti. Si formava poi il Consiglio Ordinario e di Reggenza dividendo il numero degli uomini suddetti in quattro porzioni o polizze ciascuna di 14 membri; e di queste se ne traeva a sorte una ogni anno, la quale doveva governare per quell’anno medesimo a condizione però che a validare i suoi giudicati vi fosse sempre la prevalenza dei due terzi dei voti.
Esaurite le polizze se ne formavano altre quattro sotto nuove combinazioni e secondo l’ordine sudetto questi continuavano a reggere e governare la cosa pubblica. L’eletta generale dei consiglieri veniva formata dal Governatore e dal Podestà in base dei requisiti voluti e richiesti dagli Statuti, cioè età, possesso e domicilio permanente.
Giova osservare a proposito che se l’elezione dei consiglieri non era popolare, era però così estesa che toglieva la facilità della parzialità e dei favori; così che quasi tutti i capi famiglia dovevano essere compresi nel numero effettivo dei consiglieri.
(Metteva in difficoltà di trovare tanti uomini abili, ed in maggiore di radunarsi così che spesso accadeva di dover ritardare, con danno, deliberazioni importanti per difetto di numero legale).
I consigli ordinari o di Reggenza venivano formati per elezione e sorteggio dal Consiglio Generale, ed era tolto il frequente intrigo di perpetuarne taluno nella carica, dovendo ciascuno alla sua volta governare un anno, così che tutti prendevano parte attiva alla cosa, e potevano valere di più che semplici testimoni o comodini.
Ma il mancare degli uomini rendeva malagevole, e spesso impossibile di continuare in tali ordini per cui fu forza di promuovere una riduzione del numero dei consiglieri e quindi una riforma negli ordini del Consiglio fu quindi ridotto il Generale a 24 uomini dei più abili, da dividersi in tre polizze, composte ciascuna di 8 uomini, cioè cinque del territorio e tre di quei di dentro: e di queste ciascuna a sorte formi il Consiglio Ordinario di un anno, rimovendosi le polizze al termine di tre anni, per rifornire nuovi Reggenti all’Amministrazione.
Per tal modo si ovviava alla mancanza delli uomini e si facilitava quei Consigli, che spesso per difetto di numero legale e con detrimento della cosa pubblica, non si potevano effettuare. Qui cade in acconcio osservare come i Terrazzani o contadini fossero chiamati a far parte per due terzi del Consiglio Generale e Ordinario, e come alla quarantigia del numero si sostituisce la rappresentanza di condizione o di classe, non lasciando all’arbitrio della fortuna e dell’intrigo dei mestatori il diritto che ha ciascun’interesse di essere rappresentato non in virtualità ma in atto. Per tale riforma adunque le due condizioni principali di quel tempo avevano rappresentanza proprio perché si bilanciassero e l’una non prevalesse all’altra con danno e pericolo di malumori.
I disordini cui si trovava esposto il Comune per tali cause, aveva ridotta la gestione in mano di pochi i quali ne abusavano disonestamente sicchè non si conosceva quale erogazione avessero avuta 800 scudi che la Comunità aveva ritirati dall’Ebreo (p. 140), così che il Governatore Montecatini scriveva che, gli infelici di questo desolato territorio, erano più dalla rapacità degli uomini che dall’ira di Dio consumati, essendovi “…tre galantuomini che lo governavano risoluti a dividere sempre fra di loro le entrate e di non comportare che si facciano spese di publico interesse se non per forza…” (p. 247). A tale malversazione era caduta la Comunità resa, per intrigo e pel prevalere di pochi, monopolio privato.
1608- I contadini erano 16 ed 8 i cittadini.
1610– Si invoca la riforma delle polizze o mute riducendole da tre a due ciascuna di 12 uomini cioè 8 cittadini e 4 contadini per mancanza in questi di idoneità. I contadini accedono alla riforma purchè siano salvi loro interessi (come a fas.lo 3- pag.42 al 46)
Ma gli ordini sul governo della Comunità benchè riformati “per non essere osservati gli ordini, solo tre o quattro del Comune sono quelli che amministrano sempre il tutto per rispetto che il Consiglio Generale, diviso in tre polizze d’otto uomini l’una e la maggior parte contadini atti solo alla agricoltura ciascuna della quali serve per il Consiglio Ordinario che ha poca o nulla autorità, non si muta mai. Onde quei pochi che desiderano amministrare sono sempre compresi in esso il quale ha ogni piena autorità. Il che è causa che molti cittadini abilissimi che entreriano in tale governo, se si mutasse annualmente, se ne stiano ritirati con danno della cosa publica.
A provedere adunque a tale disordine importa riformare il Consiglio Generale e Ordinario, col ridurlo ad uso degli altri luoghi a due Mute del numero di 9 cittadini e 9 contadini per ciascuna; a che la prima ad essere estratta a parte dovesse servire solo per un anno e non perpetuare come fa il Consiglio Generale; e la seconda per l’anno seguente e così continuando, coll’imposta di qualche pena alli detti Regenti, far rivedere e saldare i conti sulla fine di ciascun anno a quelli che avessero amministrato e con dichiarazione che riassuma di esse Mute per lo suo anno avesse la totale e piena autorità di esercitare detto Governo (vedi pag. 43)…Si pongano quindi le due Mute a parità di numero fra contadini e cittadini, e non si accettano i Notai al governo della Comunità per mancanza d’uomini (vedi 43)”
1611- Si insiste per la riforma resa urgente dal difetto di numero per la legalità dei consigli. I contadini benchè ammessi si sottopongono a minor numero comparativo purché siano approvati i mandati dal loro deputato (vedi 45).
1612 – Fu riformato in tal senso il Consiglio come da regolamento in proposito.
Si insiste per al riforma delle due Polizze colla provigione delle palle (V. 46). Il Governatore manda al Sig. Bonola i capitoli della riforma. (V.150) Si chiariscono alcuni articoli della riforma (V.57). Attribuzione del Governatore sulla Comunità (V.58). Pretese e dissenso fra il Podestà e il Governatore (V.82).
1623 – Si assegnano ducatoni 100 da partirsi fra li 12 uomini del Consiglio e ragioni di tale stipendio (V.54)
1624 – Si assegna uno stipendio ai consiglieri Regenti sui risparmi annui fatti dall’amministrazione. (Fas.lo 3-pag. 54 e 55)
1632 – Peggiorano le condizioni del territorio per malversazioni del Comune (V.98).
1633 – Viene ridotto il Consiglio Generale a 18 e il Particolare a 9 cioè 6 cittadini e 3 contadini (Fas.lo 6-pag. 108)
1636 – Il governo della Comunità era già ridotto a 18 uomini, 12 cittadini e 6 contadini (V.107 e 108) e ciò fu fatto all’epoca del contagio (V.28)
1670 – Mancano uomini quindi si propone di ridurre la rappresentanza del Consiglio Generale a 15 uomini (V.28),10 cittadini e 5 contadini. Fermo allora il Consiglio Particolare. Reggio ricorre contro li abusi e li arbitrii del Governatore (V.142). si propone di formare il Consiglio di 15. Dieci cittadini e cinque contadini formerebbero il consiglio Particolare.
1684 – Li molti debiti li costringe a sopprimere le feste e a ridurre gli stipendi (v.142). prima di ricorrere a nuove imposte per pareggiare il disavanzo della Comunità fu savio l’esordire il riordinamento colle economie, cominciando dal tassare gli assegni e stipendi, ed escludere le opere straordinarie.
1686 – Le malversazioni e i disordini costringono i cittadini di Reggio e Modena di dimandare il diritto di intervenire ai Consigli con voto deliberativo.(v.26-27-28)
1687 – I cittadini di Modena e di Reggio ottengono di essere rappresentati.
1689 – È mandato il nuovo regolamento (V.152)
1690 – Riforma a stampa sul governo della Comunità (Fas.lo 10)
1693 – Abusi conseguenti al nuovo regolamento (V. 34-35).
1695 – Si propongono nuove provigioni, che modificate si accettano (V.133-141)
1696 – Nuova necessità di provvedimenti, ed ordini in proposito (Fas.lo 8-pag. 133 e 145) così continuarono fino alla venuta dei Francesi e del Governo Napoleonico.
1703 – Per essere eletto Sindaco bisogna essere stato anziano (V.150). Non pare spregevole il pensiero di prendere tutti li elegibili e di imbussolarli, estraendo annualmente quelli che debbono formare la Regenza così a tutti viene fatta facoltà non nominale ma effettiva di prender parte attiva al Governo della Cosa, e di sottoporsi al publico giudicato; e si toglie dall’altro il monopolio di pochi che per influenza o per intrighi s’impongono perpetuando in loro le cariche.
DEGLI ORDINAMENTI AMMINISTRATIVI DEL COMUNE DI RUBIERA
Disperse e distrutte le carte del nostro archivio Comunale, non ci fu dato, per quante cure e indagine fossero fatte in proposito, rinvenire gli statuti che pure dovevano esistere all’atto di quella distruzione. Sappiamo da una lettera che il primo libro degli statuti stessi stabiliva un reggimento peculiare, che costituiva tutta la specialità dei nostri Statuti, essendo gli altri conformi a quelli riformati di Modena. In tanta deficienza mi studierò di ricomporre alla meglio cogli avanzi scampati al tempo.
Il Comune lo troviamo già costituito del 1310 dipendente da quello di Reggio che ne nominava il Podestà: se avesse rappresentanza non si conosce, ne avrei argomenti che escano per stabilire ragionevoli congetture.
Sulla fine del 1360 lo troviamo già costituito a rappresentanza con Consiglio Generale composto dai capi-famiglia, e da un Consiglio Particolare di dodici eletti: come fossero eletti, quanto durassero in carica non si conosce. Più tardi (del ‘500) troviamo che il Consiglio Generale era composto di 56 diviso in quattro Polizze le quali dovevano servire in ruota; dovevano essere tutti del Paese, abbienti terra e casa; al cessare delle Polizze si rifacevano di nuovo sotto altre combinazioni: così che tutti i componenti del Consiglio riuscivano alla loro volta a partecipare attivamente all’Amministrazione. Fu più tardi per mancanza di persone ridotto il Consiglio a minor numero salvo sempre conservando le prerogative e attribuzioni. Ma esisteva sempre lo sconcio di una rappresentanza parziale non godendo tutti equamente di una efficace ed imparziale partizione Furono allora riformati gli ordini, e furono chiamati a partecipare alla rappresentanza anche gli abbienti domiciliati in territorio; in una proporzione bastevole a “…guarentire i loro diritti e ragione…”, ma non tale da sorpassare e prevalere a danno dei Paesani. Migliorarono le cose, ma non abbastanza perché non restasse parte la quale avesse ragione di tenersi lesa “…se il diritto di rappresentanza fonda sul debito di contribuire, ragione vuole che tutti siano ammessi ad approvare le imposte; non essendo indifferente il fatto del possesso in genere, perché gli uni contribuiscono col superfluo, gli altri col necessario…”. E questa era di quei proprietari i quali avevano fondi, ma non risiedevano in territorio; anche a questi si provvide concedendo loro una tale rappresentanza quale avevano ragione di avere ed ebbero di fatto, e fu loro riconosciuto il diritto di eleggersi due procuratori speciali, con limitato mandato di assistere ai Consigli e di prendere parte attivamente nelle cose di loro competenza.
Con tali ordinamenti il nostro Comune arrivava alla fine del 1600; e fu in quel torno statuito un regolamento sul governo dello stesso che abbiamo a stanza (vedi prossimo capitolo). Se altri mutamenti avvenissero durante il secolo XVIII non conosco, ne saprei facilmente trovar modo di conoscere.
Venne il Governo Francese; poi la Ristaurazione, e l’uno e l’altra allivellarono e accomunarono gli ordinamenti a quella uniforme unificazione che faceva sparire ogni avanzo di specialità. Abolita del 1829 fu fatta rivivere del 1859 dopo 30 anni con leggi informate a principi larghi e civili.
Lo spopolamento portato dalla pestilenza, dalla malsania del luogo e dalla guerra ricorrente avevano reso il mercato povero e sprovveduto, così che a riavviarlo fu forza di provigioni delle quali ne troviamo alcune del “300, colle quali:
1° – si comandava a ciascun capo di famiglia del territorio di Rubiera e siccome ospitati a mancanza di occupatori si provvide, nominando un Deputato, a denunziarsi
2° – e a farsi inscrivere dal Deputato.
Per utilità poi del luogo e abitanti di ordinare
1°- di non poter vendere cosa che non fosse stata in piazza quand’anche non fosse stata venduta.
2°- che ne ad oste ne a forestiero si potesse vendere finchè stava fuori lo stendardo della Comunità (pag. 162)
1612-Ordini riformati per il Consiglio della Communità di Rubiera.
CAPITOLI D’ORDINI DA OSSERVARSI PER L’AVVENIRE NEL REGGIMENTO DELLA COMMUNITÀ DI RUBIERA:
1.- Che si faccia elezione del Governatore e Podestà di detta Terra di 24 (ventiquattro) uomini dei più idonei, cioè di 16 cittadini e otto contadini fra i quali si possono porre anche i notai del luogo, non ostante decreto ed ordine alcuno disponente in contrario, sia perché siano nati in detta Terra o suo Territorio, o che posseggano beni rusticali, e siano di buona vita e fama i quali siano Consiglieri della Comunità e distinti e deferiti in due Polizze cioè 12 per ciascuna ed in qualunque di esse siano 8 cittadini e quattro contadini, e l’una Muta succeda all’altra, d’anno in anno, reggendo e governando la detta Comunità secondo la loro coscienza, e l’una renda conto all’altra della sua amministrazione fatta nell’opera dell’anno, il che dovrà fare eseguire il Podestà, quando l’altra monta nel (gestire); e che nell’entrare del loro governo giurino in mano al Podestà di fare e procurare l’utile di essa e di esercitare il loro uffizio rettamente al quale possono essere sforzati con pene convenienti quando ricusassero.
2.- Che dovendosi far Consiglio Generale per negozi di qualità della Comunità o per elezione di uficiali di essa come si dirà, si addunino assieme le Mute suddette dè consiglieri et addunati insieme rappresentino il Consiglio Generale ed abbiano quella autorità come se fosse adunata tutta l’università della Terra e suo Territorio e possano deliberare quel che porrà loro bene in tutti i casi ed occorenze delle Comunità alla presenza però del Podestà e non altrimenti, il quale abbia ad infraporre il suo decreto per confermarvi la deliberazione del Consiglio.
3.- Che i consiglieri suddetti eleggano ogni anno per Sindico della Comunità un notaio di Rubiera maggiore d’anni 30, dei più idonei il qaule sia procuratore di detta in tutte le cause tanto attive quanto passive, il quale dovrà giurare sul principio del suo ufficio di difendere le ragioni di lei in tutte le cause, negozi e malefizi ed eseguire in ogni cosa quel che sarà concernente il bene publico: al quale Sindico si dia un salario che sarà dichiarato da detti consiglieri.
4.- Che elegano parimenti ogni anno un Tesoriere che debba riscuotere con diligenza tutte le entrate della Comunità e pagare li mandati delle spese che si faranno di mano in mano, obligandosi con sicurtà principale ed in solido sotto vincolo di giuramento di renderne buon conto in fine dell’anno da comuncarsi sempre a calende di Gennaio e così finire, il qual Tesoriere abbia il suo salario, e se i consiglieri nol facessero render conto il Podestà il farà egli.
5.- In oltre creando ogni anno due Ragionieri uno per la parte dè cittadini, e l’altro per i contadini, i quali abbiano a vedere i conti delle entrate e spese della Comunità, e riferire al Consiglio quel che occorra, e debbono amendue sottoscrivere mandati ordinati dal Consiglio legitimamente, e sottoscrivendo mandati non ordinati come sopra, siano tenuti non solo pagare del loro, ma anche cadano in pena di 10 lire per volta da applicarsi per metà alla camera l’altra alla Comunità; ne il Tesoriere possa pagare mandato alcuno che nonsia sottoscritto dai detti Ragionieri sotto pena di pagare del loro, e questi finitamente dovranno avere il loro salario.
6.- Che facciano ogni anno un Giudice delle vettovaglie ed abbia cura sopra il pane, carne, pesi e misure ed altre cose, e un Giudice delle starde con salari soliti.
7.- Che elegano ogni anno un Massaro il quale abbia modo di riscuotere le spelte delle fabriche che si faranno, e farvi mandati che occorreranno secondo il solito e il fare congregare il Consiglio all’occorenza ed altre cose per bisogno della Comunità secondo il consueto a cui si dia parimenti il suo salario.
8.- Che detto Massaro non possa fare mandato alcuno straordinario se non sia ordinato dal Consiglio sotto pena di lire 25 da applicarsi per la metà alla Serena Camera, e l’atra alla Comunità.
9.- Che non si possa elegere più di un Consigliere d’una medesima casata e famiglia.
10.- Che dovendosi trattare in Consiglio di negozio in cui alcuno dei Consiglieri abbi interesse, quel interessato non possi stare in Consiglio, e quando il partito (leggasi delibera) passasse essendovi egli presente, il detto partito sia nullo e non abbia effetto alcuno.
11.- Che niun debitore della Comunità possa mai essere eletto Tesoriere ne Massaro di essa.
12.- Che alcuno avendo lite con la Comunità non possa essere eletto Consigliere di essa, e se essendo Consigliere nascesse lite fra lei e lui, egli non abbia voce in Consiglio mentre durerà la lite, e massimamente quando si tratterà del suo interesse, causa o negozio.
13.- Che la muta o Consiglio dei 12 non possa disporre in cose straordinarie di maggior somma di 10 Lire sotto pena a ciascun Consigliere di pagare del suo, non intendendo però straordinario il riparare case, ponti, corpi di guardia e simili; ne meno possa determinare sopra cose ardue e difficili, ma in casi tali vi sia tutto il Consiglio Generale dei suddetti 24 Consiglieri.
14.- Che non si possa mai per tempo alcuno alienare beni stabili della Comunità ancorchè vi fosse tutto il Consiglio Generale, ed essendo fatta alienazione alcuna di tutti i beni, s’intenda e sia nulla e non abbia effetto.
15.- Che trattandosi in Consiglio qualche negozio e uno dei Consiglieri dimandasse Consiglio Generale sopra esso, non si possa più trattare senza Consiglio Generale, quando però a giudizio del Podestà quel tale nol pensasse ad altro fine che per impedire la deliberazione, che in tal caso si possa deliberare dalla muta presente.
16.- Che quello che avrà deliberato e stabilito la muta dei Consiglieri che governano pro tempore, non possa essere revocato ne corretto dagli altri che succederanno.
17.- Che in ciascun Consiglio così Ordinario come Generale vi siano sempre almeno i tre quarti dè Consiglieri, ne altrimenti si possa proporre partito alcuno.
18.- Che alcun Consigliere non possa manifestare ad alcuna persona quel che sarà stato trattato in Consiglio (eccetto se ciò fosse publico) sotto pena della privazione del Consiglierato e di Lire 100 da applicarsi come sopra.
19.- Che ogni sei mesi i Consiglieri facciano vedere i conti delle entrate e delle spese alla Comunità e procurino con ogni diligenza fare esigere i suoi crediti.
20.- Che tutti i partiti che saranno proposti dal Massaro o da altra persona debbono ballottarsi con palle segrete e non in voce e facendosi altrimenti s’intendano detti partiti non passati, ne abbino esecuzione alcuna, sotto pena a ciascun Consigliere che contrafacesse di Lire 25 da applicarsi come sopra.
21.- Che ad ottenere i partiti proposti debbano concorrere i due terzi delle palle affermative, altrimenti non s’intenda il partito ottenuto.
22.- Che niun Consigliere debba ne possa partirsi di Consiglio che non siano ballottati i partiti proposti o compiuto il Consiglio, ne mostrare ad alcuno la palla che vorrà dare, ne ritenerla presso di sé sotto pena di Lire 25 da applicarsi come sopra.
23.- Che mai per tempo alcuno possano congregarsi i Consiglieri, ne proporre , ne ballottare partito alcuno senza intervento del Podestà.
24.- Che morendo o mancando per qualsivoglia causa alcuno dei Consiglieri possa il Consiglio Generale elegerne un altro o più in luogo di quello o di quelli che mancassero, e si faccia elezione dei più abili ed idonei a detta carica, ed occorrendo ad alcun Consigliere andar fuori in quel che suo servizio possa sostituire uno in suo luogo, quale abbia l’istessa autorità che avrebbe quel tale se fosse presente col consenso però del Podestà.
Mandat Ducas suprascripta capitula inviolabiter observans
F.to Baptista Ledevelcius die 25 Augusti 1612
Dei Reggenti attivi della Comunità.
Nel comporsi della Comunità di Rubiera si distribuiscono gli uffizi in modo che ciascuno resti incaricato alla gestione di un solo ramo. Nella delegazione alle acque e strade spesso e facilmente accade, che non essendovi massime in proposito stabilite, o non essendo tenuto a un resoconto ragionato del proprio operato, sia o per debolezza o per interesse personale indotto a favorire piuttosto certe strade o località da altre con flagrante ingiustizia di chi partecipa ai carichi, e non ne gode i relativi vantaggi. Necessità quindi dei delegati di Villa; necessità che in tali rami tutti convengano e stabiliscano di comune accordo il modo e il tempo. Per tal modo ogni Villa avrà il suo rapresentante, che dalle esigenze parziali sarà condotto in difetto di propria iniziativa, a contraporvi i bisogni di sua giurisdizione, impedendo per tal modo che tutto si esegui a vantaggio di un parte, e che per conseguenza siano distribuiti i vantaggi e gli onori in modo che a ciascuno tocchi la loro parte.
1601 – Lettera della Comunità al Duca per l’estinzione di un debito contratto dalla Comunità stessa.
“Ritrovandosi la fedelissima e devotissima Sua Comunità di Rubiera oppressa da gravissimi debiti, oltre 21.000 lire, tra quali ve ne sono presso 10 mila fatto le usure al 20 per cento e seimila a otto, oltre eccessiva spesa è necessitata fare per occasione di varie liti, ne potendosi aiutare senza grazia speciale dell’A.V. perciò umilmente la supplica a restare favorita di concederle le tre addizioni delli cavalli; imposta sopra tre membri di tutta la Comunità, cioè la macina, la spelta, e pavaglione delli follicelli, e questi per fino a tanto habbia estinto li suddetti suoi debiti con facoltà di poi di adeguarli ad ogni sua volontà come prima avrà soddisfatto a suoi debiti.
Parimenti che invece delle suddette addizioni già uso dè cavalli V.G.S. cresca il prezzo del sale che si vende in detto Castello e suo distretto, a otto quattrini di moneta corrente per libra di sale, atteso per questa strada si assicura di un addizione ferma ove quella delli tre membri è incerta ammettendo calo a momento secondo l’alterazione delli prezzi delle biade, spedizione delle carni, e moria delli filugelli.
Ma sia lecito alla Sua fedelissima Comunità suddetta, quando ricompri l’isola venduta all’Ill.mo Sig. Conetevole Grillenzoni e feudale dell’A.V. di … comunemente come è ora la Comunità di Campogalliano. Atteso essendo costretti restituire al prezzo, habbiamo almeno speranza di qualche entrata e non ci vada a saldo come ha fatto per il passato senza alcun loro mutamento.
Pagata dalla Devotissima suddetta sua Comunità di Rubiera alla Serenissima Camera in Reggio la tassa imposta anticamente sopra li cavalli, quale importa £ 768 di moneta vecchia di detta città compresi li saggi e capisaldi, sopra il quale pagamento ogni anno nascono difficoltà col Massaro di Reggio sopra il valore è corso della moneta, con danno e spesa grandissimi della Comunità che nulla risulta alla Ser.ma Sua Camera. Saviò supplica V.G.S. resti servita di dichiarare e ordinare che per l’avvenire detto Massaro abbia da riscuotere per la tassa suddetta solamente d’imparziali £. 921 e rotti 12 giusto valore delle lire 768 di moneta vecchia. E queste a moneta corrente secondo il comune corso della moneta in detta città senza mai più ammettere aumento alcuno in qualsivoglia modo e senza pagare la mazza ai caposaldi feudo compresi in detta somma.
1°. Concedit D. preterqu… qui ad padiglionins follicellarum.
1604 – Suppliche della Comunità al Duca di Modena.
1°. La Comunità di Rubiera supplica l’A.V.S. con ogni umiltà che si degni farli grazia di comandare che non gli sia innovata cosa alcuna per la grida fatta sopra il correre a riconoscere quei che vanno a caccia e a macellare, tirano di schioppo e travasano per la campagna di Rubiera, essendo che ciò facilmente potria causare molto danno alli poveri abitanti per la inimicizia che acquisteriano ed anco per le offese che ne potria seguitare, ma che tale carica abbiano gli operatori del luogo quali oltre il guadagno del terzo sono salariati dalla Com.tà.
2°. Che mai è stato solito in Rubiera che i Rubieresi paghino sportule per cause criminali o civili: non di meno dopo la venuta del presente Sig. Gov.re, li Sig.ri Ufficiali di detto luogo intendono nella causa, cui il Sig. Podestà interviene come consigliere del Sig. Gov.re, che ambe le parti paghino le sportule, cosa nuova e molto dannosa al detto povero luogo: pertanto supplica V.G. a far grazia di comandare che non sia fatta tale innovazione attento che esso Sig. Podestà viene salariato ordinariamente di cinque scudi il mese dall’istessa Com.tà e che per essere consigliere non fa più studio ne fatica in dette cause di quello che farebbe quando fossero notate a lui solo.
3°. Che si degni farli grazia di comandare non gli sia fatta innovazione alcuna circa le questioni occorrenti in Rubiera fra gli soldati della militia, ma che solo si osservi quello che si è sempre osservato per il passato poiché, il presente Sig. Podestà, in simili occasioni pretende di condannargli e di più ne condannò uno a mesi pagati, il quale è poi stato gratiato da V.G.
4°. Quinchè la Com.tà non abbi ogni giorno da fare spese in viaggi, e patire molto danno gli agiusti di quella supplica che non sia innovata cosa alcuna.
1°. Fuit provisum. – 2°. Concedit arbitrio sue celsetudinis. – 3°. Pretor futurus procedat in dictis causis ut ordinis. – 4°. Capitula serventur. 5°. Fuit provisum.
SULLA CIRCOSCRIZIONE DI RUBIERA.
Del 1426 Nicolò investe Antonio Ruggieri di alcune terre componenti una possessione che apparteneva a Matteo Bojardi le quali erano “…posite in Territorio Hirberis in Villa Zemelle…” Dunque la Zimella apparteneva a Rubiera.
(Vedere nei rogiti dei Bojardi e dei Sacrati di quel tempo se esistono argomenti comprovanti l’assegnazione di altre ville)
Il Comune di Rubiera che del 1320 era circoscritto semplicemente al Castello e suoi Borghi, come si rileva dalla coesistenza dei Comuni delle principali Ville, pare che sulla fine del 300 stesso si conformasse per larga estensione e comprendesse le Ville circostanti perché nel 1423 non troviamo più menzione di quei Comuni ma solo di Campogalliano, S.Martino, Arceto e Scandiano. Come e sotto quali circostanze si conformasse non sarebbe forse facile il conoscere. Per molti atti risulta che durante il ‘500 era formata dalle Ville di S.Donino, Marmirolo, Bagno, S.Faustino, Casale S.Agata, Fontana, i Borghi e il Paese.
Sulla metà del’600 perdè S.Donino per infeudazione fatta ai Signori Conti Fontana; poco dopo la metà del ‘700 perde pure Corticella infeudata al Marchese de Masi di Reggio.
Dalla “COROGRAFIA DEI TERRITORI DI MODENA E REGGIO, E DEGLI ALTRI STATI GIÀ APPARTENENTI ALLA CASA D’ESTE” compilata da Lodovico Ricci l’anno MDCCLXXVII in Modena, per gli eredi di Bartolmeo Soliani (pagg. 216 e 217), si legge del Governo di Rubiera: “… Ha un Giusdicense col titolo di Podestà, e la propria Adunanza di Reggenti a cui sono soggetti i Borghi di Rubbiera, e le ville di Bagno, Cacciola, Casale, Fontana, Marmirolo e S.Faustino. V’è una Parrocchiale Plebana col titolo di SS.Donino e Biagio matrice di tre Figliali, e una collegiata … Ha una popolazione di 790 abitanti”.
Allo scoppiare della Rivoluzione si sottrasse prepotentemente Marmirolo e infine, nel primo rimpasto della Repubblica Cispadana, perdè anche Bagno, e vi fu sostituita la Villa di Marzaglia, la quale fin dal 1630 si era aggregata alla Comunità di Modena. Ragione dello stacco di Marmirolo fu forse la divisione della Parrocchia in Reggiana e Rubierese.
1423.- Indicti primo 14 giugno. Nicolò III° figlio d’Alberto d’Este investe di feudo Febbrino Bojardi del Castello, Rocca e terra d’Arceto, di Scandiano, di Gelso de Malaprosi e di Torricella.
1426.- Ind. 4°19 Luglio. Nicolò investe a titolo di feudo ad Antonio Ruggieri di Rubiera alcune terre che appartenevano a Musco Bojardi “..poste in territorio Hirberie ne Villa Zemelle…” come pure una pezza di terra “…posita super Casale justa Burgi Hirberie…” e ciò per vassallaggio.
1430.- Ind.8a 21 ottobre. Investe Antonio Ruggieri di una casa posta in Rubiera che non era stata compresa nella prima investitura.
1433.- 11mo 23 Marzo. Investe di casa Franco Sacrati posta nel castello di Rubiera e dal “..Broilus cum orto et columbaria…”
1613.- 15 Maggio. A 70. Capitoli d’ordini del Duca Alfonso sulla milizia.
1628.- 14 Agosto. B. 166 Decreto del Consigliere Graziani sopra la divisione delle acque di Secchia fra le città di Reggio e di Modena.
1629.- 18 Febrajo. La Comune di Marzaglia afflitta da fame implora un opportuna provigione.
25 Febrajo. Il Rettore di Rubiera avvisa che la Comunità non ha per anco fatto i conti non ostante gli ordini in proposito e ciò per debolezza del Governatore
6 Gennajo. Il Rettore imposta per necessità di riforme:
1°. Le fesse poco oscorrate tenendosi a quote le botteghe.
2°. Contro il divieto si gioca come prima?. Si proceda senza riguardo alcuno.
3°. I conti della Comunità da 5 o 6 anni non si sono veduti? Si obblighi alla relazione in proposito.
4°. Estorsioni fatte dalli Ufficiali di quella milizia che si partono fra di loro i denari dei guadagni? Si provegga secondo il capitolo.
1629.- Tommaso Conte Sacrati era in prigione a Rubiera per aver maltrattato il Governatore. Il capitolo è 12 Ottobre. Non si trova nella filza di memoria, bensì accennato nella collezione dei Registri.
1637.- 27 Luglio. C 331. Decreti sopra la divisione delle acque di secchia. Come decreto B 166 del 1628
1656.- 3 e 4 Giugno. Sul nuovo estimo da farsi dalle Comunità dello Stato – Segnata E 567
1689.- Luglio. G 898. Ordine per il buon governo della Comunità.
1692.- 29 Ottobre. Sopra l’imposta a sovvenzione della Comunità.
1709.- 6 Ottobre. L 360. Le Comunità debbono denunciare li debiti per alloggi, e così i creditori della stessa.
1727.- 11 Ottobre. P803. Sulla caccia riservata di Rubiera.
1739.- l’articolo di questa grida concernente Rubiera è riportato testualmente dalla grida del 1749. Sarebbe veramente curioso che ne potesse osare nei tempi illeciti, e non osarne nei leciti.
1768.- 14 Maggio. Questa grida ripete ancora quella del 1749 tacendo del privilegio di Rubiera per irrigare, ma solo accenna il ricambio delle acque per le fosse. Alla linea VII. Fuori dei detti due mesi di Luglio e di Agosto potrà il Camerlengo dare licenza di adaquare come per lo passato purchè non esiga.
Quali erano veramente le attribuzioni del Camerlengo; era solo in suo potere e libito il dare le acque, od era vincolato da leggi e consuetudini?
I due mesi che si vollero interpretare a pregiudizio delle irrigazioni, erano piuttosto una restrizione dei diritti dei Molini.
Dello stacco di Marmirolo dalla Comunità di Rubiera.
Uno dei pretesti era il disagio che portava l’eccentricità che naturalmente partecipa meno ai vantaggi del centro, e in meno grado ne risente i vantaggi. Un altro ancora era la divisione della Parrocchia appartenendo parte a Reggio e parte a Rubiera, cosicchè nell’unità di Parrocchia subiva una duplice amministrazione civile, non sempre armonica perché non ne spiccassero le differenze e il confronto a caratteri secchi (?).
Fu ben naturale che la parte principale la vincesse sulla minore, cioè la Reggiana sulla Rubierese, essendo più facile l’attacar questa alla città, che sveller quella per unirla a questa; d’altronde era meno umiliante il piegare al forte, che il farsi dipendente di un debole, pari essendone le condizioni di distanza. D’altronde stava nelle aspirazioni morali di quella Parrocchia l’unificarsi materialmente come lo era moralmente. Ragione quindi partiprima nelle distrettuazioni di non scindere mai le associazioni morali, e quindi necessità di far fondamento nella Parrocchia presa nella sua integrità, come associazione morale costitutiva della società medesima.
(N.d.T. – Esistono dal foglio n°157 al n°169 due fascicoli che riguardano: il primo il “REGOLAMENTO PER L’ORNATO DEL PAESE DI RUBIERA e Territorio circostante” che è una delibera del Consiglio Comunale del 26 aprile 1877; il secondo è lo “STATUTO ORGANICO Dell’Opera Pia Rasponi” per l’assistenza ai poveri del Paese, Istituita dal Canonico Giovanni Battista RASPONI il 17 Dicembre 1821 e che io ne trascrivo solamente i titoli perché, essendo stampati in modo molto chiaro, gli eventuali interessati li possono consultare presso la Biblioteca Comunale.)
DISTRETTUAZIONE COMUNALE DI RUBIERA.
Prima di entrare a dire della distrettuazione comunale, e delle vicende per essa patite nel lungo trapasso e durata di secoli fino a noi, credo conveniente dire alcun chè della sua dipendenza Provinciale prima e dopo di essere Comune.
Benchè Rubiera nel 1077 appartenesse al Comitato di Modena (Vedi T. I° pag.102) dovè cionullameno poco dopo passare alla Giurisdizione di Reggio come lo attestano li annessi e possessi che quel Comune vi teneva, e l’atto di assoluta padronanza esercitatovi coll’erigersi di un fortilizio. Forse ciò avvenne per quel prepotere di influenza che vi esercitava la Podestà Ecclesiastica e sulle Chiese e sui beni a esse appartenenti.
(Alle usurpazioni e prepotenze dei Conti e dei Marchesi gli Ottoni vi contrapposero i Vescovi conferendo loro l’autorità civile specialmente sulle città e loro adiacenze; così che costoro prevalendosi della autorità Ecclesiastica già ricca di immunità e privilegi afforzavano la civile, servendosi d’ambedue ad ampliarsi ed arrotondare la giurisdizione che si immedesimarono, e così conformate e costituite restavano ai Comuni che avevano preso a loro capo i Vescovi. Così si formarono i distretti che più tardi Provincie si appellarono. Ma venne tempo in cui i Comuni stanchi di autorità che riconoscevano il loro potere dall’Impero, scossero la dipendenza dai Vescovi, e si costituirono liberi).
Troviamo di fatto nel 1144 confermate da Papa Lucio le concessioni fatte da Urbano al Vescovo di Reggio … super Plebem Herberie cum suis capellis …(vedi Taccoli Tomo I° Pag. 401 e seguenti) troviamo sotto gli anni 1070, 1093, 1160, 1189 che i Vescovi di Reggio tenevano in parte il Dominio Temporale del Distretto della città di Reggio come ancora delle terre e Castella subordinate al di loro Governo; e Federico Imperatore confermava al Vescovo di Reggio non tanto il Distretto di quattro miglia nel territorio di Reggio, ma ben anche il jus di molte Castella e Corti e fra le altre quella di Rubiera. Così che anche supposto che appartenesse per giurisdizione civile al Comitato di Modena, i molti possessi e Chiese che vi teneva l’Episcopato di Reggio ne sottraevano buona parte di quella dipendenza o la rendeva nominale, così che chiamati i Vescovi a presiedere e tutelare la loro autorità alla formazione dei Comuni, ne dovettero avvenire quelle mistioni di giurisdizioni che furono poi cagione più tardi di risse e di guerre fra le città che vi tenevano supremazia. Che le Provincie si modellassero sugli Episcopati che ne preparavano le confinazioni, ce lo mostra la cronologia Storica l’Episcopatus che precorre il Districtus come vediamo dal 300 al 400.
(NdA – La divisione o delimitazione per Episcopati precedè quella per Distretti, così che è probabile che questa si ammodellasse e si compaginasse sulle basi di quella estendendo i diritti speciali che avevano sulle Chiese all’interi territori e alle rispettive ville, assimilandoli col diritto comune delle città.
I privilegi sui quali si formavano le autonomie dei Comuni furono cagione della loro separazione e dei rispettivi isolamenti donde la mantenuta diferenza e multiplicità dei vernacoli e sottodialetti)
Col sottoporsi delle campagne alle città, vennero confermandosi i Distretti Territoriali sulle giurisdizioni Vescovili.
Dovettero adunque i Vescovi interessati nell’ampliamento dei Comuni di cui erano Capi e Patroni sottomettere o far servire le Giurisdizioni ecclesiastiche alla civile che ne avvantaggiava, e così dovettero apurarsi quelle usurpazioni, per cui più tardi troviamo Rubiera appartenere al Comune di Reggio. Di cotal modo di usurpazione ne abbiamo un esempio e una prova in Arrigo IV° che pose al Bando dell’Impero la Città di Reggio per aver usurpate Quarantola e Comunaggio nel 1179 sotto il Vescovo Albricone che ne era l’arbitro e il padrone. Ragioni poi potentissime di togliere a Modena la Giurisdizione di Rubiera era l’importanza del sito posto a cavaliere della strada che unisce le due Città, e punto o luogo atto alle difese contro gli attacchi dei Modenesi di cui Reggio fu più volte minacciata in quell’epoca.
Rubiera adunque nel 1200 la troviamo all’Episcopato e distretto di Reggio, e tale si conservò nelle molte peripezie che ebbe a trapassare nel 1300 finchè costituitasi in quella autonomia d’appartenenza distrettuale non fu che illusoria, non riconoscendo altra soggezione che quella del Duca. Ma nel 1523 in forza di un Breve Romano si volle assegnarla a Modena perché ne contribuisse alle gravezze il che fu causa di risse e di omicidi. Fortunatamente una tale dipendenza durò poco, che nell’anno stesso Alfonso ricuperata che l’ebbe la ritornò alle sue prime condizioni di indipendenza e di autonomia.
Nel 1804 venne aggregata al Distretto del Panaro, al quale restò unita anche dopo la Ristaurazione fino alla sua soppressione del 1836. Ripristinata nel 1860 dal Governo Nazionale o meglio dalla Dittatura fu nuovamente unita a Reggio, come a suo centro naturale, ma collo stralcio della Villa principale cioè Marzaglia. Non così scarsa di mutamenti e vicende troviamo la Distrettuazione o Circoscrizione Comunale.
Distrettuazione Comunale
Il Comune di Rubiera dovè costituirsi prima del 1300, e forse in occasione che Reggio stanca delle fazioni si rifugiava sotto la protezione dell’Estense, troviamo di fatto memoria della sua esistenza nell’estimo di Reggio del 1310, ove vengono enumerati i Comuni rurali appartenenti alla città e fra questi vi figura Rubiera. (Del 1289 Rubiera apparteneva ancora al dominio di Reggio perché lo vediamo annoverato fra i luoghi di cui l’Estense Obizzo prese il possesso nel 1290). Benchè da documenti esplicitamente non appaia quale estensione allora avesse il nostro Comune pure si può con certezza stabilire che il Comune stesso non si allargasse oltre il Castello ed alla terra stessa di Rubiera, che ne costituiva la Giurisdizione Parrocchiale. Il numero dè fochi o famiglie sia castellane che coloniche, mostrano la sua poca estensione come più chiaramente viene dimostrato dalla simultanea consistenza dei Comunelli di Bagno, S.Faustino e S.Donnino. A ciò conduce il veder figurare separatamente all’estimo suddetto col nome di Comuni le Ville che più tardi aggregate ne costituirono la Distrettuazione. Difatto S.Faustino, Bagno, Marmirolo, S.Donnino e Gazzata figuravano Comuni separati, così che si direbbe che in quell’epoca ogni Parrocchia fosse eretta in Comune sempre per quell’influenza che vi esercitava la Chiesa la quale le aviò sulle singole giurisdizioni ecclesiastiche.
I privilegi originari di esenzioni che godeva Rubiera dovettero più tardi essere un allettamento e quasi un invito alle ville finitime, per venire a partecipare gli utili e i vantaggi coll’aggregarsi al suo territorio, sottraendosi in pari tempo alla soggezione di Reggio sempre tumultuaria e gravosa per l’agitarsi delle fazioni.
(Molto prima del 1200 il Vescovo di Reggio possedeva la Chiesa di Rubiera. Vedi Tirab. 1274. Dall’atto di sudditanza apparisce che Rubiera apparteneva al Comitato o luogo di Reggio. Vedi documento in proposito).
A consegnare le sei ville dovettero pure avervi parte i molti possessi che in esse vi tenevano i Bojardi, diritti feudali di mero e misto imperio confermati loro appunto sulla metà del secolo XIV dal Legato del Papa, e più tardi riconosciuti e confermati dall’Estense. Fra le cause che influirono poi ad estendere il Comune di Rubiera, non dovè essere ultimo i bisogno di sottrarsi alla autorità di Reggio che lo trascinava ed involgeva nei torbidi che in quel secolo travagliarono ed afflissero quella Città. Infatti nei frequenti e fortunosi trambusti che ebbe a subire la città di Reggio nel corso del decimoquarto secolo; nei subiti trapassi da una ad altra dominazione Rubiera fu staccata dalla sua dipendenza da Reggio. E nel costituirsi a Comune autonomo dovè confirmarsi a nuova distrettuazione. Di questa ne troviamo indizi certi negl’atti di dedizione con cui Rubiera si dava all’Estense o meglio nei capitoli concessi da Lionello del 1442 ove esplicitamente è detto: “Quod illi de Campogalliano, da Sancto Martino, de Arceto et Scandiano habitantes et possidentes res et bona in illo Territorio Herberie cosantur et compellantur, et cogi et compelli debeant pro estimo corum bonorum ad collectas que impenuntur in illo comuni Terri spissus nostre Terre Herberie.(Fas.lo 2° Pag.na 33)”. Per questo capitolo vengono delimitate le confinazioni di giurisdizione del nostro Comune. Oltre il quale non poteva stendersi la sua Autorità. Anteriormente troviamo in un rogito del 1426 che Nicolò III° investe a titolo di feudo Antonio Ruggieri di alcune terre “…posite in Territorio Hirberie in Villa Zimelle …” come pure di altro appezzamento posto “… super Casale juxta Burgum Hirberie …” E prima ancora nella nota dei beni che i Bojardi cedevano all’Estense “… tituli cambii sue permutationis … in Terra et Castro Hirberie ac in ejus tundo territorio et pertinentiis …” vediamo o troviamo figurare molte terre appartenenti alle Ville di S.Faustino, Fontana, S.Donnino, Zimella, Bagno, Marmirolo e Casale che letteralmente si dicono poste nel territorio di Rubiera. “…in Villa Casalis teritorii Herberie…in Villa Corteselle ….Rogito I° “… in Villis et Territorio terre nostre Herberie … Fas.lo II° Pag.na 187. … in Territorio Herberie ad Sanctum Fabianum … in dicto Territorio in Fontana … in Territorio Herberie in Cortesella … in dicto Territorio in Sancto Donnino … ad Bagnum dicti Territori Herberie … in dicto Territorio ad Sanctum Doninum … in Territorio Herberie ad Zimellam … in dicto Territorio ad Sanctum Faustinum … in dicto Territorio ad Marmilorum …” (Vedi Fas.lo 12°- Pag.na 217). Codesti rogiti non lasciano dubi o perplessità sull’appartenenza delle sudette ville, così che resta chiarito abbastanza che il Territorio di Rubiera all’atto in cui passava all’Estense, constava già delle ville di S.Faustino, Fontana, Casale, S.Donnino, Bagno, Zimella e Marmirolo.
Così confermato lo troviamo durare fino al 1650. In tale epoca ebbe a perdere la villa di S.Donnino, per l’infeudazione fatta dal Duca alla Nobil Casa del Conte Franco Fontana. E forse in tale occasione ne fu compensata la perdita colla villa di Cazzuola che troviamo poi figurare fra le ville componenti il Comune.
Ma cominciato lo scomponimento ebbe ben presto a provare nuove mutazioni. Nel 1750 le fu sottratta la villa di Corticella, conferita in Feudo al Marchese De Mari di Reggio così che mutila di due ville pervenute fino quasi al chiudersi del secolo Decimo ottavo in cui ebbe a patire jattura di nuovi e radicali scomponimenti e sottrazioni.
Le novità scapestrate che ci portava in regalo sulla punta delle baionette la Republica Francese sommossero rapidamente a mutazioni e gli spiriti vaghi di innovazione, e che in essi pescano opportunità a dar sfogo ad interessi o ambizioni. Non valse a tenere unite e concordi quelle ville che per secoli avevano goduto di una vita comune.
Ad istigazione del Parroco, Marmirolo minacciò di staccarsi dall’antico suo ceppo per darsi a Reggio; e così Bagno, non so se trascinata da influenza o da suggestioni, o da semplice spirito di novità ad imitazione di Marmirolo, o da contagione di real esempio, condusse pratiche per staccarsi da Rubiera. Reggio appoggiava la cosa per interesse, il Governo per viste politiche. Così che solo del 1804 furono definitivamente tolte e Rubiera le due ville di Bagno e Marmirolo, aggregandovi in compenso la villa di Marzaglia, e unendo il Comune al dipartimento del Panaro.
Sterile compenso alle ville perdute: e così restò rotta quell’integrità storica che formava il pregio e la forza del nostro Comune. (vedi Fog.io 17).
Tali frutti ne vennero a Rubiera dai turbamenti che vi vennero di Francia colla Rivoluzione, la quale per sua natura e per ragione di Governo nuovo, tutto doveva scomporre, mutare, innovare. Scomposta nei suoi elementi, impoverita nelle sue risorse, travagliata dagli oneri di guerra non abdicò alla propria esistenza, ma pensò a rifarsi delle patite jatture e a bastare a se stessa anche nel meschino assetto cui era stata ridotta.
In si meschine proporzioni attraversò l’epoca Napoleonica fino al ristauro dei vecchi Governi i quali stupefatti ancora di un passato senza esempi non osavano ritornare le cose quali le lasciarono, o solo le ripristinavano in quanto favorissero i loro interessi, non il ben essere e la prosperità dei Popoli.
Ridotta quindi alle ville di S.Faustino, Fontana, Santa Agata di Casale e Marzaglia, la Communità di Rubiera se non prosperò visse di una vita decorosamente modesta senza aggravio degli amministrati e senza mancare ai bisogni efettivi del suo territorio fino al 1830, epoca in cui Francesco d’Austria con ipocrito decreto la volle soppressa, aggregandola, in sezione separata, al Comune di Modena. Così dopo cinque secoli e più di esistenza cessava di vivere la nostra Comune ne per pregare fu più ripristinata.
Era serbato a Governo più mite e civile il ridonare a questo paese una Istituzione alla quale si legavano memorie care e vitali interessi.
Nel 1859 Francesco V° abbandonava i suoi Stati incalzato dalle armi italiane e dal pericoli di una popolare sollevazione. Col malaugurato armistizio si governò il Paese a dittatura, e fu per decreto di essa ripristinata la nostra Communità quale si trovava all’epoca dell’attuazione; per ragione di Distrettuazione Provinciale le fu tolta la villa di Marzaglia che era la principale, così che restò ridotta alle ville di S.Faustino, Fontana, e S.Agata Casale. Non fu quindi intero atto di giustizia ripristinarla imperfetta e mutila di una delle sue parti principali.
Più tardi vide lo sconcio della precipitazione; conobbe la necessità di ripararvi; e fece facoltà ai Comuni che si credevano lesi di reclamare, lasciando speranza di equa riparazione. Non restò inoperoso il nostro Comune, ma chiese e ben a ragione che in compenso della perduta villa di Marzaglia gli fosse data quella di Bagno che altra volta aveva parte del nostro Comune, e che per ragione di vicinanza meglio ne arrotondava la Circoscrizione. Fino a qual punto si insistesse, quali vie si tentassero non conosco. Disgraziatamente finora ineficaci, e (vuota) della spontanea dedizione con cui Bagno si offriva a far parte del nostro territorio e del nostro Comune.
Tale è la storia della vicende e fortune corse dalla Distrettuazione del nostro Comune. Sterile e meschina curiosità, quando non dovesse servire a scopo di utilità publica, col farla servire al reintegro del Comune stesso, patrimonio di tradizioni, di usi, di consuetudini che meritavano miglior rispetto.
(È però ad annotarsi che le Istituzioni di cui si volle provedere e dotare il Paese imperfettamente o non attecchirono, o restarono, piuttosto che un benefizio, un pio desiderio di un meglio futuro, una parlante testimonianza dei bisogni del Paese. Quali le cause? Forse più della volontà la povertà dei mezzi e delle risorse: povertà fatta maggiore dal numero dei privilegiati che non si potevano chiamare a contribuire agli oneri publici.)
(N.d.A. – Fu tentato il distacco di Casale S.Agata a favore di S.Martino in Rio sotto il pretesto che quella sezione apparteneva alla Parrocchia di Stiolo; così che la giurisdizione Ecclesiastica di detta Parrocchia restava divisa tra il Comune di S.Martino e quello di Rubiera).
DAGLI ATTI DEL COMUNE DI RUBIERA.
Con decreto Reale del 29 ottobre 1815 venne stralciata la Villa e Parrocchia di S. Donnino di Liguria dal Comune di Rubiera, per essere aggregata a quello di Scandiano.
“A 18 gennaio del 1816 con atto del …” fu fatta la consegna al Sig. Luigi Bergonzi incaricato dal Comune di Scandiano, delle poche carte scampate dall’incendio seguito nel Marzo del 1814 per opera delle truppe napoletane per cui gli atti del Comune di Rubiera cominciano dal 1814 in avanti “…la villa di S.Donnino nella sua unione con Rubiera seguita nell’anno 1810 non portò alcuna attività ne passività, ed avendo d’altronde il Comune di Rubiera dei redditi particolari in fondi per un annua somma di £. 2800 così venne concordemente convenuto nel Consiglio del 27 ottobre 1809, che queste rendite particolari del Comune di Rubiera andassero a benefizio comune colla fazione aggregata di S.Donnino, e che in caso di nuova separazione non possa giammai la Fazione di S.Donnino pretendere sotto qualunque titolo o pretesto cosa alcuna delle particolari attività del Comune di Rubiera”.
(N.d.A. – Occorrono indagini particolari per conoscere se l’aggregazione a Rubiera di S.Donnino fosse promossa dal Comune nostro per ragioni di compenso; o se quelli di S.Donnino di proprio movente si offrissero a far parte di questa Amministrazione. Come passassero le ravviate distrettuazioni del nostro Comune dal 1796 al 1810 abbiamo indizi per congetturarle, non criteri fondati per precisarle. Forse all’Archivio di Reggio potrebbe rinvenirsi qualche cosa in simile materia).
DAGLI ATTI DELLA COMUNITÀ DI MODENA
Conservatores Civitatis Mutine.
Cunetis presentes litteras nostras visuris et lecturis fidem faciamus et attetstamus Castrum sive Terram Herberie fuisse et esse de Juribus et pertinentiis Ducatus dicte Civitatis Mutine et constare et apparire per litteras et scripturas Archivi nostri, et ita Herberienses tractari uti Mutinenses, in quorum fidem.
Datum Mutins en Cancelleria nostra die 3 Augusti 1617.
Ippolitus Donzius Notarius et Cancellarius demandato
(Copiata all’Archivio della Comunità di Modena a 22 Agosto 1868)
MEMORIE SULLA COMUNITÀ DI RUBIERA.
Rubiera godeva, sul cominciare, di una antichissima Communità soggetta al Comune di Reggio.
Fin dal 1300 Rubiera si reggeva a Comunità propria, benchè dipendente da Reggio che ne nominava il Podestà. (Micheli T. I° pag.na 176 – Tonoli T.I° pag.ne 262, 269). Nicolò III° riconobbe e riconfermò la Comunità di Rubiera e suoi antichi privilegi, nel 1423 sul cambio fatto coi Bojardi di Rubiera con Scandiano. Del 1454 Borso con decreto del 1°Marzo1454 riconfermò alla Communità di Rubiera i privilegi già concedutole dallo stesso Leonello, cioè che quella terra non fosse soggetta alla giurisdizione di alcuna Città o persona, ma solo del Duca medesimo ed al Comune di Ferrara. E da quel tempo la Comunità stessa bastando a se stessa nelle tante fortune di guerre e di rivolgimenti, e rispettata e incolume da tante dominazioni proprie e forestiere che travagliarono questa povera terra, riconosciuta e riconfermata durante il Regno del grande Napoleone, durò e pervenne fino a noi come istituzione principe alla quale si attaccava il benessere e la prosperità morale ed economica del nostro Paese.
Solo Francesco IV° d’Austria che nulla ebbe fuori del reditaggio, per un senso sconfinato di assoluta dominazione e per cancellare quell’avanzo o larva di publica rappresentanza, con atto prepotente del 1° Gennaio del 1831 volle aggregata la Comunità di Rubiera a quella di Modena, per dominio ed influire più dappresso la rappresentanza e per disporre delle publiche sostanze, adonestando tale atto sotto il ridevole titolo di semplificare l’amministrazione e protestando di incapacità il Paese a condurre la publica amministrazione. Poco dopo tale fatto si riscosse il Paese e cacciò il Duca dal trono, non tardò Rubiera a rivendicarsi dell’onta e del danno e a 15 di Febraio ripristinò il Comune come consta del qui unito documento:
“In seguito di deputazione composta dai Signori Sandrini Giuseppe e Barbieri Bernardo, il primo dei quali l’attuale Agente Comunale, direttasi alla Dittatura provvisoria della Provincia di Modena, onde ottenere il ripristinamento della Communità di Rubiera, è stato con decreto firmato dal Signor Dittatore esaudito il voto della medesima, e rimesso il tutto nel primitivo stato di cose come trovavansi in antecedenza al decreto di concentrazione del 1° Gennaio scorso.
In conseguenza di ciò sono stati nominati in Sindaco il Signor Giuseppe Sandrini suddetto ed in anziani li Sig.ri Aggazzotti Giacomo, Maestri Luigi, Mari Rinaldo, e Bozzoli Carlo, confermando in segreteria il il Sig. Barbieri Dr. Francesco.
Dato dalla residenza Communitativa di Rubiera il giorno 15 Febraio 1831.
Fto. Sandrini
Modena dalla stamperia del Governo Provvisorio.”
Dietro tale autorizzazione a tal atto funzionò di fatto la Communità riprendendo e continuando la propria amministrazione finchè il ristauro violento e concussionario di Francesco IV° venne nuovamente a distruggere l’operato togliendo ogni coraggio a ritentare la via delle grazie; avendo il ripristinamento un carattere ed essendo considerato un atto di ribellione.
Restò però al povero Paese un barlume di speranza nell’ordinata e mantenuta separazione della nostra amministrazione da quella della Comunità di Modena. Speranza resa illusoria dal tempo che mise in chiaro essere tutt’altro lo spirito del quale sonasse il decreto. E da quel giorno restò il Paese con un semplice agente e piuttosto valletto della Comunità di Modena, mettendo e considerando Rubiera come una villa del Distretto di Modena stessa.
Dopo 15 anni successe finalmente al Trono Francesco V° e le comuni speranze di qualche riforma o miglioramento incuoravano fiducia a tentare l’animo del nuovo Sovrano per via di grazia, finallora preclusa ed insperabile, il che fu fatto a nome dei principali residenti del Paese e Territorio a 26 Marzo del 1846.
Eccone il documento alla lettera:
“I sottoscritti posidenti dè la Comune di Rubiera con tutta umiltà e confidenza umiliano alla clemenza e giustizia dell’Altezza Vostra Beata la presente supplica esponendo quella verità di fatto che militar possono a loro vantaggio per essere graziati dall’A.V.B. nell’esaudimento della loro domanda.
L’antichissimo Territorio di Rubiera che da molti secoli era eretto in Comune dipendente un tempo dalla Provincia di Reggio, ed altro da quella di Modena e che comprendeva anche in allora le ville di Bagno, Marmirolo e Cacciola era aggregato alla Comune di Reggio e di Scandiano, aveva un capo Amministratore col titolo di Governatore e poscia in progresso di tempo di Podestà.
Il Podestà che era Giudicante del luogo amministrava la Comune in concorso di alcuni Consiglieri fatti dalle persone più prudenti del Territorio di Rubiera come si rileva dall’apposito Regolamento pel Governo della Comunità di Rubiera emanato nell’anno 1690 sotto il Regime di Francesco II° di gloriosa memoria.
Il Territorio di Rubiera fu sempre anche in luttosissime circostanze conservato in Comune e finalmente nell’anno 1814 nella generale restaurazione Europea e dopo una lunga occupazione di truppa straniera dal 24 Gennajo cioè, a tutto Aprile dell’anno stesso 1814, fu pure confermato in Comune nella Provincia di Modena colla presidenza di un Sindaco e di quattro Anziani.
Nelle suaccennate permanenze di truppe straniere eccedenti oltre modo ogni suo potere e ristretta amministrazione, dopo di aver consunto ogni suo mezzo di rendita ebbe il grave danno della devastazione delle campagne, occupate dai campi delle truppe suindicate a pregiudizio e danno dei di Lei amministratori.
Non ostante tutte le suindicate sue passate disavventure e di essersi replicate anche nel successivo anno 1815 per l’invasione in questi Dominj delle truppe Napoletane, li rappresentanti si seppero condurre nella sua Amministrazione in modo da rimarginare tutte le passate perdite senza gravitare li suoi amministrati colle rendite sue allodiali e tenne sovrimposta sul censo si nel vero in istato di risarcire ogni suo danno così che nell’ultimo preventivo compilato nel 1830 sul successivo 1831 aveva ridotta la sovrimposta comunale a soli millesimi 3 per scudo d’estimo per tutto il detto anno 1831 come emerge dal Preventivo stesso che fu rimesso al Decastero di Governo per la voluta superiore approvazione.
Quando improvvisamente riuscì, sul finire del Dicembre dell’anno 1830, alla Comunità di Modena di ottenere l’aggregazione della Comunità di Rubiera alla di lei Amministrazione pel semplice oggetto, come viene espresso nell’avviso Podestalizio del 22 detto mese, di semplificare maggiormente le aziende dei Comuni.
In tale stato di cose il povero Territorio di Rubiera, spogliato così delle sue proprietà e rappresentanze, incontrò da principio una sovrimposta Comunale di sei volte tanto quanto ne andava ad imporre pel detto anno 1831 la quale in progresso di tempo è stata poi portata fino a millesimi 34 per ogni scudo di estimo oltre la straordinaria pagata dal 1840 al 1842 circa senza alcun frutto.
Si à in dovere da ultimo far conoscere che li poveri della Parrocchia di Rubiera furono nell’anno 1829 eredi di un legato del fu Canonico Rasponi, della ex Collegiata di Rubiera stessa, di un fondo stabile arativo con fabbricato rustico posto in villa Fontana, la rendita del quale per sua disposizione dovrebbe servire al mantenimento di giovani infermi al Civico Ospedale di Modena e non altrimenti; ad ora pochi di questi vengono sussidiati ed accolti nel Reclusorio dei giovani alla Saliceta S.Giuliano.
Animati quindi i sottoscritti ricorrenti dalla fiducia che vi pongono nella clemenza dell’A.V.S. umiliano al trono le suespresse loro svantaggiose circostanze di fatto colla speranza di ottenere la ripristinazione, confidandosi altresì nella felice avventura di non avere di che rimproverarsi sulla condotta Politica, non contando neppure un solo individuo che siasi nuovamente compromesso contro la legittimità Sovrana in tutte le passate vicende rivoluzionarie specialmente degli anni 1822 e 1831.
Che della grazia. Seguono le firme.
Signori – Don Antonio Bassignani Arciprete di Rubiera. – D.r Antonio Lombardi Bibliotecario di V.A.S. – Marchese Frosini Ciamberlano di V.A.S. – Spalletti Trivelli Sig. Giambattista – Conte Gabrietti per la Contessa Sagrati di Reggio. – Canonico Amministratore della Dottrina Cristiana di Reggio – Ingegnere Rossi per al casa Greppi di Milano –
D.r Giovanni Prampolini.
D.r Antonio Aguzzoli.
D.r Francesco Capelli
Don Antonio Beltrami Prevosto di S.Faustino.”
Detta supplica fu appoggiata e raccomandata al Sovrano dal Sig. Paolo Greppi unitamente al fu Reverendissimo Arciprete di Rubiera i quali anziché avere una recisa negazione, lasciò speranza e quasi certezza movendo difficoltà e dubi se esistessero in luogo soggetti atti al disimpegno lodevole dell’amministrazione Comunale, per lo che sul finire del Giugno dell’anno stesso fu presentata una memoria dal prelodato Arciprete di Rubiera portante la nomina di 14 Possidenti maggiori estimati più che atti al disimpegno delle incombenze Comunali nelle persone degli infrascritti:
Sig. Avvocato Edmondo Chiesi
Agazzotti D.r Antonio
Prampolini D.r Giovanni
Capelli D.r Franco
Sala D.r Gaetano
Riva D.r Giuseppe
Riva Sig. Giovanni
… Sig. Antonio
Ricardi Sig.Prof. Francesco
Maestri Sig. Giuseppe
Zini D.r Luigi
Maestri D.r Agostino
Landini Sig. Giuseppe
Araldi Cavalier Luigi
Ferrarini Sig. Luigi
Possidenti sempre abitanti nel Territorio dell’ex Comune di Rubiera:
Sig. Bernardo Barbieri
Sig. Agazotti D.r Antonio
Sig. Capelli D.r Francesco
Sig. Prampolini D.r Giovanni
Sig. Romoli Luigi
Sig. Landini Giuseppe
Per tal modi si spianavano le difficoltà opposte si rimovevano gli ostacoli studiati e si rincorava fiducia di ottenere. Ma eravi qualche cosa di superiore cioè la nessuna confidenza nei soggetti del Paese e nelle istanze e sollecitazioni della Comunità. Così restò senza risposta la detta petizione, ma a 25 Ottobre del 1846 stesso una commissione composta dai Signori Bassignani Arciprete di Rubiera, Ingegnere Rossi Agente della Casa Greppi di Milano e il Sig. D.r Prampolini a nome e nell’interesse della Proprietà del Paese e territorio replicarono come segue:
“La qui sottofirmata Commissione di Possidenti formata da Don Bassignani Arciprete di Rubiera, Ingegnere Giuseppe Rossi per l’interesse del Sig. D.r Paolo Greppi di Milano e il D.r Giovanni Prampolini servi e sudditi umilissimi dell’Altezza V.R. si presentano a nome e per l’interesse di tutti gli altri possidenti del Territorio dell’ex Comune di Rubiera, umiliano presso all’A.V.R. la presente prece pregandola caldamente a richiamare l’altra suplica umiliata all’A.V.R., circa la metà dell’ultimo scorso mese di Marzo da che i principali Posidenti del soppresso Comune di Rubiera esposero quella verità di fatto che militar potevano a loro vantaggio per essere graziati dall’A.V.R. nell’esaudimento di loro domanda per la ripristinazione dell’ex Comune di Rubiera, come sperano vivamente di ottenere dalla Clemenza Vostra confidando che ne avrebbero sensibilissimi vantaggi da tanta grazia accordata potendo in allora sensibilmente diminuire l’imposta comunale. Avendo questo soppresso Comune rendite allodiali, legati per soccorsi ai poveri ammalati, posidenti capaci a sostenere gratuitamente e lodevolmente la Publica Amministrazione, e così tutti i posidenti si dovrebbero un particolare impegno per dar soldo ai poveri capaci di lavoro ed il Comune stesso intraprendere publici ed utili lavori e così dar sollievo alla numerosa popolazione che qui si trova oziosa chi per mancanza di lavoro, chi per mancanza di industria, chi per cattiva volontà datisi alli rubamenti di frutti e sostanze di campagna senza rispetto dei Proprietari ridotti questi a vedersi derubare la più belle sostanze e doversi ritirare per non esporre la propria vita e convenienza, ed infruttuosi sono, non essendo riusciti i rapporti fatti alle subalterne superiorità pei provvedimenti che dovrebbero sostenere i diritti dei Posidenti: che maggiori attentati e turbamenti si hanno anche a temere nella prossima ventura invernata stando l’assai scarsa raccolta e l’eccessivo prezzo dei generi di prima necessità quando la vigile Clemenza di V.G.R. non vi ponga pronto riparo.
Tanto sperano i Petenti ottenere. (Firme)
(Diffatto il Paese fu messo a tumulto ed a ruba come si prevedeva)
(Delibera di cessazione della dipendenza di Rubiera dal Comune di Modena fatta dai cittadini più riconosciuti del Paese all’atto della fine del Ducato di Modena nel 1859.)
Copia dell’originale-
Rubiera a 17 Giugno 1859
Col cessare del Governo che nel 1831 volle soppressa l’antichissima Comunità di Rubiera, cessa di diritto la violenta aggregazione della Nostra alla Comunità di Modena, e per conseguente il Paese e suo Territorio torna a fruire della prima ed integra facoltà di ricostituirsi in Municipio e di ripristinare di fatto una Amministrazione propria separata e indipendente, considerando come non avvenuto l’atto prepotente che spogliò Rubiera stessa della Istituzione che ne formava l’ornamento la prosperità. Prevalendosi quindi di una tale autorità i rappresentanti della Proprietà, dell’Industria e del Commercio del paese stesso e suo territorio.
Considerando che nel 1831 fu la Communità stessa con atto publico rivendicata senza opposizioni e difficoltà; e benchè nuovamente soppressa dal ristauro di Francesco IV° restò nullameno quell’atto e quel fatto come una publica e solenne protesta contro l’operata usurpazione.
Considerando l’unanime ed universale desiderio di ripristinamento della Communità stessa espresso e formulato a nome della proprietà dalla deputazione presentatasi al succeduto Francesco V° nel 1846, come l’espressione legittima del sentito e conosciuto bisogno di provvedere all’abbandono ed abbiezione cui era ridotto il Paese.
Considerando i tentativi e le pratiche rinnovellate a tale oggetto benchè ineficacemente nel 1857, come altrettante e nuove proteste ed espressioni del non mai rinunziato diritto di rivendicare quale che fosse la Communità stessa.
Considerando che nel 1848 per un malinteso spirito di legalità e di aspettativa fu perduta non senza rimprovero una opportunità che tornò proficua, onorifica e fortunata a chi più destro seppe coglierla.
Considerando per ultimo che nessuno potrà oggi divolere ciò che per ripetute prove ed in diversi tempi si volle con unanime suffragio; che nessuno vorrà mostrasi peritoso, incerto ed infingardo a cogliere l’occasione che propizia ci arride; che il dubitare dell’esito della cosa sarebbe un fare onta al Governo del Magnanimo ed Eroico nostro Re e Salvatore, sospettandolo capace di raffermare e ribadire un atto brutale e violento di usurpazione contro un infelice Paese.
E per tali considerazioni che i qui sottoscritti Proprietari, Commercianti e Industriali prevalendosi dell’attuale provvidenziale circostanza per attuare un diritto incontestabile, persuasi di bene meritare del proprio Paese, fidenti nella giustizia della loro causa hanno dichiarato e dichiarano ripristinato di diritto e di fatto il proprio Municipio di Rubiera. In pendenza frattanto del formale installamento del Governo del Magnanimo nostro Re, viene provvisoriamente organizzato di personale del ripristinato Municipio nelle persone delli Sigg.ri
Ingegnere Francesco Riccardi – Presidente
Prampolini D.r Giovanni
Romoli D.r Rodolfo
Barbieri Bernardo
Rosa Massimiliano
Mari Rinaldo
Cessa quindi per tale atto qualunque ulteriore dipendenza amministrativa col Municipio di Modena, conservando i quei tempo la più stretta ed ossequiosa dipendenza col Decastero Speciale e Provinciale sui Municipi stessi.
Seguono le firme di n° 32 in calce
Ing. Francesco Riccardi, Bernardo Barbieri, Rinaldo Mari, Romoli D.r Rodolfo, Rosa Massimiliano, Prampolini D.r Giovanni, Don Angelo Chesi Arciprete, Don Sandrini Antonio, Don Lodovico Giberti, D.r Pietro Barbieri, D.r Giovanni Bentuzzi, Romoli Natale, Cavaglieri Francesco, Francesco Berti, Stefano Beccaluva, Domenico Bentuzzi, Cavalieri Antonio, Anacleto Romoli, Beccaluva Gianeto(?), Manicardi Luigi, Raimondo Barbieri, Andreani Camillo, Filippo Basandoli(?), Antonio Venturelli, Giberti Franco, Giovanni Barbieri, Farioli Achille, Ferdinando Mari, Bazzoli Ludovico, Rosa Alessandro, Giberti Eugenio, … Adeodato
(Firme 32 non comprese quelle che figuravano in altre suppliche, sulle quali se anche non presenti si contò in altri documenti)
Lettera di accompagnamento della delibera suscritta.
A Sua Eccellenza.
Delegati i sottoscritti a rappresentare alla Eccellenza Vostra le speranze i desideri i voti pel ristabilimento della Comunità di Rubiera, espressi in apposita riunione dai principali Proprietari e Commercianti del Paese stesso e suo Territorio; i sottoscritti in adempimento di loro mandato rispettosamente rappresentano alla Eccellenza Vostra come la Comunità stessa di Rubiera fosse di antichissima istituzione, contando una durata non interrotta di più di cinque secoli; come da Francesco IV° fosse soppressa dal 1831 non per semplificare le aziende dei Comuni come diceva, ma per astio e rovello delle publiche rappresentanze: come da sua posizione e rapporti topografici di eccentricità fra Modena e Reggio dovevano raccomandarne la esistenza per non allontanarla dal suo centro amministrativo. Come la sua popolazione di 4144 anime della quali 1228 soggette alla tassa di testatico: detto ex Comune all’atto della soppressione constava del Paese di Rubiera e suoi borghi, delle ville di Marzaglia, S.Faustino, Fontana e Casale S.Agata, e nell’andato secolo comprendeva ancora le ville di Bagno, Marmirolo e Cacciola. Li allodi della Comunità stessa ammontavano a £. 3493 non comprese la imposta su tassa di Testatico e di Estimo Comunale che sommavano annualmente £. 9000.
(N.d.T.-Esistono sul manoscritto quattro versioni della prossima relazione al Governatore derlle Provincie Modenesi sulla soppressione della Comunità di Rubiera fatta da Francesco IV d’Austr
A SUA ECCELLENZA IL GOVERNATORE DELLE PROVINCIE MODENESI
Memoria sulla Comunità di Rubiera soppressa da Francesco IV° d’Austria
(1a versione)
Fin dal 1300 Rubiera si reggeva a Comunità propria, benchè dipendente dalla Città di Reggio, che ne nominava il Podestà. Nel 1423 Nicolò III° d’Este confermò la Comunità stessa nel trattato di cambio di Scandiano con Rubiera, fatto coi Bojardi che ne erano Signori. Con decreto del 1° Marzo 1454 Borso confermò alla comunità stessa di Rubiera il privilegio già concedutole dallo stesso Leonello cioè: “…che queste terra non fosse soggetta alla giurisdizione di alcuna città o persona ma solo al Duca medesimo ed al Comune di Ferrara”. Del 1690 a sei di Gennajo Francesco II° d’Este riconfermò ancora la Comunità di Rubiera con uno Statuto particolare, uniformandola agli ordini generali sopra il buon governo di tutte le Comunità de suoi Stati”. E da quell’epoca la Comunità di Rubiera, bastando a se stessa nelle tante fortune di guerra e di rivolgimenti: rispettata ed incolume dalle tante dominazioni e nostre e forestiere: riconosciuta e raffermata da Napoleone I° durante il Regno Italico: durò e pervenne fino a noi come una istituzione fondamentale e sacra, alla quale si rattaccava il benessere e la prosperità morale e materiale del nostro Paese. Solo Francesco IV° d’Austria, rotto agli arbitri di uno sconfinato dispotismo, conculcando i diritti, sconoscendo i bisogni, disprezzante le consuetudini, rinnegando le tradizioni di reditaggio di questa infelice popolazione, inaugurava sua straniera dominazione dapprima collo spogliare Rubiera della sua giurisdicenza civile e criminale nel 1819: più tardi col 1° Gennajo del 1831 volle soppressa la Comunità stessa di Rubiera aggregandone l’amministrazione a quella di Modena “per semplificare maggiormente le aziende dei Comuni” (Sic).Restava per tal fatto il povero Paese di Rubiera spogliato dell’autorità Amministrativa e Giudiziaria; spogliato dei propri allodi Comunali; spogliato dei lasciti Pii a pro dei poveri e degli infermi; spogliato del diritto di erogare le proprie imposte a benefizio del proprio Paese: e per dilegio governato da un Agente Comunale senza poteri, senza iniziativa, senza autorità; condannato di fatto e per mandato a semplice valletto o piuttosto servitore devotissimo della Illustrissima Comunità di Modena.
Poco dopo sopravvennero i moti insurrezionali d’indipendenza dell’Italia Centrale, così che fugato il Duca, non tardò Rubiera a vendicarsi dell’onta e del danno della patita usurpazione: e a 15 di Febrajo ripristinò di fatto il proprio Comune con atto publico, sanzionato dalla Dittatura Centrale delle Provincie di Modena. Ma sgraziatamente seguiva dappresso il ritorno violento e concussionario di Francesco IV, e per nostra sventura si volle nel coraccio della reazione ravvisare nel tentato ripristinamento un atto manifesto di ribellione, e quindi un argomento ad aggravare la ferrea mano del Governo sul povero Paese. Da quel giorno tutto fu perduto persino la speranza. Pure restò quell’atto e quel fatto come una parlante accusa, come una publica e solenne protesta contro l’operata usurpazione.
Ridotto per tal modo il Paese di Rubiera alla umiliante condizione di una semplice villa appartenente al Distretto di Modena, non curato, disprezzato, bistrattato, e per soprasello governato da un reazionario fanatico appartenente al pur infame e famoso Satellizio di Campagna ; seppe ciò nullameno rassegnarsi dignitosamente alla propria sventura , anziché discendere a giustificazioni, a umiliazioni, a prostituzione con chi per meditata e sistematica perfidia ne era stato l’autore.
Dopo 15 anni di permanente reazione finalmente succedeva al trono Francesco V° pure d’Austria, e le in allora comuni speranze di qualche riforma o miglioramento tendente ad annullare le traccie di un odioso passato, rincuoravano fiducia a tentare l’animo del nuovo Sovrano pel ripristinamento della Comunità di Rubiera. A tale oggetto i principali possidenti e maggiori stimati del Paese e Territorio di Rubiera ,Signori
Don Bassignani Arciprete di Rubiera
D.r Antonio Lombardi Bibliotecario di S.G.R.
Marchese Frosini Giamberlano di S.G.R.
Conte Gabrietti per la Sig.ra Contessa Sacrati di Reggio
Canonico Amm.re della Dottrina Cristiana di Reggio
Ingegnere Rossi per la Casa Greppi di Milano
D.r Giovanni Prampolini
D.r Antonio Agazzotti
D.r Francesco Capelli
Don Antonio Beltrami Prevosto di S.Faustino
Presentavano a 28 Marzo del 1846 un memoriale nel quale si raffermavano i titoli e le ragioni che militar facevano in favore della implorata restituzione della Comunità di Rubiera. Si ricordava in esso l’antichità secolare della Comunità stessa, e la sua conservazione nel generale Ristauro Europeo: gli ultimi disastri delle escursioni, occupazioni e devastazioni militari patiti nel 1814 e 15; le rimarginate perdite per le suddette cagioni senza gravitare soverchiamente li suoi amministrati, ma colle rendite Allodiali e una tenue imposta sul censo a corto tempo lo stato fiorente e plausibile della Amministrazione testimoniato dal preventivo pel 1831 dove l’imposta Comunale era ridotta a 3 millesimi per scudo d’Estimo: la sovraimposta incontrata all’atto di aggregazione alla Comunità di Modena di sei volte maggiore di quella ne andasse essa ad imporre nel preventivo suddetto: sovraimposta portata in breve tempo a 34 millesimi per scudo d’Estimo senza conoscere meno sentire un corrispettivo vantaggio: il nessun sollievo dal Legato Pio Rasponi, destinato al mantenimento di poveri infermi del Paese, per la esclusione dei cronici dallo Spedale Civico di Modena e per la difficoltà di ammissione di trasporto degli attaccati di Malattie violente: per ultimo il non comparire alcun compromesso di Paese nelle fasi politiche del 1822 e 1831.Questi i sommi capi del memoriale pei quali i chiedenti si ripromettevano la restituzione della loro Comunità di Rubiera.
Non oppose a Francesco V° una recisa negativa alli Signori D.r Paolo Conte Greppi di Milano e Don Bassignani Arciprete di Rubiera che raccomandavano, pregavano, instavano per l’esaudimento della rivocata Comunità: solo mostrò dubitare se in Paese esistessero persone idonee al disimpegno dell’Amministrazione Comunale. A rimovere il qual dubio fu tostamente proveduto presentando una distinta delle persone atte per impegno, per moralità, per condizione civile al lodevole e gratuito disimpegno della Publica Azienda; facendo presentire in pari tempo quale e quanto vantaggiose deriverebbero alla Amministrazione ed al Paese dal gratuito servizio degli interessati stessi, potendo per tal modo col diminuire delle spese di gestione venire pure allegerite e ridotte le imposte a carico della proprietà, bastando il Comune coi propri Allodi e vari lasciti suoi sopperire ai bisogni dei poveri degli infermi, e in concorso coi possidenti a soccorrere le classi bisognose con lavori privati e publici nelle circostanze straordinarie. Ma vani tornarono gli argomenti, inutili le preghiere, illusorie ed evanidi le speranze. L’idoneità richiesta da Francesco V° non era di capacità, di moralità, di onoratezza, ma bensì ed esclusivamente opinione politica e di attaccamento al Governo. E questa per fortuna non si trovava in Paese. E come mai poteva Egli ripromettersi confidenza, attenzione, attaccamento da un Paese al quale erano stati tolti i beni più caramente diletti, la dignità, il grado, l’autorità, la prosperità, la sicurezza publica e privata? Poteva captivarsene se non l’amore, almeno la riconoscenza colla restituzione della mal tolta Comunità. E questa fu negata con mendicati pretesti per favorire la voraginosa Amministrazione della Illustrissima Comunità di Modena, alla quale dovevano essere inesorabilmente sacrificate le nostre imposte, i nostri allodi, i nostri lasciti Pii, i nostri interessi, la sicurezza nostra, le convenienze del nostro Paese.
Falliti questi primi tentativi, non rinunziò Rubiera al diritto e alla speranza di rivendicare quanto che fosse la propria Comunità, appena la Providenza le ne parasse l’occasione. Difatti insorta appena l’Italia nel 1848 e bandita la guerra allo straniero primo pensiero fu la proposta della pronta ricupera della nostra Comunità. Se non che per un mal inteso spirito di legalità e di aspettativa prevalse il partito di ritardarne il ripristinamento a guerra finita, ripromettendosela come frutto della spontanea unanime ed entusiastica dedizione fatta dl Paese e suo Territorio al Magnanimo Re Carlo Alberto. Ma sfortuna volle che col ruinare del Risorgimento Italiano, andasse pure per noi perduta l’avventurosa occasione, che ben tornava proficua ed onorevole a chi più destro seppe coglierla. Seguito il Ristauro per armi Austriache dell’Austriaco Francesco V° noi fummo per disperazione fatti vittime delle ultime miserie cui eravamo serbati. Le condizioni morali, economiche e materiali del nostro Paese (cosa incredibile) peggiorarono ancora. L’autorità Politica fino allora rappresentata dall’Agente Comunale, venne, per difidenza, affidata al Brigadiere dei Dragoni di presidio: all’Agente Comunale non restò più che riferire le richieste, eseguire se comandato, e far mostra d’insufficienza e di nullità. Taccio i disordini che ne furono conseguenza e che afflissero senza modo e misura il nostro povero Paese. A soggetto della nessuna considerazione in cui si tenne il Paese si finì per fondere in una sola persona le cariche di Chirurgo, di Segretario, e di Agente Comunale. Poteva un paese patire maggior vergogna, maggiore umiliazione? Ridotte le cose a tali estremi si venne nella disperata rivoluzione di presentare a Francesco V° lo stato materiale e morale del Paese nella sua compassionevole nudità, adempiendo per tal modo un sacro dovere di patria, di carità, di civiltà, che ne potesse avvenire. Per mezzo del loro nuovo Parroco Don Angelo Chiesi i possidenti del Paese di Rubiera nel 1857 lamentavano al Sovrano la mancazna o insuficienza dell’Autorità locale, per cui l’ordine publico, la sicurezza personale, gli interessi e i bisogni del Paese restavano abbandonati alla fortuna.
Il rifugiarsi in Paese od in fazione di poveri, di vagabondi e di malviventi scacciati dalle altre fazioni della Comunità di Modena, quindi il moltiplicarsi dei poveri, degli oziosi, dei scioperati. La tollerata impunita licenza al ladrocinio di campagna; quindi l’organizzazione del furto in pieno giorno e la dilapidazione della proprietà. Le non osservate e spesso inadeguate discipline annonarie: quindi l’anarchia comerciale dei generi di prima necessità in danno del povero consumatore. La nessuna sorveglianza all’istruzione ed insegnamento publico; per conseguente sciupato inutilmente e senza profitto, come inadeguato al maggior numero. Per ultimo gli aggravi insopportabili alla proprietà, l’insufficienza delle beneficenze ai poveri, la trascuragine delle publiche bisogne, l’improduttiva erogazione delle rendite Comunali, la nessuna guarantigia degli interessi e delle persone. Quindi la necessità anzi l’urgenza di provvedimenti pronti, speciali, straordinari: quindi il bisogno di una Patria Amministrazione, cointeressata al bene del popolo, presente sempre conoscitrice dei bisogni dello stesso. S’implorava quindi la restituzione della Comunità.
Benchè nulla approdasse la franca rimostranza, volse ciò nullameno a mostrare il corraggio civile di un paese, che seppe e volle lamentare i propri mali, additarne le cause nella usurpata Comunità, invocarne il rimedio nel ripristinamento della stessa. Eloquente rimprovero a che ne era stato l’autore! Frattanto coll’ansia della aspettativa e della speranza stava il Paese e aspettava col desiderio il ben augurato momento del prossimo riscatto nazionale. E appena la spada del Magnanimo ed Eroico nostro Re e Liberatore Vittorio Emanuele sgombrava questa infelice terra dai nostri oppressori, concordi e fidenti i principali proprietari, commercianti e industriali si riunivano nella Residenza Comunale di Rubiera a 19 del corrente per reclamare unanimi il ripristinamento di diritto e di fatto della loro tanto invocata e sospirata Comunità di Rubiera. Delegavano quindi i due sottoscritti Prampolini D.r Giovanni di S.Faustino, e Romoli D.r Rodolfo di Rubiera per ripetere la mal tolta Comunità; e a sollecitare la superiore sanzione per il legale e regolare ripristinamento della stessa. A tale oggetto e nella stessa giornata presentavansi i due suddetti in deputazione al Regio Commissario per Modena, il quale dicendosi non autorizzato ad approvare l’invocato ripristinamento consigliava a formulare una regolare esposizione e dimanda al Governatore della Provincia di Modena, offrendosi di appoggiare e raccomandare pel miglior esito le nostre ragioni presso la superiore autorità. Perché nulla adunque restasse di omesso e d’intentato a raggiungere lo scopo che formava l’oggetto di loro missione, in adempimento quindi di loro mandato compilarono i sottoscritti, rigorosamente a prova di documenti, la presente memoria perché l’Eccellenza Vostra potesse con tutta esattezza e verità sapere e conoscere i titoli di antichità che raccomandavano la Comunità di Rubiera; la futilità e l’inesistenza dei motivi pretestati per sopprimerla; i mali tanti che derivarono al Paese dalla soppressione della stessa ; i vari e ripetutti tentativi come altrettante proteste per rivendicarla; l’ostinata persistenza di Francesco V° a negarla; i bisogni imperiosi in cui verte il Paese che reclamavano e reclamano di straordinari provvedimenti; perfine l’aspirazione unanime e universale dell’intero paese a ricuperare finalmente la perduta Comunità, come arra di un migliore avvenire, come àncora di salute e Palladio di sicurezza.
Non disconosce Rubiera il grave compito che si assume col ripristinamento del proprio Comune, trovandosi a fronte dei grandi mali; dei grandi bisogni, dei molti abusi e dei troppi disordini lasciati in retaggio da un Governo per sistema corrotto e corruttore, col coraggio che impone il dovere, colla coscienza dei propri mezzi, colla certezza dell’efficace concorso del nuovo Governo il risorto Municipio assunta la divisa saprà affrontare, combattere e vincere gli ostacoli e le difficoltà di un ingrato passato, ed operare il riabilitamento morale e civile del proprio Paese. Fatto assegnamento sul patriotismo e sulla lealtà degli uomini di mente e di cuore del Paese e suo Territorio, e calcolando sui mezzi finanziari che senza sforzi e senza sacrifizi potrà disporre ordinariamente il Municipio, spera il Paese di inaugurare secondo i propri sforzi e col patrio Reggimento un era novella di civiltà e di giustizia, e di contribuire alla grande opera della rigenerazione nazionale propugnata e difesa eroicamente dal Magnanimo nostro Liberatore Vittorio Emanuele. E perché l’Eccellenza Vostra vegga e conosca con quanto fondamento il paese di Rubiera si riprometta i più felici risultamenti dal ripristinamento del patrio Municipio, i sottoscritti si fanno un dovere di esporre un quadro o piuttosto sommario statistico-comparativo delle rendite e delle spese attualmente in corso per la Sezione di Rubiera.
RENDITA ANNUA DELL’AGENZIA COMUNALE DI RUBIERA.
Canone di livello del Molino 2.417
Affitto dei fondi Comunali 616
Testatico 500
Canone del Legato Capponi 460
Estimo Comunale 8.500
TOTALE 12.493
ANNUE SPESE DELL’AGENZIA DI RUBIERA
Medico Condotto 800
Chirurgo Condotto 350
Mammana 98
Pedone Comunale con abitazione 150
Maestro di Scuola con abitazione 460
Maestro di Scuola Elementare 150
Impiegato d’uffizio 400
Spese di cancelleria 74
Combustibile per l’uffizio 60
Organista 69
Spese Ecclesiastiche 136
Becchino 132
TOTALE 2.879
L’annua spesa d’amministrazione per al sezione di Rubiera, compreso l’emolumento (cioè £.610) ai Maestri di Scuola, finora pagati dal Ministero dell’Interno, ammonta a Ital.ne £.2879.
La rendita annua degli Allodi di ragione della Comunità di Rubiera, somma Ital.ne £.3493.
La tassa annua di testatico e di estimo Comunale per la sezione stessa a Ital.ne £.9000.
Per cui la totale annua rendita somma Ital.ne £.12.493.
Così che compulsate le spese colle entrate, queste presentano tal margine da ripromettersene i migliori risultati per l’andamento della Amministrazione e per la prosperità degli amministrati. Quanto poi alla idoneità, moralità e onoratezza delle persone atte a ministrare e condurre la publica Azienda, a inchiesta dell’Eccelenza Vostra i sottoscritti si faranno un dovere di presentare una distinta nominale per quelli sempre domiciliati in Paese ed in Sezione, come per gli altri che oltre ad avere possessi passano pure buona parte dell’anno a villeggiare nel territorio dell’ex Comune.
Soddisfatto come meglio per noi si poteva alla missione ricevuta in ordine allo scopo perseguito dai nostri mandanti. È su tali considerazioni e riflessi che il Paese di Rubiera invoca dalla Eccellenza Vostra il ripristinamento del proprio Municipio radicato nella tradizione, richiesta dai bisogni, ed avente in se stesso le ragione morale ed economica della propria esistenza. Alla efficacia delle ragioni non crede il Paese aggiungere effetto di preghiera. Fidente che l’Eccellenza Vostra vorrà segnalare i primi inizi del ben augurato Regno della Nazionale Riconciliazione col cancellare l’atto violento e brutale della straniera dominazione che volle per uggia e per rovello delle publiche rappresentanze.
A SUA ECCELLENZA IL GOVERNATORE DELLE PROVINCIE MODENESI
Memoria sulla Comunità di Rubiera soppressa da Francesco IV° d’Austria
(2a versione)
Fin dal 1300 Rubiera si reggeva a Comunità propria, benchè dipendente dalla Città di Reggio, che ne nominava il Podestà. Nel 1423 Nicolò III d’Este riconobbe riconfermò la Comunità stessa di Rubiera e molti suoi privilegi nel trattato di cambio fatto coi Bojardi di Rubiera con Scandiano. Con decreto del 1° Marzo 1454 Borso confermò alla comunità di Rubiera il privilegio già concedutole dallo stesso Leonello cioè: “…che queste terra non fosse soggetta alla giurisdizione di alcuna città o persona ma solo al Duca medesimo ed al Comune di Ferrara”
Del 1690 a 4 di Gennajo Francesco II d’Este riconosce e conferma la Comunità di Rubiera con uno Statuto particolare, uniformandola agli ordini generali sopra il buon governo di tutte le Comunità de suoi Stati. Oltre il Sindaco e il corpo dei dodici consiglieri avrà pure il Paese di Rubiera un Governatore proprio e una giurisdicenza civile e criminale.
E da quel tempo la Comunità stessa di Rubiera, bastando a se stessa nelle tante fortune di guerra e di rivolgimenti: rispettata ed incolume dalle tante dominazioni e nostre e forestiere: riconosciuta e confermata durante il Regno di Napoleone I°: durò e pervenne fino a noi come una istituzione fondamentale e sacra, alla quale si rattaccava il benessere e la prosperità morale e materiale del nostro Paese. Solo Francesco IV° d’Austria rotto agli arbitri di uno sconfinato dispotismo, conculcando i diritti, sconoscendo i bisogni, disprezzando le consuetudini, rinegando le tradizioni di reditaggio di questa infelice popolazione, tolse d’apprima a Rubiera la giurisdicenza civile e criminale nel 1819: non contento col 1° Gennajo del 1831 volle aggregata la Comunità di Rubiera a quella di Modena “per semplificare maggiormente le aziende dei Comuni” (Sic).Restava per tal fatto il povero Paese di Rubiera spogliato autorità Amministrativa e Giudiziaria; spogliato dei propri allodi Comunali, e per dilegio governato da un Agente Comunale senza poteri e senza iniziativa, che riducevasi al fatto un semplice valletto della Illustrissima Comunità di Modena.
Poco dopo fugato il Duca dai moti d’indipendenza dell’Italia Centrale, non tardò Rubiera a rivendicarsi dell’onta e del danno ricevuto: e a 15 di Febrajo ripristinò il proprio Comune con atto publico, e con approvazione della Dittatura delle Provincie di Modena. Sgraziatamente e troppo presto il ristauro violento e concussionario di Francesco IV venne a distruggere l’operato, ma riconoscendo nel ripristinamento della Comunità un atto di ribellione manifesto trovava argomento ad aggravare la ferrea mano del Governo sul povero Paese. Restava ciò nullameno un barlume di speranza fondata sulla futilità del titolo a detta aggregazione e nella separazione della nostra sezione da quella della Comunità. Speranza illusoria. Il tempo mise in chiaro che tutt’altro era lo spirito di quella … la lettera del decreto.
Da quel giorno Rubiera fu considerato come una villa appartenente al Distretto di Modena. Ridotta Rubiera all’umiliante condizione di una semplice villa appartenente al Distretto di Modena, disprezzata, bistrattata seppe conservare dignitosamente il silenzio, e sopportare fieramente la sventura senza discendere a giustificazioni, a umiliazioni, a prostituzioni.
Finalmente successe al trono Francesco V° e le in allora comuni speranze di qualche riforma o miglioramento rimuovevano fiducia a tentare l’animo del nuovo Sovrano pel ripristinamento della Comunità di Rubiera. E così a nome dei principali possidenti e maggiori stimati del Paese e Territorio di Rubiera, fu ai 28 Marzo del 1846 presentato un memoriale nel quale si riaffermavano i titoli e le ragioni per riprormettersi la restituzione del Comune. L’antichità secolare della Comunità stessa: gli ultimi patiti disagi e danni delle escursioni, occupazioni e devastazioni di truppe nel1814 e 15; le rimarginate perdite incontrate per le suddette cagioni senza gravitare soverchiamente li suoi amministrati, ma colle rendite Allodiali e una tenue imposta sul censo aveva già risarcito in breve tempo.
Che nell’ultimo suo preventivo pel 1831 era ridotta l’imposta a soli 3 millesimi per scudo d’Estimo: che per l’aggregazione alla Comunità di Modena incontrava una sovrimposta di sei volte tanto quante ne andava essa ad imporre pel 1831. Sovraimposta che in breve tempo fu portata a 34 millesimi per scudo senza conoscerne e meno sentire un corrispettivo vantaggio e sollievo. Che il legato Pio, destinato al mantenimento di poveri infermi del Paese, per difficoltà di ammissione non rispondeva. Che non aveva nel passato 1822 e 1831 nessun compromesso si sperava argomento a ben sperare il ripristinamento del Comune.
I Signori Don Bassignani Arciprete di Rubiera
D.r Antonio Lombardi Bibliotecario di S.G.R.
Marchese Frosini Giamberlano di S.G.R.
Spalletti Trivelli Sig. Giambattista
Conte Gabrietti per la Sig.ra Contessa Sacrati di Reggio
Canonico Amm.re della Dottrina Cristiana di Reggio
Ingegnere Rossi per la Casa Greppi di Milano
D.r Giovanni Prampolini
D.r Antonio Agazzotti
D.r Francesco Capelli
Don Antonio Beltrami Prevosto di S.Faustino
Alli Signori D.r Paolo Conte Greppi di Milano e Don Bassignani Arciprete di Rubiera che appoggiavano detta supplica al Sovrano anziché apparire una recisa negativa fu mosso dubio se in paese esistessero persone idonee al disimpegno dell’Amministrazione. Dubio al quale fu soddisfatto plausibilmente presentando una distinta delle persone atte per impegno, per moralità, e condizione civile a disimpegnare lodevolmente e gratuitamente l’amministrazione; così che diminuendo sensibilmente le imposte, allegerite le spese di amministrazione così che il Comune coi propri allodi e vari lasciti Pii avrebbe potuto soccorrere ai poveri ammalati ed i possidenti avrebbero potuto soccorrere ai bisogni del povero con lavori privati e publici. Ma vanamente. Che il dubio e sospetto di incapacità mascherava la nessuna confidenza del Governo nell’opinione politica del Paese. E come poteva egli ripromettersi confidenza, affezione, attaccamento da un paese cui era stato tolto dignità, grado autorità, e spogliato dei beni più caramente diletti?
La via di captivarsene l’amore, era la restituzione della Comunità. E questa fu negata con mendicati pretesti per favorire la voraginosa Amministrazione della Comunità di Modena. Deluse le speranze di circostanza. Sopravvenne il “48 e per un mal inteso spirito di legalità e di aspettativa ripromettendosi come frutto della spontanea unanime ed entusiastica dedizione fatta dl Paese e suo Territorio al Magnanimo Carlo Alberto la restituzione della Comunità.
Quando il disgraziato rovescio delle armi Italiane mandò perduta anche l’avventurata occasione. Sopravvenuto il Ristauro per armi Austriache dell’Austriaco Francesco V° e distrutte le speranze. Le condizioni del nostro Paese peggiorarono ancora. L’autorità Politica fu affidata al Brigadiere di presidio: all’Agente Comunale non restò più che riferire se invocato, di eseguire se comandato. I disordini del Paese imperversarono senza misura; per mancanza di confidenza si finì di accatastare in una sola persona le cariche di Chirurgo condotto, di Scrittore dell’Agenzia e di Legato Comunale. Ridotte le cose a tali termini si venne nella disperata risoluzione di presentare alla scoperta lo stato materiale e morale del Paese, adempiendo per tal modo a un dovere civile, che ne potesse avvenire. Per mezzo del nuovo Parroco Don Angelo Chiesi i possidenti lamentavano al Sovrano:
la mancanza o insuficienza di Autorità locale, per cui l’ordine publico, la sicurezza personale, gli interessi e i bisogni restavano abbandonati alla fortuna.
L’introdursi in Paese ed in fazione i poveri, i vagabondi e i malviventi scacciati dalle altre fazioni, quindi il moltiplicarsi dei poveri, degli oziosi, dei scioperati.
La tollerata ed impunita licenza al ladrocinio di campagna; quindi l’organizzazione del ladrocinio in pieno giorno e la dilapidazione della proprietà.
Le non osservate discipline annonarie: quindi l’anarchia comerciale dei generi di prima necessità in danno del povero consumatore.
La nessuna sorveglianza all’istruzione ed insegnamento publico; per conseguente sciupato inutilmente e senza profitto, come inadeguato al maggior numero.
Per ultimo gli aggravi insopportabili alla proprietà, l’insufficienza delle beneficenze ai poveri, la trascuragine della publica bisogna, l’improduttiva erogazione delle rendite e delle imposte. La necessità quindi anzi l’urgenza di provvedimenti speciali, straordinari ed eccezionali: quindi il bisogno di una Patria Amministrazione, cointeressata al bene del Paese, presente sempre e conoscitrice dei bisogni del paese. S’implorava quindi la restituzione della Comunità.
Ma nulla valse questa rimostranza a smuovere il Duca e restò come un atto di coraggio civile del quale il paese avrossi a lodare.. Per tale opposizione restano adombrati di che fu conseguenza al paese la soppressa Comune, i tentativi ripetuti per nuovamente conseguirla; l’ostinata persistenza nel negare al Paese una istituzione che poteva riabilitarlo moralmente, civilmente e materialmente. E quindi l’abbrutimento sistematico come oggetto perseguito dal caduto governo
In tanta desolazione spiava il Paese il ben augurato momento di un riscatto nazionale, e appena la spada del Magnanimo ed Eroico nostro Re Vittorio Emanuele fece sgombra questa infelice terra dai nostri oppressori. I principali proprietari, commercianti e industriali per reclamare unanimi il ripristinamento di diritto e di fatto della Comunità di Rubiera. Sulla considerazione quindi che cessato il Governo che volle soppressa la nostra Comunità negava di diritto la violenta aggregazione a quella di Modena, subordinando il loro atto alla approvazione del Commissario regio di Modena al quale oggetto si deputavano i due sottoscritti Dr. Prampolini e Romoli. Presentavasi di fatto i due Deputati al Regio Commissario il quale si disse non autorizzato ad approvare il fatto, invitandoci a voler fare una regolare dimanda al Governatore appena arrivato.
A SUA ECCELLENZA IL GOVERNATORE DELLE PROVINCIE MODENESI
Memoria sulla Comunità di Rubiera soppressa da Francesco IV d’Austria
(3a versione)
Fin dal 1300 Rubiera si reggeva a Comunità propria, benchè dipendente dalla Città di Reggio, che ne nominava il Podestà. Nel 1423 Nicolò III d’Este confermò la Comunità stessa nel trattato di cambio di Scandiano con Rubiera, fatto coi Bojardi che ne erano Signori. Con decreto del 1° Marzo 1454 Borso confermò alla comunità stessa di Rubiera il privilegio già concedutole dallo stesso Leonello cioè: “…che quella terra non fosse soggetta alla giurisdizione di alcuna città o persona ma solo al Duca medesimo ed al Comune di Ferrara”. Del 1690 a 4 di Gennajo Francesco II° d’Este riconfermò ancora la Comunità di Rubiera con uno Statuto particolare, uniformandola agli ordini generali sopra il buon governo di tutte le Comunità de suoi Stati.
Oltre il Sindaco e il corpo dei 12 Consiglieri aveva pure il paese in quel torno di tempo un governatore proprio ed una giusdicenza civile e criminale.
E da quell’epoca la Comunità di Rubiera, bastando a se stessa nelle tante fortune di guerra e di rivolgimenti; rispettata ed incolume dalle tante dominazioni e nostre e forestiere: riconosciuta e raffermata da Napoleone I durante il Regno Italico: durò e pervenne fino a noi come una istituzione fondamentale e sacra, alla quale si rattaccava il benessere e la prosperità morale e materiale del nostro Paese.
Solo Francesco IV° d’Austria, rotto agli arbitri di uno sconfinato dispotismo, conculcando i diritti, sconoscendo i bisogni, disprezzando le consuetudini, rinegando le tradizioni di reditagio di questa infelice popolazione, inaugurava sua straniera dominazione collo spogliare Rubiera della sua giurisdicenza civile e criminale nel 1819: poi col sopprimere la Comunità di Rubiera nel 1831 di Rubiera aggregandone l’amministrazione a quella di Modena “per semplificare maggiormente le aziende dei Comuni” (Sic).Restava per tal fatto il povero Paese di Rubiera spogliato autorità Amministrativa e Giudiziaria; spogliato dei propri Allodi Comunali; spogliato dei lasciti Pii a pro dei poveri e degli infermi; spogliato del diritto di erogare le proprie imposte a benefizio del proprio Paese: e per dilegio governato da un Agente Comunale senza poteri, senza iniziativa, senza autorità; condannato di fatto e per mandato a semplice Valletto o piuttosto servitore devotissimo della Illustrissima Comunità di Modena.
Poco dopo sopravvennero i moti insurrezionali dell’Italia Centrale, così che fugato il Duca, non tardò Rubiera a vendicarsi dell’onta e del danno della patita usurpazione: e a 15 di Febrajo ripristinò di fatto il proprio Comune con atto publico, sanzionato dalla Dittatura Centrale delle Provincie di Modena. Sgraziatamente seguiva dappresso il ritorno violento e concussionario di Francesco IV°, e per nostra sventura si volle nel corruccio della reazione ravvisare nel operato ripristinamento un atto manifesto di ribellione e quindi un argomento ad aggravare la ferrea mano del Governo sul povero Paese. Da quel giorno tutto fu perduto persino la speranza. Pure restò quell’atto e quel fatto come una parlante accusa, come una publica e solenne protesta contro la brutale usurpazione.
Ridotto per tal modo il Paese di Rubiera alla umiliante condizione di una semplice villa appartenente al Distretto di Modena, non curato, disprezzato, bistrattato, e per soprasello governato da un reazionario fanatico del per infamia famoso Satellizio di Campagna; seppe ciò nullameno rassegnarsi dignitosamente alla propria sventura, anziché discendere a giustificazioni, a umiliazioni, a prostituzioni con chi per meditata e sistematica perfidia ne era stato l’autore.
Dopo 15 anni di permanente reazione finalmente succedeva al trono Francesco V° pure d’Austria, e le in allora comuni speranze di qualche riforma o miglioramento tendente a cancellare le odiose traccie di un odioso passato, rincuoravano fiducia a tentare l’animo del nuovo Sovrano pel ripristinamento della Comunità di Rubiera.
A tale oggetto i principali possidenti e maggiori stimati del Paese stesso e suo Territorio, Signori
Don Bassignani Arciprete di Rubiera
D.r Antonio Lombardi Bibliotecario di S.G.R.
Marchese Frosini Giamberlano di S.G.R.
Conte Gabrietti per la Sig.ra Contessa Sacrati di Reggio
Canonico Amm.re della Dottrina Cristiana di Reggio
Ingegnere Rossi per la Casa Greppi di Milano
D.r Giovanni Prampolini
D.r Antonio Agazzotti
D.r Francesco Capelli
Don Antonio Beltrami Prevosto di S.Faustino
presentavano a 28 Marzo del 1846 un memoriale nel quale si raffermavano i titoli e le ragioni che militar facevano in favore della implorata restituzione della Comunità di Rubiera. Si ricordava in esso l’antichità secolare della Comunità stessa, e la sua conservazione nel generale Ristauro Europeo: gli ultimi disastri patiti nelle escursioni, occupazioni e devastazioni del 1814 e 15; le rimarginate perdite per le suddette cagioni senza gravitare soverchiamente li suoi amministrati, ma colle rendite Allodiali e una tenue imposta sul censo a corto tempo: lo stato fiorente e plausibile della Amministrazione testimoniato dal preventivo pel 1831 ove l’imposta Comunale era ridotta a 3 millesimi per scudo d’Estimo: la sovraimposta incontrata all’atto di aggregazione alla Comunità di Modena di sei volte maggiore di quella ne andasse essa ad imporre nel preventivo suddetto. Sovraimposta portata in breve tempo a 34 millesimi per scudo d’Estimo (ed ora a più di 70) senza sentirne un corrispettivo vantaggio: il nessun sollievo dal Legato Pio Rasponi, destinato al mantenimento di poveri infermi del Paese, per la esclusione dei cronici dallo Spedale Civico di Modena e per le difficoltà di ammissione di trasporto degli attaccati di Malattie violente: per ultimo il nessun demerito del Paese in faccia al Governo per la condotta politica tenuta nelle fasi del 1822 e 1831.Questi i sommi capi del memoriale pei quali i chiedenti si ripromettevano la restituzione della loro Comunità di Rubiera.
Non oppose Francesco V° una recisa negativa alli Signori D.r Paolo Conte Greppi di Milano e Don Bassignani Arciprete di Rubiera che raccomandavano, pregavano, instavano per l’esaudimento della invocata Comunità: solo mostrò dubitare se in Paese esistessero persone idonee al disimpegno dell’Amministrazione Comunale. A rimovere il qual dubio fu tosto proveduto, presentando una distinta delle persone atte per ingegno, per moralità, per condizione civile al lodevole e gratuito disimpegno della Publica Azienda; facendo presentire in pari tempo quanto e quale vantaggio ne deriverebbe alla Amministrazione ed al Paese dal gratuito servizio degli interessati stessi, potendo per tal modo, col diminuire delle spese di gestione, venire pure allegerite e ridotte le imposte a carico della proprietà, bastando il Comune coi propri Allodi e legati Pii a sopperire ai bisogni dei poveri degli infermi, e in concorso coi possidenti a soccorrere le classi bisognose con lavori privati e publici nelle circostanze straordinarie. Ma vani tornarono gli argomenti, ineficaci le preghiere, illusorie ed evanidi le speranze.
L’idoneità richiesta da Francesco V non era di capacità, di moralità, di onoratezza, ma bensì ed esclusivamente opinione politica e di attaccamento al Governo. E questa per fortuna non si trovava in Paese. E come mai poteva Egli ripromettersi confidenza, attenzione, attaccamento da un Paese al quale erano stati tolti i beni più caramente diletti, la dignità, il grado, l’autorità, la prosperità, la sicurezza publica e privata? Poteva captivarsene se non l’amore, almeno la riconoscenza colla restituzione della mal tolta Comunità. E questa fu negata con mendicati pretesti per favorire la voraginosa Amministrazione della Illustrissima Comunità di Modena, alla quale dovevano essere inesorabilmente sacrificate le nostre imposte, i nostri allodi, i nostri lasciti Pii, i nostri interessi, la sicurezza nostra, le convenienze del nostro Paese.
Falliti questi primi tentativi, non rinunziò Rubiera al diritto e alla speranza di rivendicare quanto che fosse la propria Comunità, appena la Provvidenza le ne parasse l’occasione. Difatti insorta appena l’Italia nel 1848 e bandita la guerra allo straniero primo pensiero fu la proposta della pronta ricupera della nostra Comunità. Se non che per un mal inteso spirito di legalità e di aspettativa prevalse il partito di ritardarne il ripristinamento a guerra finita, ripromettendosi di conseguirla come frutto della spontanea unanime ed entusiastica dedizione fatta dl Paese e suo Territorio al Magnanimo Re Carlo Alberto. Sfortuna volle che col ruinare del Risorgimento Italiano, andasse pure per noi perduta l’avventurosa occasione, che ben tornava proficua ed onorevole a chi più destro seppe coglierla.
Seguito il Ristauro per armi Austriache dell’Austriaco Francesco V° noi fummo per disperazione fatti securi delle ultime miserie cui eravamo serbati. Le condizioni morali, economiche e materiali del nostro Paese (cosa incredibile) peggiorarono ancora. L’autorità Politica fino allora rappresentata dall’Agente Comunale, venne, per difidenza, affidata al Brigadiere dei Dragoni di presidio: all’Agente Comunale non restò più che riferire le richieste, eseguire se comandato, e far mostra d’insufficienza e di nullità. Taccio i disordini che ne furono conseguenza e che afflissero senza modo e misura il nostro povero Paese. A soggetto della nessuna considerazione in cui si tenne il Paese stesso si finì per lasciarlo senza rappresentanza Comunale per quasi un anno non vi essendo in Paese stesso persone che godessero la confidenza del Governo.. Poteva Rubiera patire maggior umiliazione, maggior vergogna? Ridotte le cose a tali estremi si venne nella disperata risoluzione di presentare a Francesco V° lo stato materiale e morale del Paese nella sua compassionevole nudità, adempiendo per tal modo un sacro dovere di patria, di carità, di civiltà che ne potesse avvenire. A ufficio del nuovo Parroco Don Angelo Chiesi la proprietà di Rubiera lamentava al Sovrano (1857) la mancanza o insuficienza di Autorità locale, per cui l’ordine publico, la sicurezza personale, gli interessi e i bisogni del Paese restavano abbandonati alla fortuna.
Il rifugiarsi in Paese od in sezione di poveri, di vagabondi e di malviventi scacciati dalle altre fazioni della Comunità di Modena, quindi il moltiplicarsi dei poveri, degli oziosi, dei scioperati. La tollerata impunita licenza al ladrocinio di campagna; quindi l’organizzazione del furto in pieno merigio e la dilapidazione della campagna. Le non osservate discipline annonarie: quindi l’anarchia comerciale dei generi di prima necessità con danno del povero consumatore. La nessuna sorveglianza all’istruzione ed insegnamento publico; per conseguente sciupato inutilmente e senza profitto, come inadeguato al maggior numero. Per ultimo gli aggravi insopportabili alla proprietà, l’insufficienza delle beneficenze ai poveri, la trascuragine delle publiche bisogne, l’improduttiva erogazione delle rendite Comunali, la nessuna guarentigia degli interessi e delle persone. Quindi la necessità anzi l’urgenza di provvedimenti pronti, speciali, straordinari: quindi il bisogno di una Patria Amministrazione, cointeressata al bene del popolo, presente sempre conoscitrice dei bisogni dello stesso. S’implorava quindi la restituzione della Comunità.
Benchè nulla approdasse la franca rimostranza, volse ciò nullameno a mostrare il coraggio civile di un paese, che seppe e volle lamentare i propri mali, additarne le cause nella usurpata Comunità, invocarne il rimedio nel ripristinamento della stessa. Eloquente rimprovero a che ne era stato l’autore!
Frattanto coll’ansia della aspettativa e della speranza spiava il Paese e affrettava col desiderio il ben augurato momento del prossimo riscatto nazionale. E appena la spada del Magnanimo ed Eroico nostro Re e Liberatore Vittorio Emanuele sgombrava questa infelice terra dai nostri oppressori, concordi e fidenti i principali proprietari, commercianti si riunivano nella Residenza Comunale di Rubiera a 19 del per racclamare unanimi il ripristinamento di diritto e di fatto della loro tanto invocata e sospirata Comunità di Rubiera. Delegavano quindi i due sottoscritti Prampolini D.r Giovanni di S.Faustino, e Romoli D.r Rodolfo di Rubiera a voler rappresentare al Regio Commissario Straordinario per Modena i voti, i desideri, i bisogni e le ragioni del Paese di Rubiera per ripetere la mal tolta Comunità; e quindi a sollecitare la superiore sanzione per il legale e regolare ripristinamento della Comunità stessa. A tale oggetto e nella stessa giornata presentavansi i due suddetti in deputazione al Regio Commissario per Modena, il quale dicendosi non autorizzato ad approvare l’invocato ripristinamento consigliava a formulare una regolare esposizione e dimanda al Governatore della Provincia di Modena, offrendosi in appoggio a raccomandare pel miglior risultamento le nostre ragioni presso la competente Autorità. Perché nulla adunque restasse di omesso e d’intentato a raggiungere lo scopo che formava l’oggetto di loro missione i sottoscritti compilavano la presente memoria, affinchè l’Eccellenza Vostra fosse edotta per filo e per segno dei titoli di antichità che raccomandavano la Comunità di Rubiera dell’inesistenza dei motivi pretestati per sopprimerla dei mali tanti morali, economici e materiali che ne provennero al Paese; dei ripetuti e coraggiosi tentativi per rivendicarla; dell’ostinata persistenza o piuttosto perfidia di Francesco V° a negarla dei bisogni imperiosi che reclamavano e reclamano provvedimanti pronti e speciale patrocinio; della perfine unanime aspirazione, dell’universale desiderio, dell’impaziente aspettativa dell’intero Paese pel ripristinamento della perduta Comunità, Palladio di sicurezza, di prosperità e di riposato vivere civile.
Non disconosce Rubiera il grave compito che si assume col ripristinamento del proprio Municipio, trovandosi a fronte dei grandi mali; dei molti abusi e dei troppi disordini lasciati in retaggio da un Governo per principi corrotto, per sistema corruttore.
Col coraggio che impone il dovere, colla coscienza delle proprie forze, colla certezza dell’efficace concorso del nuovo Governo, spera il Paese che il risorto Municipio assunta la divisa
Provvedere e Prevedere
saprà affrontare, combattere e vincere gli ostacoli e le difficoltà di un ingrato passato; prevenire le contingenze in prospettiva dell’attivamento della Ferrovia, ed avviare progressivamente il proprio Paese quel grado di civiltà e di prosperità che forma l’aspirazione e la gloria del secolo. Fatto assegnamento sul patriotismo e sulla lealtà degli uomini di mente e di cuore del Paese e suo Territorio, e calcolando sui mezzi finanziari che senza sforzi e senza sacrifizi potrà disporre il risorto Municipio, spera il Paese di Rubiera di vedere inaugurata col patrio Reggimento quest’era novella di civiltà e di giustizia, e di contribuire secondo le propie forze alla grande opera della rigenerazione nazionale propugnata e difesa eroicamente dal Magnanimo nostro Liberatore Vittorio Emanuele.
E perché l’Eccellenza Vostra vegga e conosca con quanto fondamento il paese di Rubiera si riprometta i più felici risultamenti dal ricostituito patrio Municipio, i sottoscritti si fanno un dovere di esporre un sommario statistico-comparativo delle rendite e delle spese attualmente in corso per la Sezione Comunale di Rubiera.
L’annua spesa d’amministrazione per la sezione di Rubiera, compreso l’emolumento (cioè £.610) ai Maestri di Scuola, finora pagati dal Ministero dell’Interno, ammonta a £.2879.
La rendita annua degli Allodi di ragione della Comunità di Rubiera, somma £.3493.
La tassa annua di Testatico e di estimo Comunale a £.9000.
Per cui la totale annua rendita somma £.12.493.
Così che compulsate le spese colle entrate, queste presentano tal margine da ripromettersene a giusta ragione i migliori risultati per l’andamento della Amministrazione, e per al prosperità degli amministrati.
Quanto poi alla idoneità, moralità e onoratezza delle persone atte a ministrare e condurre la publica Azienda, i sottoscritti si faranno un dovere, ad inchiesta dell’Eccelenza Vostra, di presentare una distinta nominale di quelli sempre domiciliati in Paese ed in Sezione, che potranno prestare opera attiva e continua alla gestione municipale, come degli altri a domicilio temporaneo di villeggiatura, che potranno contribuire col loro concorso a regolare e dirigere l’amministrazione stessa nei maggiori bisogni.
È su tali considerazioni e riflessi che il Paese di Rubiera invoca dalla Eccellenza Vostra il ripristinamento del proprio Municipio, radicato nella tradizione, richiesto dai bisogni, ed avente in se stesso la ragione morale ed economica della propria esistenza.
Alla efficacia delle ragioni non crede il Paese aggiungere effetto di preghiera. Fidente e persuaso che l’Eccellenza Vostra vorrà segnalare i primi inizi del ben augurato Regno della nazionale rigenerazione col distruggere l’opera della violenta e brutale dominazione straniera che per uggia e per rovello delle publiche rappresentanze volle soppressa la Comunità di Rubiera aggregandone le rendite, e abbadonando il Paese all’abbruttimento e alla miseria.
Impaziente il Paese di Rubiera affretta col desiderio il solenne momento di scoplire il marmo, la memoria del ridonato Municipio per tramandare ai tardi nepoti il debito di gratitudine e di riconoscenza a chi per atto di giustizia e di carità patria volle ritornato al Paese il decoro, l’auotorità, la prosperità.
Soddisfatto come meglio per loro si poteva al ricevuto mandato, i sottoscritti col presentare e raccomandare alla Eccelenza Vostra la presente Memoria in nome e per l’interesse del proprio Paese rispettosamente si dichiarano
Dell’Eccelenza vostra
Umilissimi e devotissimi servi.
(Avvertenza) vi sono molte imperfezioni nel dettato che studierò di correggere e migliorare nel metterlo in nitido.
A SUA ECCELLENZA IL GOVERNATORE DELLE PROVINCIE MODENESI
Memoria sulla Comunità di Rubiera soppressa da Francesco IV d’Austria
(Versione definitiva)
Fin dal 1300 Rubiera si reggeva a Comunità propria, benchè dipendente dalla Città di Reggio, che ne nominava il Podestà. Nel 1423 Nicolò III d’Este confermò la Comunità stessa nel trattato di cambio di Scandiano con Rubiera, fatto coi Bojardi che ne erano Signori. Con decreto del 1° Marzo 1454 Borso confermò alla comunità stessa di Rubiera il privilegio già concedutole dallo stesso Leonello cioè: “…che quella terra non fosse soggetta alla giurisdizione di alcuna città o persona ma solo al Duca medesimo ed al Comune di Ferrara”. Del 1690 a 4 di Gennajo Francesco II d’Este riconfermò ancora la Comunità di Rubiera con uno Statuto particolare, uniformandola agli ordini generali sopra il buon governo di tutte le Comunità de suoi Stati.
Oltre il Sindaco e il corpo dei 12 Consiglieri aveva pure il paese in quel torno di tempo un governatore proprio ed una giusdicenza civile e criminale.
E da quell’epoca la Comunità di Rubiera, bastando a se stessa nelle tante fortune di guerra e di rivolgimenti; rispettata ed incolume dalle tante dominazioni e nostre e forestiere: riconosciuta e raffermata da Napoleone I durante il Regno Italico: durò e pervenne fino a noi come una istituzione tradizionale e sacra alla quale si rattaccava il benessere e la prosperità morale e materiale del nostro Paese.
Solo Francesco IV° d’Austria, rotto agli arbitri di uno sconfinato dispotismo, conculcando i diritti, sconoscendo i bisogni, disprezzando le consuetudini, rinegando le tradizioni di reditagio di questa infelice popolazione, inaugurava sua straniera dominazione dapprima collo spogliare Rubiera della sua giurisdicenza civile e criminale nel 1819: poi col sopprimere la Comunità di Rubiera nel 1831 di Rubiera aggregandone l’amministrazione a quella di Modena “per semplificare maggiormente le aziende dei Comuni” (Sic).Restava per tal fatto il povero Paese di Rubiera spogliato autorità Amministrativa e Giudiziaria; spogliato dei propri Allodi Comunali; spogliato dei lasciti Pii a pro dei poveri e degli infermi; spogliato del diritto di erogare le proprie imposte a benefizio del proprio Paese: e per dilegio governato da un Agente Comunale senza poteri, senza iniziativa, senza autorità; condannato di fatto e per mandato a semplice Valletto o piuttosto servitore devotissimo della Illustrissima Comunità di Modena.
Poco dopo sopravvennero i moti insurrezionali d’indipendenza dell’Italia Centrale, così che fugato il Duca, non tardò Rubiera a vendicarsi dell’onta e del danno della patita usurpazione: e a 15 di Febrajo dell’anno stesso ripristinò di fatto il proprio Comune con atto publico, sanzionato dalla Dittatura Centrale delle Provincie di Modena.
Sgraziatamente seguiva dappresso il ritorno violento e concussionario di Francesco IV°, e per nostra sventura si volle nel corruccio della reazione ravvisare nel operato ripristinamento un atto manifesto di ribellione e quindi un argomento ad aggravare la ferrea mano del Governo sul povero Paese. Da quel giorno tutto fu perduto persino la speranza. Pure restò quell’atto e quel fatto come una parlante accusa, come una publica e solenne protesta contro la brutale usurpazione.
Ridotto per tal modo il Paese di Rubiera alla umiliante condizione di una semplice villa appartenente al Distretto di Modena, non curato, disprezzato, bistrattato nei suoi bisogni e nelle sue convenienze: e per soprasello governato da un reazionario fanatico del per infamia famoso Satellizio di Campagna; seppe ciò nullameno rassegnarsi dignitosamente alla propria sventura, anziché discendere a giustificazioni, a umiliazioni, a prostituzioni con chi per meditata e sistematica perfidia ne era stato l’autore.
Dopo 15 anni di permanente reazione finalmente succedeva al trono Francesco V° pure d’Austria, e le in allora comuni speranze di qualche riforma o miglioramento tendente a cancellare le odiose traccie di un odioso passato, rincuoravano fiducia a tentare l’animo del nuovo Sovrano pel ripristinamento della Comunità di Rubiera.
A tale oggetto i principali possidenti e maggiori stimati del Paese stesso e suo Territorio, Signori (riassumo da una copia del memoriale che si conserva in Paese)
Don Bassignani Arciprete di Rubiera
D.r Antonio Lombardi Bibliotecario di S.G.R.
Marchese Frosini Giamberlano di S.G.R.
Conte Gabrietti per la Sig.ra Contessa Sacrati di Reggio
Canonico Amm.re della Dottrina Cristiana di Reggio
Ingegnere Rossi per la Casa Greppi di Milano
D.r Giovanni Prampolini
D.r Antonio Agazzotti
D.r Francesco Capelli
Don Antonio Beltrami Prevosto di S.Faustino
presentavano a 28 Marzo del 1846 un memoriale nel quale si raffermavano i titoli e le ragioni che militar facevano in favore della implorata restituzione della Comunità di Rubiera. Si ricordava in esso l’antichità secolare della Comunità stessa, e la sua conservazione nel generale Ristauro Europeo: gli ultimi disastri patiti nelle escursioni, occupazioni e devastazioni del 1814 e 15; le rimarginate perdite per le suddette cagioni senza gravitare soverchiamente li suoi amministrati, ma colle sole rendite Allodiali e una tenue imposta sul censo a corto tempo:
- lo stato fiorente e plausibile della Amministrazione testimoniato dal preventivo pel 1831 ove l’imposta Comunale era ridotta a 3 millesimi per scudo d’Estimo:
- la sovraimposta incontrata all’atto di aggregazione alla Comunità di Modena di sei volte maggiore di quella ne andasse essa ad imporre nel preventivo suddetto.
- Sovraimposta portata in breve tempo a 34 millesimi per scudo d’Estimo (ed ora a più di 60) senza sentirne un corrispettivo vantaggio:
- il nessun sollievo dal Legato Pio Rasponi, destinato al mantenimento di poveri infermi del Paese, per la esclusione dei cronici dallo Spedale Civico di Modena e per le difficoltà di ammissione di trasporto degli attaccati di malattie violente:
- per ultimo il nessun demerito del Paese in faccia al Governo per la condotta politica tenuta nelle fasi del 1822 e 1831.Questi i sommi capi del memoriale pei quali i chiedenti si ripromettevano la restituzione della loro Comunità di Rubiera.
Non oppose Francesco V° una recisa negativa alli Signori D.r Paolo Conte Greppi di Milano e Don Bassignani Arciprete di Rubiera che raccomandavano, pregavano, instavano per l’esaudimento della invocata Comunità: solo mostrò dubitare se in Paese esistessero persone idonee al disimpegno dell’Amministrazione Comunale. A rimovere il qual dubio fu tosto proveduto, presentando una distinta delle persone atte per ingegno, per moralità, per condizione civile al lodevole e gratuito disimpegno della Publica Azienda; facendo in pari tempo presentire quale e quanto vantaggio ne deriverebbe alla Amministrazione ed al Paese dal gratuito servizio degli interessati stessi, potendo per tal modo, col diminuire delle spese di gestione, venire pure alleggerite e ridotte le imposte a carico della proprietà, bastando il Comune coi propri Allodi e legati Pii a sopperire ai bisogni dei poveri e degli infermi nei tempi ordinari; e in concorso coi possidenti a soccorrere le classi bisognose con lavori privati e publici nelle circostanze straordinarie.(Queste cose raccolgo sulla viva voce di persona proba che vi ebbe parte e da analoghe memorie che tuttora si conservano).
Ma vani tornarono gli argomenti, ineficaci le preghiere, illusorie ed evanidi le speranze! L’idoneità richiesta da Francesco V° non era di capacità, di moralità, di onoratezza, ma bensì ed esclusivamente opinione politica e di attaccamento al Governo. E questa per fortuna non si trovava in Paese. E come mai poteva Egli ripromettersi confidenza, attenzione, attaccamento da un Paese al quale erano stati tolti i beni più caramente diletti, la dignità, il grado, l’autorità, la prosperità, la sicurezza publica e privata? Poteva captivarsene se non l’amore, almeno la riconoscenza colla restituzione della mal tolta Comunità. E questa fu negata con mendicati pretesti per favorire la voraginosa Amministrazione della Illustrissima Comunità di Modena, alla quale dovevano essere inesorabilmente sacrificate le nostre imposte, i nostri allodi, i nostri lasciti Pii, i nostri interessi, la sicurezza nostra, le convenienze del nostro Paese.
Falliti questi primi tentativi, non rinunziò Rubiera al diritto e alla speranza di rivendicare quanto che fosse la propria Comunità, appena la Provvidenza le ne parasse l’occasione. Difatti insorta appena l’Italia nel 1848 e bandita la guerra allo straniero primo pensiero fu la proposta della pronta ricupera della nostra Comunità. Se non che per un mal inteso spirito di legalità e di aspettativa prevalse il partito di ritardarne il ripristinamento a guerra finita, ripromettendoselo qual frutto della spontanea unanime ed entusiastica dedizione fatta dl Paese e suo Territorio al Magnanimo Re Carlo Alberto. Sfortuna volle che col ruinare del Risorgimento Italiano, andasse pure per noi perduta l’avventurosa occasione, che ben tornava proficua ed onorevole a chi più destro seppe coglierla. (Si allude alla Comunità di Gualtieri ripristinata in quell’epoca, e conservata nella ristaurazione del 1849)
Seguito il Ristauro per armi Austriache dell’Austriaco Francesco V° noi fummo per disperazione fatti securi delle ultime miserie cui eravamo serbati. Le condizioni morali, economiche e materiali del nostro Paese (cosa incredibile) peggiorarono ancora. L’autorità Politica fino allora rappresentata dall’Agente Comunale (che era pure persona nostra) venne, per difidenza, affidata al Brigadiere dei Dragoni di presidio: all’Agente Comunale non restò più che riferire le richieste, eseguire se comandato, e far mostra d’insufficienza e di nullità. Taccio i disordini che ne furono conseguenza e che afflissero senza modo e misura il nostro povero Paese. A soggetto della nessuna considerazione in cui si tenne Rubiera, si finì per lasciarlo senza rappresentanza Comunale per quasi un anno, non vi essendo in Paese persone che godessero la confidenza del Governo: per ultimo si compilarono e si fusero nella stessa persona le cariche di Chirurgo, di Scrivano e di agente Comunale. Strano miscuglio di attribuzioni incompatibili. Poteva Rubiera patire maggior umiliazione, maggior vergogna? Ridotte le cose a tali estremi si venne nella disperata risoluzione di presentare a Francesco V lo stato materiale e morale del Paese nella sua compassionevole nudità, adempiendo per tal modo un sacro dovere di patria, di carità, di umanità che ne potesse avvenire.
(Fin qui ho narrato ed esposte cose da altri operate ed alle quali non partecipai. Ora riassumo che io di commissione compilai, e che tuttora conservo.)
A ufficio del nuovo Parroco Don Angelo Chiesi la proprietà di Rubiera lamentava al Sovrano (1857) la mancanza o insuficienza di Autorità locale, per cui l’ordine publico, la sicurezza personale, gli interessi e i bisogni del Paese restavano abbandonati alla fortuna.
Il rifugiarsi in Paese od in sezione di poveri, di vagabondi e di malviventi scacciati dalle altre fazioni della Comunità di Modena, quindi il moltiplicarsi dei poveri, degli oziosi, dei scioperati. La tollerata impunita licenza al ladrocinio di campagna; quindi l’organizzazione del furto in pieno giorno e la dilapidazione della proprietà. Le non osservate discipline annonarie: quindi l’anarchia comerciale dei generi di prima necessità con danno del povero consumatore. La nessuna sorveglianza all’istruzione ed insegnamento publico; per conseguente sciupato inutilmente e senza profitto, come inadeguato al maggior numero. Per ultimo gli aggravi insopportabili alla proprietà, l’insufficienza delle beneficenze ai poveri, la trascuragine delle publiche bisogne, l’improduttiva erogazione delle rendite Comunali, la nessuna guarentigia degli interessi e delle persone. Quindi la necessità anzi l’urgenza di provvedimenti pronti, speciali, straordinari: quindi il bisogno di una Patria Amministrazione, cointeressata al bene essere del Paese, presente sempre e conoscitrice dei bisogni dello stesso; s’implorava quindi la restituzione della Comunità.
Benchè nulla approdasse la franca rimostranza, volse ciò nullameno a mostrare il coraggio civile di un paese, che seppe e volle lamentare i propri mali, additarne le cause nella usurpata Comunità, invocarne il rimedio nel ripristinamento della stessa. Eloquente rimprovero a chi ne era stato l’autore!
Frattanto coll’ansia dell’aspettativa e della speranza spiava il Paese e affrettava col desiderio il ben augurato momento del prossimo riscatto nazionale. E appena la spada del Magnanimo ed Eroico nostro Re e Liberatore Vittorio Emanuele sgombrava questa infelice terra dai nostri oppressori, concordi e fidenti i principali proprietari, commercianti del Paese si riunivano nella Residenza Comunale di Rubiera a 17 Giugno per acclamare unanimi il ripristinamento della tanto invocata e sospirata Comunità di Rubiera. A tale oggetto fu redatta la presente dichiarazione:
Rubiera a 17 Giugno 1859
Col cessare del Governo che nel 1831 volle soppressa l’antichissima Comunità di Rubiera, cessa di diritto la violenta aggregazione della stessa alla Comunità di Modena, e per conseguente il Paese e suo Territorio torna a fruire della prima ed integra facoltà di ricostituirsi in Municipio, e di ripristinare di fatto una Amministrazione propria, separata indipendente, considerando come non avvenuto l’atto prepotente che spogliò Rubiera stessa della sola Istituzione che ne formava l’ornamento e la prosperità.
Prevalendosi quindi di una tale autorità i rappresentanti della Proprietà, dell’Industria e del Commercio del paese stesso e suo territorio:
Considerando che nel 1831 fu la Communità stessa con atto publico rivendicata senza opposizioni e difficoltà: e benchè nuovamente soppressa dal ristauro di Francesco IV° restò nullameno quell’atto e quel fatto come una publica e solenne protesta contro l’operata usurpazione.
Considerando l’unanime ed universale desiderio di ripristinamento della Communità stessa espresso e formulato dalla deputazione presentatasi a nome della proprietà al succeduto Francesco V° nel 1846.
Considerando i tentativi e le pratiche rinnovellate a tale oggetto nel 1857 (benchè inefficacemente), come altrettante e nuove proteste ed espressioni del non mai rinunziato diritto di rivendicare la Communità stessa.
Considerando che nel 1848 per un mal inteso spirito di legalità e di aspettativa fu perduta, non senza rimprovero, una opportunità che tornò proficua, onorifica e fortunata a chi più destro seppe coglierla.
Considerando per ultimo che nessuno potrà oggi disvolere ciò che per ripetute prove ed in diversi tempi si volle con unanime suffragio; che nessuno vorrà mostrasi inoperoso, infingardo ed incerto a cogliere l’occasione che propizia ci arride; che il dubitare dell’esito della cosa sarebbe un fare onta al Governo del Magnanimo ed Eroico nostro Re e Salvatore, sospettandolo capace di raffermare e ribadire un atto brutale e violento di usurpazione contro un infelice Paese.
E su tali considerazioni che i qui sottoscritti Proprietari, Commercianti e Industriali prevalendosi dell’attuale provvidenziale circostanza per attuare un diritto incontestabile, persuasi di bene meritare del proprio Paese, hanno dichiarato e dichiarano ripristinato di diritto e di fatto il proprio Municipio di Rubiera. In pendenza frattanto del formale installamento del governo del Magnanimo nostro Re, viene organizzato provvisoriamente il personale del ripristinato Municipio nelle persone delli Sig.ri:
Ingegnere Francesco Riccardi Presidente
Prampolini D.r Giovanni
Romoli D.r Rodolfo
Barbieri Bernardo Membri
Rosa Massimiliano
Mari Rinaldo
Cessa quindi per tale atto qualunque ulteriore dipendenza amminbistrativa col Municipio di Modena, conservando in pari tempo la più stretta ossequiosa dipendenza col Decastero Speciale sopra i Municipi Provinciali.
Seguono le firme in numero di 32 (non comprese quelle che si tennero tacitamente favorevoli per aver figurato in altre circostanze.)
Ing.Francesco Riccardi Cavalieri Antonio
Bernardo Barbieri Anacleto Romoli
Rinaldo Mari Beccaluva Giacinto
Romoli D.r Rodolfo Manicardi Luigi
Rosa Massimiliano Raimondo Barbieri
Prampolini D.r Giovanni Camillo Andreani
Don Chiesi Angelo, Arciprete V.F. Filippo Bresavola
Don Sandrini Antonio Giberti Francesco
Don Lodovico Giberti Giovanni Barbieri
Don P.Barbieri Farioli Achille
Don Giovanni Bertuzzi Ferdinando Mari
Romoli Nartale Bozzoli Lodovico
Cavalieri Francesco Rosa Alessandro
Francesco Berti Giberti Eugenio
Stefano Beccaluva Prati Adeodato
Domenico Bertuzzi Alessandro Padua per il Padre
Delegavano quindi i due sottoscritti Prampolini D.r Giovanni di S.Faustino, e Romoli D.r Rodolfo di Rubiera a voler rappresentare al Regio Commissario Straordinario per Modena i voti, i desideri, i bisogni e le ragioni del Paese di Rubiera per ripetere la mal tolta Comunità; e quindi a sollecitare la superiore sanzione per il legale e regolare ripristinamento della Comunità stessa. A tale oggetto e nella stessa giornata presentavansi i suddetti in deputazione al Regio Commissario stesso per Modena, il quale dicendosi non autorizzato ad approvare l’invocato ripristinamento consigliava a formulare una regolare esposizione e dimanda al Governatore delle Provincie Modenesi, offrendosi in appoggio a raccomandare pel miglior risultamento le nostre ragioni presso la competente Autorità.
Fu quindi per noi ridotto il seguente memoriale per il Governatore delle Provincie Modenesi:
“Delegati i sottoscritti a rappresentare alla Eccellenza Vostra le speranze i desideri e i voti pel ristabilimento della Comunità di Rubiera espressi in apposita riunione dai principali Proprietari e commercianti del Paese stesso e suo Territorio. I sottoscritti in adempimento al loro mandato rispettosamente fanno presente alla Eccellenza Vostra che la Comunità di Rubiera dopo una durata non interrotta di cinque e più secoli venne soppressa nel 1831 da Francesco IV° d’Austria non per semplificare le Aziende dei Comuni, come esso pretestava, ma per uggia e rovello della publiche rappresentanze. Soppressa per tal modo la Comunità di Rubiera ne venne aggregata l’amministrazione a quella della Comunità di Modena, così che il Paese di Rubiera restò spogliato di autorità amministrativa, dei propri Allodi Comunali, spogliato dei lasciti Pii a pro dei poveri e degli infermi, spogliato del diritto di erogare le proprie imposte a benefizio del proprio Paese, e per dilegio governato da un Agente Comunale condannato a far mostra di insufficienza e di nullità per dare maggior risalto al prestigio Autoritario degli Ill.mi della Illustre Comunità di Modena. Per tale soppressione fu quindi il Paese sacrificato moralmente, civilmente, economicamente ai bisogni, ai comodi, ai lussi, al bel piacere della Comunità di Modena; ridotto alla umiliante condizione di una semplice villa appartenente al Distretto di Modena; trascurata oltre ogni credere come una accidentale necessaria eccentricità di nessuna considerazione. Donde ne provennero gli aggravi insopportabili alla proprietà, l’improduttiva erogazione delle rendite comunali, la trascuragine delle locali bisogne, la tollerata ed impunita licenza al ladrocinio di campagna, le inadeguate e inosservate discipline annonarie, la trascuranza e insufficienza della publica Istruzione, la deficiente ed improvvida destituzione della beneficenza ai poveri, la per ultima nessuna guarantigia degli interessi, delle persone dell’ordine publico.
Tali furono e sono le deplorabili conseguenze della malaugurata soppressione della Comunità di Rubiera; tali i mali e i bisogni che inducono il Paese stesso ad invocare il ripristinamento della propria Comunità, ripromettendosi ragionevolmente i migliori e più felici risaltamenti da una patria amministrazione, rispettata e sacra per tradizione di benemerenza, cointeressata al benessere del Paese, presente sempre e conoscitrice dei bisogni dello stesso, e per conseguenza naturale tutrice di sicurezza, di prosperità, di riposato vivere civile.
La Comunità di Rubiera quale si trovava all’atto di sua soppressione comprendeva in suo territorio il Paese stesso e suoi Borghi, più le ville di Marzaglia, Fontana, S.Faustino e Casale S.Agata, in passato però vi appartenevano pure la villa di Bagno, Marmirolo e Cacciola.
La sua postura Topografica intermedia le provincie di Modena e di Reggio, così che il Paese dista egualmente dalle dette città.
La sua totale popolazione è di 4144 anime, delle quali 1228 vanno soggette a tassa di testatico.
Le rendite Allodiali della Comunità stessa ammontano annualmente a £.3.493 non comprese le imposte per testatico ed estimo Comunale che sommano a £ 9.000.
Offre pure il Paese un personale per abilità, per moralità, per onoratezza idoneo a fungere e ministrare lodevolmente la publica Azienda. Così che trova in se stesso il Paese gli elementi ancor vivi e la ragione morale ed economica della propria esistenza per aspirare di fatto ad una vita propria, separata, indipendente.
Spera quindi Rubiera e suo Territorio che l’Eccellenza Vostra vorrà segnalare i primi inizi del ben augurato Regno della Nazionale Rigenerazione col cancellare l’opera della violenta e brutale dominazione straniera, ridonando al Paese stesso il desiderato patrio Municipio come arca del nuovo patto di sudditanza, di gratitudine e d’amore che lega indissolubilmente questa ben fortunata popolazione al nuovo loro Re e Liberatore Vittorio Emanuele.
Adempiuto per tal modo all’onorevole incarico, i Sottoscritti offrono alla E.V. il ben meritato plauso di ammirazione, di riconoscenza e di stima, e come storiografo d’Italia, e come Governatore delle fortunate Provincie Modenesi
D.r Romoli Rodolfo
D.r Prampolini Giovanni”
Questo il memoriale che i suddetti delegati presentarono il giorno 10 Luglio a S.E. il Governatore di Modena il quale più che speranza lasciò certezza di vedere quanto prima reintegrata la Comunità chiesta di Rubiera: poco dopo di fatto fu riscritta la nostra dimanda assicurando che sarebbe stata presa in considerazione nella prossima sistemazione generale delle Comunità. Inaspettato frattanto arrivava il fatale armistizio e i preliminari della pace di Villafranca. Quale impressione sinistra portasse un tale annunzio è inutile dire: pure fu forza di simularne le conseguenze, tanto più che seguitava a funzionare il Governo Piemontese, e pareva che l’ordine di cose prestabilito e in corso dovesse inalterato e imperturbato correre al suo termine. Ma non fu così. D’un tratto al Governo Piemontese subentrò la Dittatura. Parve allora momento di riprendere le cose e nell’incertezza dell’avvenire, ripetere nuovamente la Comunità, come provvedimento nazionale e straordinario. Preoccupando l’avvenire in caso dovessero sinistrare le cose nostre: si preparò la seguente dimanda al Dittatore:
“Concorrendo alla compilazione delle liste elettorali pel Municipio di Modena, il Paese di Rubiera e suo Territorio verrebbe a fare un tal qual atto di adesione alla sua tuttora esistente aggregazione al Municipio stesso: aggregazione contro la quale protestò mai sempre nei tempi più difficili; aggregazione cessata di diritto col cessare del Governo brutale che l’impose colla forza, aggregazione per ultimo di transizione, in aspettativa del ripristinamento del proprio Comune, fatto sperare dalla Eccellenza Vostra quasi certo nella sistemazione generale pei Comuni di queste Provincie. In nome quindi e nell’interesse del proprio Paese, i sottoscritti inestano nuovamente presso l’Eccellenza Vostra perché presi in considerazione i bisogni molti per cui il Paese invocava il proprio Comune , presa in considerazione la eccezionalità delle circostanze che richiedono provvedimenti incompatibili con una amministrazione mediata, indiretta, lontana; presa in considerazione l’anomalia di situazione che privando il Paese di vita propria, lo espone alla vergogna di vedersi compromesso nella opinione politica; voglia l’Eccell.V. ridonare a Rubiera l’invocata Comunità, affinchè possa in questi supremi momenti provvedere al proprio decoro, alla propria dignità, al proprio interesse, e contribuire condegnamente al supremo scopo della Indipendenza Italiana che forma l’aspirazione e il voto dell’intero Paese. (debbo lodarmi del zelo, dell’attività e della perseveranza del D.r Prampolini). Prima però di presentare il detto memoriale al Governatore fu consiglio comune di interpellare il parere della Delegazione Generale.
Presentati difatto a chi ne fungeva le veci, ci fu risposto essere inopportuno qualunque ulteriore istanza sapendo che era mente e volontà di Governo il ripristinamento delle soppresse Comunità. Che dopo la pubblicazione della legge organica sui Municipi e delle esposte liste elettorali, la cosa doveva essere trattata nel Consiglio Comunale di Modena; che a noi non restava altro che di procurare nella elezione dei consiglieri di scegliere persone per principi e per interesse inclinati e disposti a favorire e propugnare la nostra causa. E così per noi restava esaurito il compito che graziosamente per voto del Paese c’era stato conferito. Restava a suggerire un contributo elettorale per la regolarità delle liste, per far capaci gli elettori del potere che andavano a rappresentare; per conoscere e sentire il diritto che andavano esercitare col partecipare alla nomina degli eletti del Municipio, della Provincia, dello Stato: e in pari tempo del dovere a soddisfare trattandosi di non lasciarsi spaventare, per debolezza e per inerzia, a portare il senso dell’utilità che potevano recare al Paese; restava a suggerire le liste di candidatura per la elezione mettendo in vista i nomi che per censo, per credito e per abilità potevano meglio patrocinare la causa nostra nel Consiglio Comunale di Modena. E qui io mi rifiutai dal proporre e promuovere un tal Comitato Elettorale, per fuggire il sospetto di intrigante, cosa facilissima in Paese nuovo alla vita publica e libera, dove le invidie, le gelosie e le personalità sono la stregua a cui si giudicano gli uomini e le cose.
A compiere e soddisfare al mandato restava quindi di rendere ragione del per noi operato in proposito e fu fatto colla presente esposizione perché ognuno fosse edotto per filo e per segno dei titoli di antichità che raccomandavano la Comunità di Rubiera; della insussistenza dei motivi pretestati per sopprimerla, dei mali tanti morali, civili ed economici che ne provenirono al Paese; dei ripetuti e coraggiosi tentativi per rivendicarla, della ostinata persistenza o piuttosto perfidia di Francesco V° a negarla; dei bisogni imperiosi che reclamavano e reclamano provvedimenti pronti e speciale patrocinio; della propria unanime aspirazione, dell’universale desiderio, della impaziente aspettativa dell’intero Paese pel ripristinamento della perduta Comunità.
Sarebbe leggerezza il disconoscere quel grave compito si assuma il Paese col ripristinamento della propria Comunità, trovandosi a fronte dei grandi mali, dei molti abusi, e dei troppi disordini lasciati in retaggio da un Governo per principi corrotto, per sistema corruttore.
Col coraggio che impone il dovere, colla coscienza delle proprie forze, colla certezza dell’efficace concorso del nuovo Governo, la risorta Comunità saprà affrontare, combattere e vincere gli ostacoli e le difficoltà di un ingrato passato, ed ovviare la nuova contingenza che gli va a parare avanti l’attivamento della Ferrovia, saprà quindi avviare il proprio Paese quel grado di civiltà e di prosperità che forma l’aspirazione e la gloria del secolo nostro. Faccia il Paese assegnamento sulla lealtà degli uomini di mente e di cuore; riassuma con dignità e con confidenza il patrio reggimento
Scolpisca frattanto in marmo, la memoria del ridonato Municipio col quale tornava a Rubiera il decoro, l’autorità, la prosperità.
Lettera dell’Arciprete don Angelo Chiesi al Duca di Modena Francesco V° per chiedere il ripristino della Comunità.
Altezza Reale,
don Angelo Chiesi Arciprete di Rubiera e suddito fedelissimo dell’Altezza Vostra Reale, facendosi interprete dei desideri e dei bisogni del Paese chiamato a tutelare spiritualmente dalla Providenza; e mosso dal sentimento di adempiere al proprio dovere giovando secondo le proprie forze alle condizioni morali-economiche del Paese medesimo, rispettosamente addimanda all’Altezza V. Reale il ripristinamento dell’antica Comunità di Rubiera, come situazione e mezzo efficace a salvare il Paese stesso dai gravi e ruinosi disordini cui trovasi esposto, e dai peggiori e crescenti che lo minacciano in avvenire.
Dall’epoca (1830) in cui per semplicità di amministrazione piacque all’augusto Genitore dell’Altezza Vostra Reale incorporare l’antica Comunità di Rubiera a quella di Modena, il Paese non ebbe d’allora in poi altra autorità che un agente delegato dalla Comunità stessa di Modena; per conseguente un’autorità secondaria, senza poteri, senza facoltà, senza iniziative: autorità qualche volta non appartenente al Paese e quindi ignara e non compartecipe ai bisogni dello stesso; qualche volta ancora non domiciliata in Paese ne in territorio, e per conseguente autorità nominale ed illusoria, così che gli interessi e i bisogni degli amministrati restavano abbandonati al caso da una parte e dall’altra la licenza il disordine perduto il prestigio dell’autorità ingrandiva e peggiorava. Di qui originarono le sequele dei disordini amministrativi-economici-morali che afflissero ed affliggono in grado crescente il povero territorio di Rubiera.Di qui l’introdursi in paese ed in fazione i poveri, i vagabondi, i malviventi scacciati da altre fazioni, e quindi il moltiplicarsi dei poveri, degli oziosi, dei scioperati. Di qui la tollerata ed impunita licenza al ladrocinio di campagna e quindi l’organizzazione del furto in pieno giorno e la dilapidazione delle proprietà. Di qui la non speranza alle discipline annonarie e quindi anarchia nel comercio dei generi di prima necessità in danno del povero consumatore. Di qui la nessuna sorveglianza all’istruzione ed insegnamento publico, e per conseguente sciupato inutilmente come inadeguato al maggior numero. Di qui per ultimo gli aggravi insopportabili alla proprietà, l’insufficienza delle beneficenze ai poveri, la trascuragine insomma della cosa publica. Tali le condizioni che adombrano appena lo stato deplorabile di questo paese, condizioni non certo imputabili alla Comuità di Modena meno poi al Governo, ma conseguenza e necessità inevitabili delle amministrazioni lontane, intermediate, secondarie sempre insufficienti ai bisogni straordinari, che esigono provvedimanti provati, ed esenzione immancabile. Per le quali cose chiara emerge la necessità di provedimenti speciali ed eccezionali atti a richiamare alla disciplina il disordine; provedere ai bisogni dei poveri; sorvegliare il comercio, infrenare la licenza; punire il delitto. Qual migliore e più sicuro espediente di una autorità radicata in paese; cointeressata al bene del paese; presente sempre e conoscitrice dei bisogni del Paese stesso? Le condizioni lodevoli e giustificative dell’amministrazione e lo stato economico-morale in cui si trovava il Paese all’epoca della soppressione della Comunità di Rubiera, sono argomento e caparra anzi direi malleveria a ripromettersi dal ripristinamento della stessa i migliori e più indubi risultamenti, essendo interesse vitale e comune di tutti il desiderare e il volere, una volta cessati i disordini, gli abusi, e le licenze che travagliano il quieto vivere e la sicurazza publica. Così che oso con confidenza supplicare l’Altezza Vostra Reale perché voglia restituire a Rubiera la Comunità, come espediente atto a riabilitare il Paese in faccia al Governo ed alla opinione publica, ripromettendomi per parte degli amministratori tutta l’attività. L’intenzione, l’interesse a rendersi benemeriti del Paese e del Governo.
In attenzione.
Lettera inviata dai delegati Romoli e Prampolini, a nome della Comunità, al Dittatore delle provincie di Modena in occasione delle prime elezioni amministrative dell’Italia Unita.
A Sua Eccellenza Il Dittatore delle Provincie Modenesi.
28 luglio 1859
Concorrendo alla compilazione delle liste elettorali pel Municipio di Modena, il Paese di Rubiera e suo Territorio verrebbe a fare un tal qual atto di adesione alla sua tuttora esistente aggregazione al Municipio stesso: aggregazione contro la quale protestò mai sempre nei tempi più difficili; aggregazione cessata di diritto col cessare del Governo brutale che l’impose colla forza, aggregazione per ultimo di transizione, in aspettativa del ripristinamento del proprio Comune, fatto sperare dalla Eccellenza Vostra quasi certo nella sistemazione generale pei Comuni di queste Provincie. In nome quindi e nell’interesse del proprio Paese, i sottoscritti inestano nuovamente presso l’Eccellenza Vostra perché presi in considerazione i bisogni molti per cui il Paese invocava il proprio Comune, presa in considerazione la eccezionalità delle circostanze che richiedono provvedimenti incompatibili con una amministrazione mediata, indiretta, lontana; presa in considerazione l’anomalia di situazione che privando il Paese di vita propria, lo espone alla vergogna di vedersi compromesso nella opinione politica; voglia l’Eccell.V. ridonare a Rubiera l’invocata Comunità, affinchè possa in questi supremi momenti provvedere al proprio decoro, alla propria dignità, al proprio interesse, e contribuire condegnamente al supremo scopo della Indipendenza Italiana che forma l’aspirazione e il voto dell’intero Paese.
Per il Paese di Rubiera.
Dr. Romoli Rodolfo.
Dr. Giovanni Prampolini
Lettera inviata dal Romoli al D.r Antonio Agazzotti in occasione della sua nomina ad agente Comunale di Rubiera.
Al Sig. D.r Antonio Agazzotti Agente Comunale di Rubiera.
8 Agosto 1859
Disgrazie di famiglia e demeriti non conosciuti mi hanno allontanato dalla sua famiglia alla quale ero legato per tanti titoli di gratitudine, di devozione, di rispetto.Ciò non ha valso però a menomare comunque i sinceri sensi di stima e di affezione che ho mai sempre professato ala sua famiglia stessa ed a chi in particolar modo che reputo e conosco per prova modello inamovibile di leale amico, di onesto cittadino, di magistrato integerrimo. Nella evenienza quindi che oggi lo chiama a nostro capo, crederei mancare a me stesso se debolmente per parte mia non le esprimessi i più vivaci sensi di adesione e di fiducia, ringraziandola in pari tempo dell’onore che ci ha partecipato coll’accettare la modesta carica per essere utile a questo povero Paese.
Colla fermezza colla imparzialità Ella riuscirà a tutto: e ne avrà lode dai buoni.
La prego a voler accettare questa mie congratulazioni, come espressione sincera dell’approvazione e del compiacimento provato per la sua nomina, e non già per servile piacenteria o adulazione da me sempre rifugita per indole e per principi.
Mi creda veramente quale sono.
D.r Romoli
Lettera di accompagnamento del Memoriale ridotto inviato dai delegati Romoli e Prampolini al Governatore delle Provincie Modenesi nel Giugno 1859.
Delegati i Sottoscritti a rappresentare alla Eccellenza le speranze, i desideri e i voti pel ristabilimento della Comunità di Rubiera, espressi alla unanimità di suffragi nella Sessione tenuta il 16 giugno nella Residenza Comunale stessa dai principali Proprietari e Commercianti del Paese di Rubiera e suo Territorio: i Sottoscritti in adempimento di tanto dovere rispettosamente presentano alla Eccellenza Vostra la qui unita Memoria sulla soppressione della Comunità stessa e deplorabili conseguenze che per essa ne derivarono al povero Paese: memoria rigorosamente redatta a prova di documenti, accennati da rispettive chiamate in numeri progressivi, e producibili sempre a qualunque richiesta. Edotta per tal modo l’Eccellenza Vostra dei titoli, ragioni e bisogni che inducono il Paese di Rubiera ad invocare il ripristinamento della propria Comunità, sperano i Sottoscritti che l’Eccellenza Vostra vorrà nella sua saviezza inaugurare questa era novella di Razionalità, di Civiltà e di Giustizia col ritornare al Paese di Rubiera l’invocata Patria Istituzione, come arra di un migliore avvenire, e come arca del nuovo patto di sudditanza di gratitudine e d’amore che lega indissolubilmente queste ben fortunate popolazioni al loro Nuovo Re e Liberatore Vittorio Emanuele.
All’onorevole incarico ricevuto dai loro commitenti debbono i sottoscritti la fortunata occasione di poter esprimere alla Eccellenza vostra il ben meritato applauso di ammirazione di riconoscenza e di stima, e come storico d’Italia e come Governatore delle fortunate Provincie Modenesi.
Della Eccellenza Vostra
Devotissimi e umilissimi servi
D.r Prampolini Giovanni
D.r Romoli Rodolfo
Rubiera Giugno 1859
Lettera dell’Aprile 1860 all’intendente di Reggio in occasione del passaggio di Rubiera dalla Provincia di Modena a quella di Reggio.
All’Intendente di Reggio
A 4 del 1860
In forza della Circoscrizione territoriale delle Provincie dell’Emilia la nuova Comunità di Rubiera viene aggregata alla Provincia e Intendenza di Reggio, e per conseguente finchè si è definitivamente costituita, resta la sezione stessa amministrata da un Agente non appartenente ne alla Provincia ne alla Comunità di Reggio stessa. Avendosi quindi in tale anomalia a prevedere colla massima sollecitudine e accuratezza alla compilazione delle Liste Elettorali, è troppo importante che non abbiano a ripetersi in questa seconda prova le inesattezze, le trascuranze e le irregolarità che a giusta ragione furono commesse nel primo tentativo; i sottoscritti rispettosamente fanno istanza alla S.V. Ill.ma perché presa in considerazione l’eccezionalità della nostra situazione voglia degnarsi di affiancare al detto Vice-Sindaco non domiciliato in Paese persone onorate e capaci ma del Paese affinchè coadiuvino e s’interessino al miglior esito possibile delle prossime elezioni ovviando e rimandando quanto potesse opporvi l’indifferenza, l’indesideratezza e l’intrigo.
Delegati i Sottoscritti dai Principali Proprietari e Commercianti del Paese a invocare e promuovere dal governo la restituzione della loro Comunità, in forza del mandato stesso hanno creduto di loro attribuzione di tutelare colla presente l’attuazione della stessa, perché l’istituzione sospirata, invocata e ottenuta non abbia a risolversi in una menzogna.
Confidenti nella saviezza che distingue la S.V. Ill.ma i sottoscritti si ascrivono ad onore la fortuna di potere fra i primi rassegnare il loro rispetto, il loro ossequio, la loro servitù.
25 Giugno 1859
Non posso non debbo più essere membro della deputazione pel Memoriale della Comunità. Le ritorno quindi l’incarto delle analoghe Memorie, perché ella faccia ciò che crederà conveniente pel migliore interesse del Paese. Il fatto mostrerà che nel mio operato in proposito non v’erano viste ne d’ambizione ne d’interesse. E così per distruggere qualunque sospetto di ulteriore ingerenza distruggo la memoria ch’io aveva già preparata da presentare al Regio Commissario. Mi basta averla promossa fino alla insistenza. Tocca agli uomini di publica fiducia il continuare la mossa, sicuri dell’esito, ed a volerne assumere la condotta con sentimenti di lealtà e di patrio disinteresse. Queste parole mi sono dettate dal sentimento e dal dovere di giustificare il mio ritiro cagionato da un malaugurato diverbio col L.B.
Mi creda
8 Luglio 1859
Dire le lodi, compiangere la perdita, onorare la memoria degli estinti per l’Indipendenza Italiana è compito di troppo superiore alle mie forze. Sarei immodesto se non conoscessi la mia insufficienza. La santità del luogo, la solennità del suffragio, l’eccellenza del subietto, la poverezza del mio ingegno, e pria di tutto la mancanza di simpatia mi consigliano, anzi mi comandano a non accettare il propostomi ufficio. Altri di me più valente assuma il pietoso nobile incarico: la simpatia del dicitore che quanto potrà aggiungere al publico preconcio.
Ringrazio voi e il Consiglio della deferenza usatami: duolmi di non potervi corrispondere, come potendo avrei voluto. Ma siate giusti la colpa non è mia.
Credetemi.
PREAVISO
Schema d’intervento nel primo Consiglio, non ancora eletto ma delegato, sulla sua forma procedurale.
Quando mi feci promotore di rivendicare la comunità, e che essi Signori accedettero alla proposta io credei di fare opera benemerita al Paese e di procurare un reale vantaggio. La saviezza del Governo lo permise con decreto, ed ora sta per attuarsi ed è rimesso al buonsenso degli elettori che la scelta dei consiglieri cada sopra uomini probi, capaci, attivi, e soprattutto attaccati al benessere publico; tocca ai consiglieri ad essere penetrati e convinti del nobile compito a soddisfare pur che l’esito risponda all’aspettativa, perché i voti siano coronati dal miglior esito possibile.
In quella rappresentanza io diceva che il Paese aveva ragione di esistenza delle proprie condizioni economiche: lo aveva negli uomini di capacità atti a fungere con disinteresse, e diceva per ultimo che sentivamo tutte le conseguenze di un passato odioso, e degli sforzi di perseveranza di longanimità, di sacrifizi per ripararvi. Sul linguaggio ch’io allora tenni a nome di tutti, ora mi sento in obbligo di mostrare che io lo professava come convincimento e persuasione mia personale. Avendo già meditato in precedenza al mezzo di riparare al passato, provvedere al presente, ovviare all’avvenire, io presento queste cose senza pretesa di imporre le mie opinioni, meno poi coll’arroganza di preoccupare le deliberazioni del Consiglio.
Quando io accettava di rappresentare di conserva col D.r Prampolini i voti i desideri e le speranze del Paese per la restituzione del proprio Comune io lo faceva persuaso di fare cosa proficua ed onorevole al Paese; convinto per cognizione di cosa che tale dovesse tornare di fatto per quanto difficili fossero i tempi, per quanto gravoso e deplorevole fosse lo stato dell’azienda. Vidi e conobbi dificoltà che richiedevano sacrifizi sforzi e tenacia di proposito, mi lusingai che nulla sarebbe stato impossibile quante volte si volesse. Tutto mi ripromisi dal benvolere e dall’intelligenza di quelli che ne sarebbero capi tra noi al momento di dar mano all’opra e di mostrare col fatto che non si impegnino per miserabile gara di ambizioni e di vanità, per viste personali d’impieghi, per libidine di monopolio, ma per essere veramente utili al Paese. Abbiamo un presente da provvedere, un passato da riparare, un avvenire da preparare. Conoscenza della cosa, fermezza di propositi, energia d’azione, prontezza ai sacrifizi, tutto è possibile. Precorriamo frattanto la posizione persuasi che tutto non si potrà fare al momento. Vediamo frattanto quale possa essere la parte di maggiore carenze e quale il modo di provvedervi. Difficilmente potremo conoscere lo stato economico della nostra amministrazione, non potremo però disconoscere le passività di cui saremo aggravati avendo riguardo alla voraginosa amministrazione di cui fu vittima la Comunità di Modena ; in presenza di tale difficoltà come potremo noi operare un preventivo per le spese necessarie? Stabilire le spese indispensabili di gestione per il corrente anno, e su queste fondare li aggravi; limitandosi alle spese di necessità prima: per riportare poi più savi provvedimenti al passato una volta conosciuto in tutta la sua estensione, facendo punto di partenza da quello per stabilire massime di provvedimento.
Ottenere quindi dei provvedimenti del presente lasciando facoltà al Consiglio delegato di provvedere nel modo più economico e provvisoriamente alle emergenze ora imprevedibili, delle quali ne sarà tenuta ragione e discussione nel primo Consiglio Comunale.
Importando troppo lo stabilire su basi buone ed incrollabili la istituzione, ne potendo passar tutto per il Consiglio che richiederebbe troppo tempo e deliberazioni ponderate, ci atterremo al presente per quanto riguarda l’urgenza, riservandoci a discutere del passato. Così dovranno tenersi per provvisionali e transitorie tutte le determinazioni e partiti che potranno emettersi in questo primo Consiglio, e tali da essere riesaminate, migliorate re raffermate dai futuri Consigli eletti.
DOCUMENTI ORIGINALI ALLEGATI ALLE MEMORIE.
Capitulum concessum per quondam Ill.mum Marchiones Nicolaum Estenses – Anno 1423 in libro 114.
Item quod .. et mandet Officialibus et Castellanis quibuscumque terrarum Herberie, Scandiani Tarexelle Gispide Malapessis, Caselgrandi, Castellarani, Gavaseti et Rodelie, Sancti Pauli, Feline, Castelnovi et aliorum locorum episcopatus Regii quod permittant omnes et singulas personas, tam Ecclesiasticas quam Seculares stantes et habitantes et quod pro tempora veniantur ac stabantur et habitantur in ipsa Civitate et districta Regii usum facere et gaudere quibuscumque corum bonis, tam que habent quam que in futurum habehant in aliqua parte episcopatus Regii sine aliquo gravamine reale et personale vel usinto ipsis talibus personis imponendo pre ipsis bonis: considerato quod pre ipsis bonis solvant Datia gabellas et collectas in civitate Regii et mandare quibuscumque officialibus et personis dictorum locorum episcopatus et districtus Regii quod non permittant aliquos civis districtualis vel habitatores Regii vel dignitas entimari, imponi in aliquo … pro aliquibus suorum bonis qui habeant vel in futurum habehunt in aliqua parte episcopatus Regii: sed providere quod ipsi tangere dictis bonis ac mezzadiis sint immunis et exempti et quod possint conducere et conducii facere eos fructus, reditus et provictas res et bona et animalia … penas ad civitatem Regii libera et expedite sine aliqua licentia et solutione petenda et fienda aliquibus officialibus predictis.
(Nello stesso modo che … e mandati Ufficiali e Castellani in qualsiasi terra di Rubiera,Scandiano Tarexelle Gispide Malapassis, Casalgrande, Castellarano, Gavasseto e Roteglia, Sanpolo, Felina, Castelnuovo ed altri luoghi sottoposti all’Ispettorato dei Mercati di Reggio che permettano ad ogni singola persona, tanto Ecclesiastica che Secolare essa sia e abitante o che per qualche tempo venga e stia ad abitare in essa citta e distretto di Reggio, fare godere di qualunque suo vantaggio, così che lo abbia ed anche in futuro lo abbia in qualsiasi parte dell’Ispettorato dei Mercati di Reggio senza che alcun gravame reale o personale usino essi imporre a tali persone per loro vantaggio. Considerato che per loro vantaggio paghino le dette persone dazio, gabelle e collette in Reggio Città, si mandino dunque Ufficiali e persone in detti luoghi dell’Ispettorato e distretto di Reggio che non permettano a nessuno uomo pubblico o dignitario distrettuale o abitante in Reggio che abbiano, oppure in futuro avessero per qualche loro vantaggio, ad imporle in qualunque parte dell’Ispettorato dei mercati di Reggio. Ma al contrario provvedere che essi abitanti abbiano detti vantaggi e perciò siano immuni ed esenti e possano condurre e fare condure a loro vantaggio redditi, provviste, cose, beni ed animali liberi da penali verso la città di Reggio … senza che alcuna licenza e soluzione desideri e pretenda qualunque degli ufficiali suddetti).
Lettere di Borso d’Este sulle regole per incassare “Colte” da Massari che hanno terminato il loro “ufficio” dopo il 1462.
H Christi Nomino Amen
Bursius Dux.
Dilectissimi nostri. Voi no haviti recordato che de lanno 1462 ordinassimo et ambissimo che Massaro niuno che fusse stato in quella terra non potesse rescuotere, finito lo officio suo, da niuno suo debitore di Colte senno fra il tempo per dui anni seguenti: et passati li dui anni del non poterlo più adimandare a Niuno: et pure che de questo ordine il non se ne ritrovi corretto inscripto: unde che priendono che la sia cosa da tenersi in boni rispetto, e da fare. Volemo et cossì ordinemo per questa nostra che niuno Massaro che sia stato da lanno 1462 in qua: et cossi niuno de quilli, qui per epoca futura avuti, possino adimandare a niuno suo debitore di Colte dinaro niuno passati li dui anni doppo lo ufficio suo.
Ad claris XVI Sept. 1465
Attenzo
Comuni et Hominis terre
nostra Herberie
Bursius Dux
Dilectissimi nostri. Nui havemo posto ordine per nostra littera che niuno Massaro che sia stato per quella nostra terra da lanno 1462 in qua non possi riscuotere dinari da niuno suo debitore de Colte per lo tempo suo se lui non ritrova haverli scuosi li dui anni passati subito dopo il suo mandaminto: et similis ordinassimo che questa nostra declaratio fusse lodo per temporibis futuris, et che se quelli Massari qui che colte non riscuoterono, o non haverono scalo da li debituri soi le colte sue per suso li dui anni scorsi lo officio suo: che più non possino adimendare ni riscuotere da quelli tali soi debitori: e per che Nui savemo che de li Massari che sono stati nomati lanno 1462 vogliono riscuotere dinari de tale sorte da soi debituri, loro dovemo ridire del nostro ordine valido da lanno 1462 in la Nui per questa nostra ve dicemo et dichiariemo, che simili nostro niuno de quelli Massari che sono stati messi lanno 1462 per tuto il tempo previsto non possino riscuotere da niuno suo debitore como havemo dito di sopra: et imponemo che se dimandassiro non siano auditi.
Ferrara XVII Octobris 1465
Attenzo
Comuni et Homini terre
Nostre Herberie
Lettera di Borso d’Este a sconosciuto su una lite fra il Comune di Rubiera e alcuni cittadini per le “graneze” di questa terra.
Bursus Dux
Dilectissimo noster. Il pende come tu poi sapere certa differenza fra il Comune et Homini nostri de Herbiera, et caduno di Machi puero Rogero et Lorenzo massaro per cagione de le Graneze di quella terra. Le quale loro recusano de pagare per esser facti citadini di Regio et pare che tale controusia pel stato comessa per lo …… Sigsmundo uno fratello a M.r Hanibale da Gonzaga del che esto Comune non fe ni grana i cossa alcuna. Ma bene si duole che pendente lite siano lenati a la sua possessione nel quasi le exigere le sue debiti colte et graneze le quale per tempo ha pagate dicto messere et compagni infino per tuto lanno 1469 già passato. Et posto mi hano novamente supplicato che no li vogliamo lasciare spogliare di essa sua possessione pendente la lite come di sopra e dicto. Unde per questa nostra ve dicemo che facendosi fede il dicto Comune, che onesti compagni habiano pagato le sue colte et graneze per il passato infino per tuto lanno 1469, Nui volemo che anche per altro anno ni li agrevi secundo il consueto, et come faresti se l non pendesse tal lite et che non si fusse commesso altro incontrario, perchè non intendemo prejudicare ad esso Comune per alcuno modo ni spogliarli de la sua possessione infino che la cossa non e terminata per sentenza.
XXI Augusto 1470
Hercules Dux Ferrarensis
Dilectissimi nostri habimmo ricevuto tre vostre: e respondendo per la prima che grida do quelli duo nostri homini aveveno reso per talora in valersi del ordine fu facto che li oneri residui passati li dui anni non possono più gravare li debiti delle colte: et hora vorristi sgravare dicto ordine da nostro consentimento: al che ve rispondemo che poi chel fu facto ad instantia de quella nostra Comunità che lo adimandarono con grande istanzia no mi pare de romperlo in alcun modo. Quanto ante al facto de li lamentari de Messer Jacomo Condulmero nui acceptemo la vostra sentenza, pure chel non si faria aloro cosa che non lo sia consueta di farlo ali suoi pari.
Ferrara XIII Marzi 1474
Attenzio
Comuni et Hominibus nostris
Herberie nobis dilectissimis
Dux Ferrarie.
Messer Antonio havemo visto et molto ben notato tuto quello che ne havisti scripto: et asserito per la vostra de quatro del questo mese sopra il facto del Podestà Messer de Barbieri del quallo se dolevano li homini nostri per ditto modo et hanno voluto intendere ogni cossa chiedendo che ni commettissimo: tuto quello hanno trovato: il parere vostro di quello che vi parria fusse da fare, et in risposta vi dicemo che adformandosi a dicta vostra relatione havemo scripto a dicto nostro Podestà una bona littera admonendolo et comandandoli expressamente di portarsi in quello ufficio con gravita, prudencia et solicitudine in un tale modo che più non habiamo havere querelle da lui: et ultra il nostro scrivere volemo che voi in lena vi transferisti fino ad Herberia, et che il nostro homo lo admonissi a nostro modo: usandoli quelle parole che vi parranno servire in proposito como sappiamo così che sapeti fare: et per levare via le querelle, odii e divisione che potessero per lo advenire sorgere tra quelli homini: volemo che in circa il fare de li savii como circa quello altro passo che tu ricordassi per esta nostra littera de la quale qui inclusa vi ne remandiamo la copia. Voi mettissi tuti quelli ordini: per uniformare modi che in epsa nostra se contengono con quelle pene che vi pareranno opportune per che dicti ordini et modi ne piaceno: et prima appri al proposito de fare calme le risse fra quelli homini apriendo il caso con participazione, et consentimento di dicti nostri Homini: usando voi circa adciò la vostra solita pruderia et diligentia: adciò si como havevi comenciato acognoscere il bisogno di quella terra cusi sii quello che prenota or mandi ad esecuzione suso le predicte cose per bona vista or continuazione de tuti quelli nostri homini: et per loro riposo et pace : et perché dicti homini ad impito no perdino cose ce ne dariti adiuto: et nui te diremo tuto quello a farsi circa dicto ordine de conferimento de dicti Homini: et volemo et comandemo che in tuto e per tuto sia applicato.
Ultimo februarii 1488
Hercules
(Copia littera sine relationis dicti Capitanei de qua supra)
Ill.me Princeps
Per fugire de quelle querelle, et odii per lo advenire, et divisioni che vengono tra quelli homini: bisogneria che V.ra Ex.ia facesse che per lo adunire li savii per quello luogo, non se ellegissino per il modo fatto al passato, che li savii vecchi eleggono li novi, ma le doveste dare nuova forma adciò che tuti sentano la parte sua: et oltra imponere possa al Podestà sol se inamovibile or impossibile nelle cosse publiche: che potra anche aiutarsi di loro consiglii, et non pe impostarle altrimenti de li loro odii adciò non si possa così facilmente commettere impuniti li deliti ma che siano puniti, fare che per quella Comunità sia dato al Nodaro uno libro segnato e bulato dove dicto Nodaro habia ascrivere e così tenere al dicto libro spunte le denonce i querelle che non se fussero facte: or se fussero facte al Podestà in sconoscenza del Nodaro che dicto Podestà facia che fra uno di dicto Nodaro habia a notare dite querelle i denoncie con ricorrenza al libro: et dire che ogni mese facia le condannazioni che siano da fare: et ritrovato sia … al processo et expedicione de ciò se intenda essere condannato in quella pena passerà a V.tra Ex.ia et infine tuti dicti libri siano presentati ali Sindici li qualli habiano a vedere sel sara stato observato quanto in dicto ordine se dira o edito de sopra: et se non sara stato observato debbano denunziare dicto Podestà: et non lo faciendo dicti Sindici se intendano esser condamnati loro Sindici in suo conto che avranno da essere applicate ala camera de V.tra Ex.ia Cussi faciendo osi uno per qualche meliore modo gli permisse serviria amettere il freno ali homini che non arrivino in odii ne in divisioni come fano, et ali Podestà che più diligentemente operano or amino vigilarsi infine lo ortio suo senza ombre o querelle tutavia faciano, or disponano, quanto gli pare per che se potria dare forma a questa nova elezione de Savii dicta di sopra. Dire il modo che me pareria si havesse afare io desiria questo che in tal de Zenaro il Podestà havesse afare comandare uno homo per casa de tuta la podesteria de Rubiera, cioè il padre de famiglia: li quali cordunati nel luogo consueto cadauno havesse ad eleggere uno homo de loro, de dicta podesteria, magiore di Rubiera che passerà per essere inserito nel numero de li Savii: et che precuri al Nodaro del luogo li nomi de primi: et poi tuti dicti elleti se debbono inbusolire: quanto il Podestà medesimo tena il buscello dove serano nominati tuti dicti elleti ne le bulotini di cadauno posti in dicto busolo. Ni cavi poi fori dodici luno dopo laltro che habiano ad essere li XII Savii di quello anno de dicta podesteria et così facia ogni anno.
Quando che tuti saranno cavati finita che sia la imbusolazione se ritorni a fare simele inbusolazione: et così ognuno havera la parte sua del comodo et incomodo, et non li sarano mosse querelle: et chel Podestà habia a fare tale estracione ala presentia de tuti li Savii Vechii et non altrimenti: et a V.ra Ex.ia me ricomando de continuo.
Mutina quattro febrarii 1488
Lettera del Giudice (di Rubiera) Mignani al Commissario Cittadino Garrau per chiedere lumi sulla forma di Governo da instaurare in Rubiera.
Commissario Cittadino.
Appena che questa Municipalità di Rubiera ha inteso con certezza, che questi Stati sono di conquista della Repubblica Francese, e che essa sempre uguale nella sua generosità verso i Popoli a Lei addetti, ed amici, come terribile a suoi nemici, li ha dichiarati dipendenti dalla sua Prottezione, non ha esitato a dimostrare li suoi sentimenti di giubilo, dandosi sollecita ogni premura di comprovare con i fatti la sua esultazione, e gratitudine. Primo passo di tutto ciò è stato l’inalzamento dell’albero con le sue insegne di libertà, e l’imprimere nella fronte la coccarda carateristica lo stesso dono. L’esempio della Municipalità è stato corrisposto da tutta la popolazione del suo Territorio, perché tutti vogliono essere a parte di quella felkicità, che la Rep. Franc. vole compartirli.
Accettate, o Cittadino Commissario, li primi sentimenti di quella fiducia, amicizia, e fratellanza, che li attuali Rappresentanti di questa popolazione attestano per mezzo mio alla Nazione Francese: e Voi degno di Lei siate tra essa, e noi l’unione dè comuni rapporti, e vincoli, che dolcemente uniscono. Additateci li mezzi di costituire il Governo di questo Popolo, e quella forma, che ci proporrete sarà per noi d’invariabile legge.
Nel compiere ch’io faccio, siccome Giudicente della Municipalità, e Popolo di Rubiera, si aggradevole commissione, vi accerto con lealtà, e risoluzione, o Cittadino Commissario, che contribuirò per quanto a me spetterà al comun bene, col concorrere all’esatto adempimento di quel dovere imparziale che mi dà l’nterinale mia autorità. Vi auguro salute, e felicità.
Rubiera dalla Residenza della Municipalità
li 8 Ottobre 1796
Per la Municipalità
Vicenzio Mignani Cittadino Giudice
Lettera di risposta del Commissario Cittadino Garrau al Mignani.
Al Commissario del Direttorio Esecutivo
All’armata d’Italia, e dele Alpi
Alla Municipalità, ed al Podestà di Rubiera
L’albero della Libertà, che avete piantato, la gioja che il Popolo di Rubiera ha dimostrato in simile circostanza, mi fa credere che volete rendervi degni della Protezione di un Popolo libero, e Potente.
Un nuovo Consiglio di Governo composto di bravi Reppublicani viene di essere stabilito in Modena, dirigetevi provisionalmente a lui per istruzioni che domandate; tutte le altre autorità costituite sono conservate, e fino che il Popolo non decida della forma del suo Governoi potete continuare coll’attuale.
Vegliate frattanto al mantenimento della Pubblica tranquillità, mantenetevi uniti, fate conoscere, colla vostra condotta, ai Popoli circonvicini, che la libertà non è licenza, e contate sull’assistenza della Repubblica. V’auguro, cittadini, Salute, e felicità.
Garrau
Modo di estinguere li debiti di Conto Publico di Rubbiera senza nessuno aggravio.
Fu concesso da S.A.S.ma alli Anziani di carico Publico per le delibere del Consiglio la somma di 257.10
dalle qualli sene potrebbe levare la somma di 100
Idem si potrebbe levare dal salario del medico 43.16
avendone all’anno per suo salario 643.16
Idem si potrebbe levare dal salario del maestro di scuola 5 £ al mese stando
al fatto che na ha di salario i 370.16
si che assenderia ogni anno a 61,16
Idem si potria porre a capitale la somma di 100
che si caveranno dalli mezadri di Sig.Sacratti per la boaria stando la grida di S.A.S.ma
che dice, che ogni uno paghi come ….., quando sono assenti , idem li mezadri
delli Ecclesiastici.
Idem si potria ancora cavare la somma di 200
quando si facese pagare la spelta che pagha la Comunità per quello manca che la
disunione del fiume Secchia, che facendola pagare a quelli pagano la spelta seria
di puro danno comm.le utile alla Comunità, stando che in S.Donnino si pratica la
simil cosa
Idem si potrà cavare un utile di 105
dalla legna che si paga al costo per doghe n°17 al prezzo corrente che è di £ 13
le doghe fatte con legna conforme un …. …. Antico doverebbe pagarsi solo a
£ 10 le doghe non abbiano …. In Rubbiera come presentemente non si fa.
Idem si potrà porre a capitale la spesa che fa la Comunità annualmente, nel mandare a Modena a presenziare varii incontri stando l’obligo al Massaro a venirci a sue spese.
Et massime essendoci il curatore la somma di £ 100 che in tutto ascenderiano alla somma di 690.16. Il che sud.to pare convenevole et più espedito et manco danno al conto Publico per poter estinguere dalli debiti de …. de censi, scorsi, a causa del disordine di Tresinara, et cossì in termine di anni 10 ascenderebbe il maneggio alla somma di £ seimilaottocentonovanta (di £.6890) pertanto si supplica le SS. Loro Ill.me di riflettere alle sopradette cose et conforme la loro prudenza, et occorrendo ordinare per il meglio.
Regola da tenere per più facilmente accudire al vantaggio, et isparmio di questo publico di Rubiera, cioè
1° . Che sarebbe bene, che la Comunità affittasse tutti li suoi effetti ad un solo di tre anni in tre anni in circa in forma di Camerlengharia assignata buona et legitima sicurtà lasciando, che il medesimo paghi ogni mese la porzione de debiti del publico essendoli presentati li mandati da creditori, che haveranno havuti dal Sindico, et raggionato sottoscritti conforme il solito.
2°. Che la Comunità da qui inanzi ellegerà il Sindico conforme il solito, et che niuno possi ricusare sotto pena. E gli altri officiali siano (cavati?) per bollettini, cioè il Massaro, duoi Giudici, et un ragionato, quali d’anno in anno si mutino, et insieme duoi di fuori, che assistino al Conseglio ordinario, che saranno di Pollice, conforme il consueto.
3°. Che il Massaro pro tempore sia obligato ricevere la spelta, tenere il libro delli mandati signandoli, et trandoli fuori al ragionato, che li sottoscriva, et rimetta al Sindico, et di qui al tesoriero, che sarà il fittuario.
4°. Che il sudetto Massaro no possi dar fuori mandato alcuno di spesa straordinaria senza la partecipazione del Conseglio, mentre la spesa ascenda al prezo, et valore di mezza doppia, che altrimenti di cosa minore basti lo partecipi a quelli di Pollice.
5°. Che il Massaro pure sia tenuto a lenare la lettera degli avanzi della spelta la quale habbi riscossa per tutto il mese d’ottobre corrente, et poi ricevuta la lettera suddetta presentarla al Publico Conseglio, et poi portarsi a Reggio a pagare le solite tasse, et in caso di residuo sia obligato a darne conto.
6°. Di più, che il medesimo Massaro habbi il carico di portarsi alla città di Modena per servitio della Comunità inviato dagli Anziani alli Ser.ni Pro?, et Segretarij et ciò per evitar più spese.
7°. Che il Sindico deputato facia un’usuo libro dove sia nota destinta et ben regolata di tutta la spelta, et colte, che si pagano da’ particolari Consorzi assegnare la quantità delle biolche agranate, siti, confini et lavori.
8°. Che la Comunità, non possi dar licenza, o permettere, che si transferisca da un campo all’altro li suddetti agravij.
9°. Che il Giudice dele strade debba fare i suoi comparti a Villa per Villa con piantare i termini a cadauno per sempre.
10°. Che mancando duoi Anziani per il compimento delle Poste siano eletti due, da nominarsi dalle loro SS.me Maestà, citadini oriundi essendocene alcuni, quali saranno rappresentati.
Salario che pare compresente per gli Officiali pro tempore.
Prima al Sindico si potrebbe dare per sua mercede lire sessanta ———————-£ 60
2°. Al Massaro lire centotrentatrè —————————————————————£ 133
3°. Alli duoi Giudici cinquanta lire per cadauno———————————————–£100
4°. Al ragionato lire trenta————————————————————————-£ 30
5°. Le Pollice del Conseglio (o poste) da dividersi di Lire Centocinquantasette, e mezo
—————————————————————————————————-£ 157.50
6°. E questi si divideranno tra tutti quelli che saranno di Pollice. Che in capo all’Anno il fittuario sia tenuto far i conti, et rendere raggione di tutta la somma del denaro alla presenza di tutti gli Officiali di Pollice con l’assistenza del Sig. Governatore il quale debba segnare tutti li mandati, et Pollice nel mentre si fanno li conti con fare a tutti il passo.
7°. Che niuno Notaio possi instrumentare, et autenticare scrittura alcuna senza prima haver ottenuta la licenza dalla Comunità, et che tutti li Notari debbano nel termine di otto giorni presentare una copia di qualsivoglia scrittura da loro fatta all’Archivio Publico da esigersi sotto pena, come trasgressori, della privatione di poter più rogarsi. Di più sotto la medesma non possino li Notai dar fuori copia alcuna de suoi instromenti o scritture se non sono segnati col bollo della Comunità, regolanmdosi in quella forma che si ha nella città di Modena.
8°. Se pagati saranno li frutti de censi decorsi si faci l’Archivio publico alla forma suddetta, et fra bando li Notari siano tenuti dar’una copia di tutte le sue scritture fatte, o da farsi al luogo da deputarsi sotto pena.
Dichiaratione delle cause, e dell’autorità del Governatore di Rubiera e del modo da tenersi tra lui e la Comunità.
Le cause del Governatore oltre quelle dei delitti militari, della vettovaglia e della caccia espresse nella sua patente sono quelle delle gride.
Delle dinuntia e dell’estrattione delle biade.
Dell’estrattione dell’uva e dei vini.
Del mercato.
Dell’andar al soldo di altri Prencipi.
Del dinuntiare li forestieri.
Della peste, e sospetto di peste.
Delle strade, dè ponti, fiumi. Argini, e cavamenti publici.
Si dichiara che l’autorità, non solamente di dare la licenza dell’andar di notte senza lume per la terra, e del sonare, e del ballare, ma anche del procedere contro li trasgressori si lascia al giudizio del Governatore.
Quant’alla osservanza degli ordini del Consglio della Comunità si dichiara che’l Governatore dee attenersi a quello che nelli stessi ordini è specialmente imposto a lui, lo stesso dee fare il Podestà nel rimanente. La parte del Governatore dee esser il sovrintendere e il tener mano che li detti ordini sieno osservati, ma in caso d’inosservanza torni al Podestà il procedere contro li disubbidienti.
Fuori delle due suddette il Governatore non ha ne dee (preoccuparsi) d’altre cause ne meno dovrà intendersi che le sia data per gride, che sieno indirizzate a lui (bene e) con ordine di publicarle e di farle osservare e…. dovrà intendersi posto per errore, mentre non vi sia di più aggiunto di far giustizia o di procedere contro li transgressori.
E quando non né sarà lac. aggiunta il Goverrnatore dovrà rimettere le gride publicate che saranno all’ ……… il medesimo dovrà osservarsi dalla banda del Podestà segretate le saranno indrizzate gride spettanti alla carica del Governatore non (volendo) S.A. che simili errori possano nell’avvenire partorire confusione o far pregiudicio, ne all’uno ne all’altro.
Inoltre in tutte le sue cause hei dovrà valersi et servirsi del Podestà come suo consultore ordinario, così nel procedere, come nel sentenziare, e dovrà insieme valersi del Notaio ordinario o del Criminale pè i rogiti e scritture delle cause e in difetto del Governatore o del Podestà l’uno terrà le veci dell’altro, et esercitarà l’ufficio dell’altro, e se sarà per vacanza dovrà haverne insieme gli emolumenti, ma se per assenza o per altrui superiore Impedimento dovrà lasciare gli emolumenti inerenti all’altro, e ciò mentre non sarà ordinato altrimenti da S.A.
Stato di popolazione della sezione di Rubiera nel 1859.
Abitanti dai 14 ai 60 anni |
Maggiori di anni 60 |
Minori di anni 14
|
Donne |
TOTALE |
||
Rubiera |
247 |
23 |
146 |
426 |
||
Borghi di Rubiera |
139 |
20 |
75 |
232 |
466 |
|
San Faustino |
199 |
19 |
115 |
333 |
666 |
|
Sant’Agata Casale |
73 |
7 |
36 |
103 |
219 |
|
Fontana |
182 |
31 |
130 |
331 |
674 |
|
Marzaglia |
299 |
35 |
158 |
470 |
962 |
|
Contea di Rubiera |
89 |
12 |
54 |
160 |
315 |
|
TOTALE |
1228 |
147 |
714 |
2055 |
RACCOLTA DI DOCUMENTI CONCERNENTI IL CASTELLO E LA COMMUNITÀ DI RUBIERA, CON INDICAZIONE DEI FONTI DA CUI SONO DERIVATI.
Dal volume – Ercole II Capit. Comunit. Registrum 1523 ad 1545 – Della Collezione Vol XIX°
Illustrissimus et excellentissimus Principes et semper observantissimus et singularissimus. Placeat Ill.me et eccell.me
- D.V. concedere fidelissimis territoribus vestris et peluditis Comuni et Hominibus terre Herberie et quascumque gratias concessionis capitula immunitatis ecce imptras litteras et redemta, sententias ac provisionis durata, privilegia. Batuta, ordinamenta ac quacumque alia beneficia dictorum comunis et hominum actenuis jam per Illus.os et Eccell.os Fransiscus Estensis progenitores et predecessores prelibati D.V. et per Illus.os ed Eccell.mo D.V et alias quascumque Dominus et supperioras comessos et concessa eisdem ea certa animi Ducalis V.V. scientia et ejusdem plenitude potestatis aisdem confitenare et quatenus opus sit de novo concedere mandando ea omnia inviolabliter observasi quibuscumque eia contrarium facientibus non abstantibus quibus derogare signetur ac ejusdem plenitudine et ut.
Entribeantur previlegia concessionis quibus visis Ecc.za Dominus erit eis gratiosas confirmat Dus sopradicta privilegia et decreta quorum et precessores nos di domo Estensa concessa.
- Dignitur posdem concedere fidelisssimus servitoribus vostra prefacti comuni et hominibus terre Herberie eu beni caritate et clementia ejusdem Illus. D.V. immensitatem, excemptionum et perpetuam remissionem medratalis omnium tassationum ducalium profætis fidelissimis comuni et hominibus at qui sunt habitantis intra Castrum predictum Herberia.
Libanti animo concedit Dominus eu sua liberalitate remissionem et eccemptiones omnium terrarum abitantibus intra Castrum Herberia presente pro anni sue prossimi futuri.
- Insuper placeat castitudini D.V. quod omnes et singuli homines civiliter habitantes intras Castrum Herberie ai teninente hona immobilia descripta ad estimum Herberij predictis bonis sint immunis et ecceneptis a quibuscumque oneritus scalibus personalibus et nuctis et comitera quod eutinum predictum moneratur predictis bonis et per racdam tantum attento quod dicti homines ex domus eccell.mo et ill.mo D.V. semper fuerunt et de presenti sunt parati subira pericula quacumque et fase et corum filios ut deut fid.os subdiros ad ejs imponere ai multa et intollerabilia … pre definizione dicti castrii ac in futurum sunt passuri et estimum dictorum honorum non accedit redditum ducatorum.
Concedit D.us ut petitur modo sint oriundi de terra predicta ai ejes territorio et non
abiter.
- Item at quod Hominus Habitantis civiliter inter Castrum dictum ai extra in territorio toto Herberie non teneantur ad solutionem falis, esigi ad rationem solidarum duodecine pro quosibet pondere et pront et quemadum Regiensibus habitantibus intus civitatem entibid concessum.
Concedit D.us et mandat ut in alio corum capitolo concessum est.
- Item quod dicti hominis habitantes civiliter intus dictum castrum gaudiant et
quibuscumque immutantibus extentionibus et privilegijs concessis ipsis Regiensibus habitantibus intus civitatem Regii et in omnibus tractuetur ut cives civitatis Regii et ab Rei penitas in nullo diferant.
Concedit D.us et mandat ut petitas.
- Item etiam quod pro comuni utilitate omnium prefactorum, et ut Castrum predictum impleatur virtuosi hominibus dignitur eandem Duc. D.V. concedere eisdem Comuni et hominibus facultatem deputandi notarias quascumque pro tempore necessarias a Tribunal dicti Castri Herberie et hoc de speciali gratia et titulo gratiose donationis et immense ejusdem liberalitates.
Concedit D.us electionem dicti notari ipsis hominibus reservata sue gratie confirmation.
- Item dignetur quoque etiam ducalis dominationis V. pre solevatione dictorum Comunis et Hominibus, eisdem concedere quod omnes et singuli tam forensis et ecclesiastici quam euius libet alterius generis tenetes et posidentes bona descripta in ipsorum Comunis et (nonciscum?) estimo et catastio teneantur et sic gravavi possint per Massarium dicti Comuni et loci per corum dactis ad solutionem coramcumque onerum et euius libet gravis imponderorum per dictum comunem et homines etiam quod dicta onera essent extraordinaria et necessitate dicti Comuni imposita, declarando onera ipsa haberi pre realibus et realia onera in omnibus et per omnia censere et esse et bona ipsa alias pluria et in dicto estimo descripta ipsis oneribus ad facta fuisse et esse et ad quasumque corus suis oneribus predictis transmittere ac trangire aliquibus in contrarium facientibus non abstantibus.
Concedit D.us us petitas.
- Dignetur item suprad D.V. deputare officialem et Potestatum subgubernatorem pro tempora et pront contingerint ad regimentum dicti Castri et Comunitatis presenti qui habent administrare et se impedire tantum de officio Potesterie presente et non ad alio officio ad fincen dicti homines et gubernatore et regi possit, et quod ufficialis fine potestas pro tempore deputandi sit de civitate Ferraris non de civitate Regii, usque … et pro ut (at) alias observantum …
Concedit D.us ut petitur.
- Dignetur quoque etiam D.D.V. concedere ejsdem Comuni et hominibus quod duodecimi regientes et gubernantes pro tempore dicta cum corum comune, non possint one valeant molendina et alia quacumque bona immobilia et redditus quascumque dictorum comunis et hominum locare vel alias comodalibet et eis aliquid disponere ultra tempus trium annorum, ita quod omnis locatia et fin dispositio ultra dictum tempus et incontrarium facta teneatur esse et sit nulla et invalida, et quod quolidet a predictis Regienses et Gubernatoris contrafaciens sen predictis assentiens tam conjuneti quam divisi, cadat ipso jure et facto in pena ducatorum decem censi, oa dimidia Camera ducalis, et quo alia dimidia comuni et hominibus applicanda.
Concedit D.us ut petitur.
- Item quod presenti Homines et Comuni conserventur immunis et cumpiti ab omni dutio emandi et vendendi qualibet tempore in territorio Herberie et pront de presenti sunt et reperiuntar essa bona mobilia tantum.
Concedit D.us ut petitur.
- Item pro bono publico et ut diueius predicteComunes et Homines et eorum bona conservari possint in … Ell.nes D.V. dignitur ejsdem Excel.mo D.V. mandare ordinare et concedere quod nullus forensis possit acquirare nec aliquere cont rectum facere de bonis immobilibus in territorio predicto ad finem ne conteneri, et incole at habitantes in dicto territorio talibus venditionibus et alienationibus depauperensi et exausti ac collapsi remaneant facultatibus suis et bonis, et hoc in penam ducatorum decem applicandorum Camera D.V. per qualibat vice et quod nihilominus in omnium … contractus nullus ipso jure.
Concedit D.us ut petitur etiam quocumque titulo talia bona pervenire possint in dicto forenses.
- Item quod diccat ipsis hominibus pro tempora necessitalibus et penuria aquarum extraere au flumine Situle tantam aquarum quantitatem quantum sufficiat pro una macinatura, et illum aquam derivare et derivari facere et posse pro comodiatte ipsorum Comunis et hominum ex lecto flumini predicto et adeurum molendinum fine aliquo impedimento et gravatione alicujus persone.
Concedit D.us ut petitur.
- Item quod fosse circondantes Castrum predictum et carum piscatione et molumenta sit et cad at ad Comune et ad publicum usum ipsorum Comunis et hominum, cum etiam emendari notari que facere onus ad ipsos homines spectat et partinet et hoc de gratia speciali et non obligantibus quibuscumque concessionibus aetenas facti quomodacumque et qualitecumque reperiand.
Libenti animo D.us concederet quod petitur, nisi prius altari concessipset.
- Et quod Illus.mus et Ecc. D.V. prema clementia vellit concedere quibuscumque omnibus dicta terra Herberie et in toto eius territorio comorantibus et incolis plenium remissionem et liberationem et gratiam pro omnibus et singuli delictis excepibus omicidiis et maleficis quibuscumque aeternus per eis commissis a die occupationis status citra in quocumque loco et contra quoscumque, dumodo talia non sint contra statum, personam onorem celstudinis sue, eos et .. coram restituendo in eis pristinum statum, et quo ad bona, oneres, bonam famam et quocumque alia et pront antegam predicti eccupus delicta, omicidia et maleficia per eis fuerint commissa. Gratioso et libente animo concedit quod petitur stanta pace. – Opizo Remus Herberie XII octobris 1523.
15.Dignetur sua gratia et iisdem placeat concedere fedelissimi subdictis suis, Comuni et Hominibus Herberie, quod comuni ipseum et homines terra et territori predicti non tenent nec sint obligati nec ulterius gravosi possint ad levandum nisi pondera millequinquecentum salis a ducalis camera suo … ad comptum et rationem solventi soldos doudecim monete Regiensis pro qualibet pondera et non ultra facta tamen asignatione de dicto sale ipsius ducalis camera ad locum Bastilie dicta Mutina siva … et quod dictum sal detur in tribus terminis scilicet de quattuor mensibus in quator menses, et pro qualibet termino pondera quinque untum, et solutio fianda da dicto sale per dictos hominus sit per mensem unum post qualibet terminun salis predicti, sie consignandi et quod nullus de dicto territorio possit uncre aliquid aline sal nisi et propter de sale predicto sint supra consignando sub pena ducatorum decem auri, pro dimidia ad plicanda ducali Camera et per alia dimidia comuni predicta pro qualibet vire et qualibet contrafaciente. Ills.mus D.us Dux concedit suplicantibus,ita tamen quod ipsi non possint vendere dictum salem hominibus dicta terre et territorio Herberie nisi per pretio soldum duodecim per qualibet pondere.
16. Et quod liceat prefatis Hominibus pre comuni utilitate necessitat et bono publico bonificare it posse facere quacumque melioramento in bonis et viribus molendini in burgi Herberie constructi et ques bona et jura tenent et recognoscunt predicti homines a Magnifico Comite Ludovico Sacrato annualim eidem jure livelli solvendos libras 325 bononienses et construendo nova edifitia et cum istrumentis ad macinandum necessariis et supra tantum rugia et canalis dictorum hominum et comunis. Eta tamen quam vis predictum concarnes magnificum Comiten in nullum sit diminutum, sed ita abeat ipsa comes viva etiam remaneat obligatus talia meliorum enta et edifitia de novo construenda prefato Mag.co Comiti sint et quesnadonadumcetera alia edifitia, iuva et bona ipsius molendini de presenti sunt obligati jure livelli predicto magnifico Comiti pro livello predicto librarum prefacturam 325 et … maxime molendinum et ejus edifitia quod de presenti sunt, non sufficient per necessitate ipsorum hominum comoditate et benefitio absque tamen quod veteri livello dictorum librarum 325 posit aliquid ad sipre prefacto Mag.co Comite, nec aliter possin cogi homines ad quidecumque ulterias solvendo nisi et propter dictus lib. 325 et pront supra.
Ferr. Deliberatis votis vadis.
17. Et quod possint predicti homines et quilibet corum impone deferra arma et portari alias ac jure vetita et ex forma statutis per totum dominium Ducakis colpitudinis sue et hoc de gratia specialis.
Concedit Dom.us ut petitur.
Opizo Remus Herberie XVIII Octobris 1523.
18. Placeat et etiam ita dignetur gratia sua concedere predicti comuni et hominibus pre minori corum alispendio, et meliora comoditate quod appellationem terre predicta et earum conditiones devoto autur ad judicem appellationis civitatis Regii non obstante quod extra actis temporibus positi erant cognosci et determinum per judicem appellationis civitatis Mutine.
Concedit Dom.us ut petitur.
Opizo Remus XIIII octobris 1523.
19. V.S. crebra memoria Illus.me et Eccel.me D.V. in fidelissimos subdictis reviviscat, discant que ceteri principes suos fidelissimo ospitio persegui et in devotissimi Divi Dionigi tutelarius patroni nostri celbratione supplicant clerus, comunis, plebs et popolus universus Herberie Ecc. V. divotissimus et fidelissimus ut eisdem placeat in tanti sancti veneratione et onore non destinas concedere quam feram vulgo vocant celebrandum in die quo eis sancti memoria quod annis solennis festivitas ab ortodoxa Ecclesia colet. Et per dies tres septium diem ipsum precedentes, et tres post subseguentes queprut franchie, libere axempli et immunes nec … aliujus sollutionis gabelle datii ant ulterius cujuscumque oneris presentibus comportandis, venundandis tam in ospitiis et tabernis, quam macello vel aliber contraendi siva distraendis cujus suis generis vel maxericii in orinis et fera prefat et cum facultate tam libera quibuscumque venicadit et redicenti audenta maxima quod ea die et non sine meritis ut ereditar sancti predicti Ill. et Ecc. D.V. prenseast et cum effecta ad justissimam recuperationem terra sue predicti, exit quoque non solum recordando tanti numeris in sanctum ipsum et patronum nosdtrum sed ad posteros nostros perpetua memoria tanre felicissime recuperationis celebrabit que illa annuis temporibus et in sancti predicti solemnia ut nostri et sucessore venui siscant ab tale benefitium Sanctum ipsum et patronum propensius colero principium suam alpleo niscam eius quam Ecc.mus filios et subsequentis firma fide observare et non amplias temperandi sed retinente perpetue que firme etabilitatis ac eaudem extra vestra familia et posteritatem beneficio apus esse pront ita et eum efecta se abnoscio dicent profident et (firneiber?) per juribus et propria vitam imponentes facere et adimplere promitentes hac de gratia speciali.
Ill.us D.us Dux Ferrarie supplicantibus libenti animo concedit et passint fieri dictas nundinas ut petit.
Opizo Remus XVI novembrii 1523
20. Placeat insuper Celsitudini vostra inherendo tam sentintiis et decretis super inde editis et pronuntiatis, ut fidelissima sua Hirberia cum suo districtu et territorio sive continentiis et sub suis confinibus antiquis et solitis sit perpetuo libera immunijs et separata a quodcumque civitate Regii et Mutina, districta, diocesi, et iurisdizione dominio, castro, loco, territorio quibuscumque sit que terra deserte et nulli alberi subjecta nisi de mediatate Excell. V. Illus. Filiis et desendentibus suis, gaudiat atque posciatur et fruantor quocumque benefitio vere et indubitate separationis, ita quod aliter a quacumque persona, cujuscumque gradus sit, Comunitate, Universitate et (colegio?) non possit molestari, inputari, conferi… in dicti neque alio onere onere pergravari nisi ab Ill.me et Ex.me B.V. et ejus jxsoce et moto proprio Illus.um Filiorum persona et dependentium et non aliter nec alio modo.
Concedit Dom.us ut petitur.
21. Dignit concedere pro sua clementia Illu. D.V. ut gavali et insularia relicta a flumine Situle et Tresinare et que … regalia principis sint et esse dabeant ipsorum comunis et eiusdem hominum fidelissorum quantum sit respecta utilis dominis tantum recognoscendo tam privata quod ad directum dominum et civilorum possessionem Ill.um et Ecc.um D.V. ejus que filios genitus et … solvendo pront planurit aidem Ill.um et Ex.um D.V.
Et sic concedit Dominus – Opizo Remus 16 Novembris 1523
(NdT-Mancano i primi due paragrafi)
3°. E pure se essi hanno da pagare si sia da osseravre l’ordine della gabella di Rubiera e secondo quel modo di essere essendo fatta quella tassa di ordine del Principe e confermata di mano in mano.
4°. E tantopiù essendo Rubiera giurisdizione da farsi; ancora che il Dazio per essere cosa forse di poco momento già affittato con quello di Reggio, non perciò ivi si temono di osservare altri statuti che li suoi essendo quelli come sono in “visi di observantia”, li quali decreti e confirmazioni e ordini saranno posti in fine della presente scrittura.
5°. Stando poi anche che la mente di S.E. Illus. E che il Massaro non possa ne debba per alcun modo alterare ne mutare gli ordini dei luoghi e statuti e stabilmente di essi uoghi e consuetudini delli Dazi e gabelle che non sono contro gli statuti e ordini dei luoghi come al C.4 nella condotta della Massaria di Reggio li ordini del pagamento delle Beccarie è nel registro pag.36 infine che dopo il detto capitolo Item quod presenti si possa dire essere pagato ingiustamente e a questo è risposto abbastanza.
Quod solvant Datia introitus eccitus transfuer suis et contranctorum vini et destiumini quo ad contractus sunta forma statutorum de quibus infra, attento quod concessa immunitate non continentur res in quibus sit mercatio fundusse supra sententiam ab blim C.llo franco a canali in qua diritur pro usu suo judicata, tradita per registrum cons. 112. Vol. 5.
1°. Rispondesi a questo che la sentenza data per il detto canale non si ha da estinguere solamente che sia per uso delli compratori ma muova della terra e da rivendere in essa siccome dice la lettera fattorale dell’anno 1543 e si comprende da quelle parole, ibi ad usum corum hominum et comunis necessaria, perché quelle cose che ci si vendono si domandano ancora esse necessarie e ad uso dello Comune.
2°. Che detta sentenza parla solo del comprare e vendere ed estrarre da Reggio come si vede dalle sue parole che … più abbassa e purchè non dee e ne può pregiudicare alli privilegi e immunità che detto Comune dava a Rubiera e massima quello che è nelli suoi ordini della gabella fatti dell’anno 1423 in registro Fal. 37 il tenore è tale.
Ancora è statuito che di cosa alcuna … e bestia la quale si conduca alla terra di Rubiera per cagione di copiarla lì perpetuamente e per cagione di vendere nella detta terra di Rubiera, nessuna gabella si paghi overo Dazio (come si vedrà nella copia di detti ordini la qual cosa senza dubio chiarisce afatto questa questione.
3°. Si appone al capitolo ottenuto dappoi sulla immunità ab buoni statio cenendi et vendendi da giuvena.
4°. Si dice che nelli capitoli del March. Nicolò fatti l’anno 1423 registrati nelli libri della gabella, ed esso Massaro è tenuto osservare, e che comincia declarando di lieve questa precauzione le parole sono queste “Declarando quod Castrum S.Martini, Herberie, et Castellarani et persone stantes susque habent et habitabunt in ipsis vel in aliquo opserum nut villarum dictorum locorum non teneantur ad aliquam solutionem pre rebus et mercantiis quas conducerunt ad dicta sua loca ant per aliquam personam illue et crude duarent ad alima loca entra comunitatum Regii” : Istud Capitolum est registratum in statutis novis Mutine impressis de anno 1525 ad C.143 et in antiquis ad C.3 provisionum gabellarum.
5°. Quanto sia alla detta sentenza di ella non può astringere l’immunità della carta di Rubiera in modo alcuno respecta mercantiarum per quello si è detto nella prima risposta, e anco che essendo data in favore di quelli uomini e a maggiore chiarezza dalla loro ragione, non sia da convertirsi in loro odio e manco a restrizione de suoi privilegi, e posto che in qualche parte pur volessero, che astringessero le dette immunità si deve intendere solo rispetto alle cose che si conducessero dal distretto di Reggio a Rubiera: ne può aver luogo in altro caso o mercanzia che si conducessero a Rubiera da altri luoghi che da Reggio, non parlando quella più oltre la quale perciò in principio conferma il primo capitolo.- Ultimo si replica del detto capitolo “Item quod ipsi homines” sopra il quale non ha luogo quanto dice il Rag. Nel detto suo conf. 112 perché vero è che “occupatio clericorum” col limitata “pre releus quas portat uius sui gratia” perché la legge dice chiaro in c. quascumque dicens in (6a o Ga) non perché così si abbi da interpretare e così delli scolari, ma il capitolo nostro è generale e generalmente si ha da intendere senza diminuire o malignare la … del … contro la forma delle parole dell’imperatore e questo si deve per la parola universale ab hominibus perché quando la esenzione è fatta per parole generali … comprende con i casi insoliti che altrimenti de jure non comprenderia ut infiniti pre … Conf. 30 Inf
Dipoi l’uso fondato sopra detto capitolo leva questo dubio non contrario alli statuti, ma integrativo in questo caso sopra il quale poteva nascere alcuna differenza, e l’uso indubio si ha da osservare il minime e il si dell’interpretazione. Deleg. Cre. Conf. CI resturibus(?) aliis. Resta adunque chiaro questo caso si per quelli detti due capitoli registrari di sopra, si perché la sentenza non astringe quelli, ne deve intendersi più di quello che dice e per tutte le sopradette cose che gli homini di Rubiera non hanno da pagare entrata, uscita, transito o contratta per uso di mercanzia come si pretende in detta 2° pretensione eseguita la copia di detta sentenza data il 1489 per M. Franco Gio. Canale Consultore della Ducal Camera, a dì 17 ottobre e registrata nella gabella di Reggio C.43.
“quia dicimus sentiamus et pronuntiamus omnia decreta et concessiones et facta per Ill. Ecc. Ducem et sua ejus precessores continentia et continentes eccemptiones aliquas ad corum benefitium a favorem, nec non capitale propria predicta sen Statuta Gabellinarum Civitatis Regii super inde disponentia perpetua et in futurum observanda et observandas esse et sic inviolabiliter observari debere nulla penitas exemptione abstuati, mandantes per ipsorum observatione licere et licitum esse hominibus et dicti Comuni Herberie onere posse libere et sine solutione alicujus Datii ant Gabelle quascumque res et bona cujuscumque conditionis qualitatis quantitatis et manciei sint at esse possint ad usum corum Hominimum et omunis necessaria in Civitate et districta Regii, easqueres et bona ex dicta Civitate Regii et Districta entraere dumodo ad Catrum Herberie conducantad et non alio libera et sine aliqua solutione Datii vel Gabelle per eos solvendi aut solvende conductoribus fece superioribus Gabelle Regii tam presentibus quam futuris”
(In proemio dicte sententie dicitur : essa petitione – et inferias viso capitulo senti pretoram servandorum a die 1° aprili, anno 1431. In ante a D.Mag.co illus. B.M. quod incipit =intelligendo= et finit= prelibatum Dominum, contenuto in volumine Statutorum Gabellarum Regii per … clare dignositur Comune et Homines Herberie exemptus esse a solutione Datii hujus Civitate Regii per alia quod brevitatis causa )
“Quod denuntientur contractus vini et bestiaminum conductiones et redentiones atque transitus”.
Circa questa denunzia si dice anco che la detta grida non comprende manifestamente quelli di Rubiera nelli estratti del come legandola si conosce nondimeno per rispetto di quelle cose delle quali si avesse a pagare il dazio alla Camera non si ricusaria denunziare secondo il modo, per ciò che si contiene nelli suoi Statuti di Rubiera, ma di quello che non si avesse a pagare cosa alcuna si pretenderia per parte di detta Comunità seguitare nella solita usanza di non denunziare attento che ciò saria solo fiastatorio così dei denunzianti come del Massaro o Datiaro, benchè stando le immunità predette e quanto è stato detto nel principio non si vede quali contratti si abbino da pagare o no . et attento “massime quod anus gabelle imponitur venditoribus tantum et non emptoribus” come è chiaro quando dice se alcuno venderà. E questo basta-
“Quod liceat dicto Massario esigere Datia quecumque a forensibus quibuscumque e mentibus vendentibus vauntibus et enconducentibus res qliquos in territorio Herberie quocumque die etiam dia mercatipre parte Datii ed ipso Forense spectante attento qud statuta dicti Gabelle quibus ex contrahentibus tenetar ad mediatatem dicti Datii utin statuto Regii et in hac materia exemplio uni concessa non extendit ad alium ad constat ex di.° statuto et isuper ab ordine Ducali.”.
Quanto già all’esenzione del mercato che si fa nel giorno di Mercoledì basterà dire solo che in tutte le cose è libero ne si dovria in questa parte far pretensione alcuna perché nelli Statuti della Comunità sempre si eccettua fuori quel giorno che in tutto e per tutte cose sia libero purchè le cose siano vendute suso il campo del mercato come nel Reg. fol. 36.-37. Nel resto di tutta la pretensione si risponde che come si è detto avendosi a pagare gabella la gravezza di quella è imposta al venditore solamente e non al compratore come dispongono gli ordini di Rubiera, e però avendosi di ragio da attendere a questi e non a quelli di Reggio, stando le confermazioni delli Principi non accade trattare della detta divisione, onde essendo fatti immuni li venditori ab onmi Datio vendendi e non essendo imposta gabella alcuna per gli ordini di Rubiera del contratto agli compratori, non si può esigere altra gabella secondo li detti ordini stando detta immunità : 2° si dice che la immunità a solutione gabella concessa al venditore deve anche comprendere li compratori perché avendo questa da pagare la gabella tale cosa torneria di danno alli venditori e così per indiretto si evanuerebbe il privilegio e fariasi fraude all’immunità il che non ha da essere- at per hec. Cons. 48.- E piuttosto i privilegi si hanno da ampliare che da astringere “ita benefitia principutu emper late integrando” : 3° Perché li compratori quivi non hanno mai pagato detta gabella, onde tal consuetudine si ha da attendere, (essendo) non contraria alli statuti di Rubiera per li quali li compratori non pagano – ut per dec. D.g. 48 :4°. Non possono li compratori essere astretti a pagare estratta ne altro Datio ancora che siano forestieri, stando il capitolo li sopra che comincia declarando “ibi ut per aliquam personam” avendo prima fatta menzione delli luoghi esenti, soggiunge poi quelle parole le quali non si possono intendere se non dè forestieri attento che colui che può per sé può anche per il mezzo d’altri, ne deve nel privilegio essere cosa superflua (si parla del privilegio in 6°). E questo massime nel giorno del mercato –inter dicto Reg.ro.
Copia della separazione C.20 fal. 94.
Placeat insuper Celsitudini Vostre inherendo tam sententiis et devotis super inde editis et pronuntiatis, ut fidelissima sua Hirberia cum suo districtu et territorio sive continentiis et sub suis confinibus antiquis et solitis sit perpetuo libera immunis et separata a quacumque civitate Regii et Mutina, districta, diocesi, iuridizione, dominio, Castro loco et territorio quibuscumque sit que terra dicta per se et nullis altri subjecta nisi immediate Excellentie Vostre, Illustrissimis Fillis et Desendentibus suis, gaudia atque potiatur et fruantur quocumque benefitio vere et indubitate separationis, ita quod a quacumque persona cuiuscumque gradus sit, comunitate, universitate et collegio non possit molestari, inputari, censari superindici, neque alio onere pergravari nisi ab Illus.me et Eccel.me B.V. et (eius) jxsoce et mota proprio Illus.um Filiorum persona et dependentium et non aliter nec alio modo.
Concedit Dominusd ut debit.
Opizo Remus 1523.
Quod Herberienses et viatoris observant contente in dicto ordine Ducali sub pena di sua ineo quod contrahed non exceriplis (?) et forensibus.
Che gli Hosti sono ancora loro compresi sotto la immunità del capitolo X Item quod dicti Homines come uomini di Rubera e ancora che paghino comezi è ditta in principio una certa alimentata quantità, non dimeno è stato piuttosto come nelli beccari una indebita ed ingiusta gravezza tacitamente come una sopra imposta, e lasciatali imporre forse da genti ignoranti che hanno pagato credendo a ciò essere tenuti, pare non intendano in questa parte ritirarsi ma oservare l’ordine consueto massima attendendo la speranza di tanto tempo che lettere fattorali di mente di S.E. Ill.ma che si servi il solito senza fare innovazione alcuna, il quale solito stando le dette lettere viene ora ad avere forza di legge.
DA UNA SENTENZA DI PAOLO TORRICELLI GIUDICE DEI DAZI E MASSARO GENERALE DELLA CITTÀ DISTRETTO E DUCATO DI REGGIO SI RACCOGLIE.
“Dicimus pronuntiamus ac declarando sententiamus (amplectantes sententiam olim M.D. Boan.Francisci a Canali consultori Ducalis Camera ad favorem lutum pro conservatione excemptiones Hominum et Comunis Herberia ac decretum dictirum hominum pro dicta corum excemptiones) licuisse et licere ipsi comuni et hominibus potuisse ac posse eos et civitate et districta Regii extrahere res et mercantias et eas conducere non salumi intra Castri dumodo hac omnia sint entracta et dispensentur omnino ad usum et comodum dictorum hominum tam intus quam extra Castrum in Iurisdictione Herberie nec accant de mane ac potestate dictorum hominum in dicta iurisdictione habatantium let que ita dicimus declaramus. – 1582 die 7 Augusti
COPIA DELLE INFRASCRITTE COSE LE QUALI È RITRATTO DI LATINO IN VULGARE – MCCCCXXIII DIE VIII DECEMBRIS
In Christi nomine amen.
La infrascritta forma di riscuotere le gabelle della terra di Rubiera data per M. Guielmo di Prissiani Podestà di Rubiera e da Sig. Delaito da Ruigo Massaro di Modena che si deve servare per lo Camerlemgo del Ser.mo Marchese nella detta terra di Rubiera secondo l’informazione fatta dell’usanza di possedere le dette gabelle di Rubiera.
Del pagamento dele cose se vendono in grosso, quanto pagare si debbia.
Prima se alcuno venderà vino o vacche cavalli ed altri animali di più d’una generazione sia tenuto e debbia pagare la gabella cioè soldi due per ciascuna libra del pretio che le sarà venduto eccetto che in lo dì del mercato, purchè allora niente si paga si per lo datio come per lo cavar fuora, perché il mercato in tutto e per tutte cose è libero dimodo che la cosa o animale che se vendi corporalmente sia su il campo di quel mercato e se intervenirà che la vendita fu fatta fuora di quel mercato poi sia condutta sul mercato per cagione di felisetare(?) la gabella , all hora per ciascheduna bestia o cosa sia condecimato in soldi 20 e niente di manco paga la gabella ovvero datio ciè soldi duoi per libra del pretio.
B. Quando si bubita quanto si debbia Pagare della cosa che se vende sempre si debbia ridurre alla ragione di due soldi per libra del pretio.
B. che ciascuno che venderà alcuna cosa o alcun animale della quale ovvero delle quali si debbia pagare la gabella, sia tenuto e debbia denunziare al conduttore del detto datio sotto la pena di soldi 20 per ciascuna cosa o animale, e niente di manco paga la gabella, ed habbia il detto venditore termine tre dì a denunziare la detta vendita, li quali passati se non sarà denunziato cade ipso jure in la pena predetta e questo statuto ha luogo in ciascun altro datio avere Gabella cioè che si abbia e debba avere termine tre dì a denunziare.
De Taverneri ed altre persone che vendono vino al mercato quanto debbiano pagare.
In … che ciascun Tavernere over che ciascuna altra persona la quale venderà overo venda o faccia vendere vino al minuto facendo taverna sia tenuto pagare per ciaschedun quartaro di vino che si venda Bolognini 20.
B. che li detti Taverneri debbiano tenere le migliori juste perché se sono travate contaffatte paga soldi x e siala tutte le misure.
B. Che niuno possa vendere o far vendere vino a minuto overo in grosso a Taverna senza licenza del conduttore del detto Datio sotto la pena di soldi 100 e niente di manco, se lo avrà venduto paghi il datio e sia tenuto il conduttore dar licenza a ciascuno che vuole vendere pur che paghi il datio secondo la consuetudine.
B. che ogni quartaro di malvasia che si venda a minuto si pagherà lire 3 ma se la si vendesse in grosso come a quartaro o a misura allora si devono pagare soldi 2 per libra cioè del pretio e della firma di quella malvasia.
Delli Beccari e quanto debbano pagare delle bestie che si vendono alla Beccheria.
Prima che niun beccaro ne altra persona la quale venderà carne alla Beccheria possa ammazzare alcuna bestia senza licenza del Conduttore del Datio sono della gabella e che contrafarà, paghi per ogni bestia di ciascuna generatione la fia (di) soldi 20 per ciascuna bestia grossa e minuta e niente di manco paghi il datio per lo modo intero.
B. che niun Beccaro ne altra persona possa per alcun modo ammazzare bestie non sane per cagione di vendere alla Beccheria in lo Castello di Rubiera sotto pena di soldi 20 ; se dette carni siano mandate fuori del Castello e similmente le bestie fossero morte da lupi o per altri fortuiti casi non si possano vendere in lo Castello di Rubiera, ma si possi fuori del Castello purchè le siano sane e chi contrafarà paghi soldi 20 per ogni bestia.
B.Se interviene che alcuna bestia sia morta o veramente mora per caso fortuito che sana sia e che si venda alla Beccheria allora di quella nessuna gabella si deve pagare, ma delle altre che se ammazzano si deve pagare per lo modo intero.
Prima per ogni Bo,Vacca, Manzo, ovvero Vitello che si vendono
alla Beccaria soldi x
Per ogni porco grande o piccolo soldi 4
Per ogni castrone soldi 4
Per ogni capra, pecora, montone, becco,
agnello, capretto, ed inendosi agnello fino a
sei mesi soldi 1 D.ri 6
Del pagamento delle cose che si cavano dal territorio di Rubiera e quanto si debbia pagare.
Prima che ogni persona così terriera come forestiera che caverà o farà cavare alcuna quantità di bestie o alcune cose delle infrascritte una o più fora del territorio di Rubiera paghi o pagare debbia per lo modo infrascritto se le dette bestie overo cose non saranno comprate suso il mercato di Rubiera, cioè il mercoledì, perché allora si debbono e possono cavare senza pagamento de alcuno Datio o gabella, e chi contrafarà perché le cose animali carri, bovi che menassero il carro e chi conduce cava fuori per ogni animale o cosa condotta paga soldi 20 sel non havrà havuto la licenza dalli conduttori del datio
Prima per ogni Bo o Vacca che si cava fuori del detto territorio debba
pagare per ciascuno o ciascuna soldi x
Per ogni carro di legna soldi 6
Per ogni manzo ” 6
Per ogni vitello ” 4
Per ogni Castrone ” 2
Per ogni pecora, montone o capra ” 2
Per ogni agnello o capretto D.ri 6
Per ogni porco grasso soldi 3
Per ogni temporale cioè porci ” 1
Per ogni cavallo o cavalla ” 10
Per castellata d’uva ” 6
Per ogni carro di vino ” 6
Per ogni carro d’asse ” 6
Per ogni carro di legname lavorato ” 6
Che niuna persona così terriera come forestiera possa cavare ne far cavare fuora alcuna quantità di formento biada o vino di che si debbia o non debbia pagare gabella senza licenza di M. lo Podestà e se de quelli si dovesse pagare gabella allora senza licenza del conduttore del detto datio sotto la pena di soldi 100 e di perdere le dette cose.
Del pagamento delle cose che si conducono per lo Territorio di Rubiera cioè per transito quanto si dee da pagare.
Prima se alcuno condurrà o farà condurre alcune cose beni mercanzie bestie e animali di ogni generazione, spezie in ogni qualità e quantità per lo Territorio di Rubiera facendo transito cioè da una città all’altra, overo da un Castello all’altro, overo da ciaschedun luogo a un altro luogo, mentre che facciano transito per lo detto territorio, debbia pagare per li detti beni e cose mercanzie animali e bestie, la quantità infrascritte per lo modo infrascritto, e contrafarrà perde e siali tolti li detti beni cose mercanzie bestie e animali così condotti e di più paghi soldi cento 100 e lo rinventore overo accusatore habbia la terza parte di tutti li sopradetti beni, cose mercanzie e pene, e questo sel’non avrà avuta licenzia dall conduittore di detto Dazio.
Prima deve pagare per ogni carro di mercanzia soldi 10
Per ogni carro di vino ” 6
Per ogni castellata d’uva ” 6
Per ogni carro di legno ” 6
Per ogni carro d’agli ” 6
Per ogni carro di fagiuoli ” 6
Per ogni carro di formento ed altre biade ” 6
Per ogni carro di Mecrimonia ” 4
Per ogni carro d’asse ” 6
Per mola da moltare ” 6
Per lama di falce da segare ” 5
Per pezza di panno basco ” 2
Per ogni pezza di panno di seta ” 4
Per ogni carro di formaggio ” 10
Per ogni soma di pesce ” 4
Per ogni soma di formajo ” 4
Per ogni soma d’olio ” 5
Ancora è statuito che da alcuna cosa, mercanzia e bestie la quale si conduca alla terra di Rubiera per cagione di lasciarla lì perpetuamente e per cagione di vendere in la detta Terra di Rubiera, nessuna gabella si paghi overo datio salvo che per vender bestie alla beccaria overo vino alla taverna che allora sia tenuto pagare secondo che è solito.
E questo capitolo della gabella del transito della cose per il territorio di rubiera che si portano di za e di la ad altri territori e aggiunto per relazione di Nicolò Montanaro Camerlengo del Sig. Marchese in Rubiera che viene di presente da Ferrara per parte del prefato nostro Signore che non si debba pagare tale gabella di transito per alcuna cosa del prefato Sig. Marchese in portare e riportare, ne per alcune cose d’alcuni offiziali overo soldati del detto Signore che vanno al loro offizio e guardie che da quel’offizio ritornano.
La quale relazione del detto Camerlengo è fatta dì 1° del mese di Genajo 1423.
DUX FERRARIE
Delectissime noster. Havessimo una tua di 3 del presente in voi sposta della quale te dicemo che si è pur ordinato che le cause delli contrabandi commisi in quella Jurisdizione si cognoscano li a Rubiera cioè quelli che saranno commessi a danno dei Daziari nostri de Modena e questo per non guastare la jurisdizione di questa nostra terra.
Ferrarie 23 Semptembris 1495
Tebaldus
A tergo : Potestati nostro Herberie
BORSIUS MARCHIO ESTENSIS
Dilectissime noster. Li uomini nostri di Rubiera hanno suoi modi e ordini di esigere le gabelle in quella nostra terra li quali appaiono in scriptis fatti e concetti per tempo che fu Podestà di quella M. Guielmo Larsciano e Massaro di Modena M. Delaito di Ruigo, e Camerlengo in Rubiera Nicolò Montanaro e perché li Gabellieri di Modena conducono con quelli Dazi e temono essi nostri uomini che per loro li sia tentato di rinnovare alcuna cosa contro la forma di essi ordini e modi, pertanto ti dicemo ed imponemo che tu non li lasci fare innovazione alcuna di che essi uomini si abbiano da gravare ma seguano li ordini predetti come si è usato di fare.
Ferrarie 6 Semptembris 1450.
A tergo: Massario nostri Mutina
Ego Alexander Siilvis nobilis viri Nicolai de Frottis Massariis Mutine scripe.
DECRETA COITALIS HERBERIE SUPER DATIIS ET GABELLIS.
Hercules Dux Ferrarie Mutina et Regii Marchio Estensis et Rodigii Comes Scientes nos de are antaris dilectorum nostrorum Comunitatis et Hominun Terre nostre Herberie quem nuper pre suis negotiis ad nos miserund cos sumopere appetere per nos sibi confirmare capitula et ordines concernentis Datia et gabellas de quibus superius in presenti libello sit nuntio habito prius per nos informationes et facirum nostrorum generalium quibus rend hactenus aminandatie demandavinens nos debere et fusse de jure desiderio ipsius coitatis et hominum annuere harum ferie nostrarum patentiarum literarum et acta scientia et de nostre plenitudine grate statis confermamus imo et de novo concedimus ejusdem Capitula et ordines superscriptos servando juncta consuetudinum … observantam mandantes ea in omnibus et per omnia procet sunt apposita servari dibere per quascumque officialis et subdetos nostros territorium ammisionis gratia nostre et alia qualibet nostro arbitrio, imponendo aliquibus in contrarium facientibus, non obstantibus quibus respecta personis lorum decontaccet et certa scientia derogamus aesi de eis et corum de verbo ad verbum hic facta ejud enuntio speciales. In suarum fidem et testimonium has nostras fierei passimus et registrarò nostroque sigilli appositi in posteriore parte hujus libelli impressione
Datum Ferrarie in Pallatio Curie nostre anno nactivitatis Domini Nostri Jesu Christi Millesime quadringentesime septagesimo secundo, indictionis Quinta die vigesimo octavo Februarij.
Nella diferenza delle Innovazioni che pensa, il M° Ducal Massaro di Reggio poterà far contro la Comunità e gli uomini di Rubiera, inanti che si venga alla risposta delle pretensioni di Lui e prima da sapere che in Rubiera e suo Territorio da immemorabile tempo in qua non vi è stato mai dazio di parte alcuna, salvo che delle cose infrascritte cioè per le Bestie alla Beccaria e per le Osterie una certa e limitata tassa di pagare un fermo per capo di bestie che si ammazzano e un tanto ancora per osteria, e similmente per il transito delle robe che per traverso si fanno per detto territorio e questo concerne più tosto li forestieri che li terrieri; ora non è memoria di bene in contrario che si sia giammai pagato altrimenti e massime per trutto il tempo che Rubiera ricuparata dall’Ill.mo ed Ecc.mo N. Duca Alfonso I° con l’intervento di detti uomini ritornò sotto il felice dominio di questa Ill.ma Casa, che all’ottobre prossimo a dì 9 somma 51 anno; nel qual tempo il detto Principe concesse l’immunità a quelli di Rubiera da ogni datio di comprare e di vendere del tenore infrascritto come nel Registro Fal. 92 c.x.
“Item quod ipsi homines et Comune conservesitur immunes et accempti ab omni datio emendi et vendendi qualibet tempore in Territorio Herberie et pront de presenti sunt et reperiantur essa bona mobilia tam ……..” Concedit Dominus ut petitur.
Dalle parole del quale capitolo si comprende manifestamente che per inanzi essi homini erano esenti da ogni dazio come si vede per un decreto concesso ancora prima a detta Comunità per l’Ill.mo Marchese Leonello dell’anno 1442 che si registrerà, nel quale espressamente è fatto esente da ogni gravezza onere alcune che denotano la regola in contrario e il quale decreto fu confermato l’anno 1451 per la firma dell’Ill.mo Duca Borsio come appare nel registro fal. 117 e seguente:
“Item quod ipsi homines dicta nostra Terre perpetua sint exempti et immunes ab omneribus et singullis gravaminibus realibus et personalibus et miratis et quod nullo modo, ratione aut causa aliquando debeat pergravari salvo quod pre guardiis et custodis dicte terre dici et nostris, et preterquam a sale et gravaminibus tangentibus factorum nostrarum et a laboreriis clusarum et molendinorum et ab itinoribus et cavalcatis facientibus pro utilitate et manutenctione pacifici status nostri et eu causa inimicorum et rabellium nostrorum, contra quos perpetuo ire teneantur cum filiis et cum toto corum … si ent … ad destructionem ipsorum inimicorum. Non intendendo quod dicta examtio fiat ab operibus manualibus et carregiis necessariis et opportunis per edificando et riparando in terra ipsa et Territorio ipsos et pre factis spectantibus ad ipsam nostram terra et ejus Territorium”.
La quale concessione ancora con maggiori parole fu poi confermata dal detto Duca Alfonso I° del detto anno 1523 et accresciuta assai come nelli suoi privilegi nel terzo capitolo : e finalmente da tutti gli altri Ill.mi successori è stata approvata, come largamente appare in detto Registro e che per brevità non si registrano qui, ma si possono vedere a beneplacito.
Non sono mancati poi di mano in mano Ducali Massari in Reggio per il passato che hanno tentato indebitamente innovare contro le dette immunità ed esenzioni, ma ricorrendo la detta Comunità nelli suoi benigni Principi e Clement.mi , non hanno mai tollerato che gli sia innovato ma sempre sono lasciati stare nel suo pacifico possesso in quello che erano esenti, si come si vede per lettera degli Illus.mi Sig.ri Ducali Fattori Generali li quali in confirmatione della detta esenzione e del suo pacifico possesso ho giudicato bene trascriverle quivi come in Registro – fol. 109.
“Magnifico nostri fratello amatissimo.
Nella diferenza che è stata tra voi e gli uomini di Rubiera sopra le robe che sappiamo mercanzia, che comprano a Reggio li propri uomini e Botegari di Rubiera per rivenderle poi ivi a Rubiera, e per le quali essi uomini hanno avuto ricorso a S.Eccel.za mi pare conveniente cosa per quanto mi consta per gli suoi capitoli e così vi commetto che non li abiate a far pagare cosa alcuna per tale robe così comprate e rivendute a Rubiera, e così non gli molesterete per modo alcuno per detto conto, e se voi avete cosa alcuna da dire in contrario per la quale vi paja debbano pagare fatemene consapevole col mezzo di una vostra, ch’io non sono per mancare di quanto vuole la ragione quale sin qui non constando altro veggio essere dal canto d’essi uomini, ma in questo mezzo sino a tanto che non vi serva altro non molestate ne aggravate gli uomini a cosa alcuna e questo vi dico in esecuzione della commissione fattami per sua Eccel.za quyale mi ha commesso che non gli lasci e permetta innovare cosa alcuna, ne mi occorrendo dirvi altro state sano e mi vi raccomando.
Ferrarie 2 Semptembre 1543.
E accadendo ovvero facendovene istanza essi uomini fatti intendere il fatto quanto sopra si contiene alli soprastanti dell’abondantia.
Vostro Lanfranco dal Gesso
Ducale Fattore”
A tergo : Al Ma.co M.Allesandro Borgogno Ducal Massaro di Reggio
Come fratello carissimo ——– a Reggio.
Passati poi alcuni anni circa 13 fu tentato di nuovo contro la detta esenzione innovarsi ma ricorrendo essa Comunità a Ferrara fu scritto in conformità un’altra lettera dalli Sig.ri Fattori come nel registro – fol. 114
“Ma.co da fratello Car.mo
Li uomini di Rubiera hanno fatto doglianza con sua Eccel.za che da voi si sia fatta innovazione circa il dazio, in volere che paghino maggiore somma per detto conto fuori del consueto e non essendo ragionevole che si faccia innovazione alcuna havendo essi rimessi a noi, ci è parso di dirvi non gli doviate fare alcuna innovazione e fare in modo che non abbino giusta causa di querela con questa facciano fare e vi si raccomandiamo.
Di Ferrare 18 Genaro 1556
Come fratelli
Allexandro Guarinus – Ducali fattori Generali
Baptista Saracha “
A tergo: Al Mas.ro Alessandro Bozagoco Ducale Massaro di Reggio nostro Carissimo. ———— A Reggio.
Non ostante questo, cinque anni dopo essendo Ducale Massaro di Reggio il Ruggiero e tentando ancor lui innovare come cercano tutti fare contro il giusto gli fu scritto dalli Ill.mi fattori Guido Coccassani, e Sig.r Franco (?) e il simile nel principio della diferenza che ora vertisce tra il moderno Massaro e la Comunità gli è stato scritto da essi Ill.mi fattori Guido e Battista Momtecattini come in esse lettere quasi dello stesso tenore che per brevità lasciamo. Dalle quali cose si vede chiaramente la vera interpretazione e senso di quei privilegi e immunità così sempre intese da detti Signori, e dall’uso interpretale come si disse più basso e come si può anche chiarire da essa sentenza gia data per l’Ill.mo Duca Borsio l’anno 1457 die 7 Lulii nel registro – fol. 28, la sostanza della quale è questa :
“Ill.us et Eccel.us Princeps et March. Est. Borsius Duca Mutina e missens in ejus camera cubiculari sita in arce superiori dicte terre Herberie diceit et declarant….. Quod dicte libertates et eccemptionis et immunitatis …. A quibuscumque immuneribus et neribus ac factonibus quibuscumque, cuiuscumque generis et speciei pre corum puginis bonis et robas presentibus et futurus.”
Per la quale ragione dovria constare che si acquietasse il detto Massaro conoscendo la chiara intenzione del Principe e suoi ufficiali nondimeno aderendo alle particolari pretensioni si metteranno qui di sotto di una in una opponendole a parte per parte e con questa.
8a. Pretensione dei Massari di Reggio
Pretendit Mag.us D.Massarias Regii quod Beccari Herberiensis solvano ut in statutis Gabelle cum nihil oppositum probant.
1°. A questo si risponde che stando il capitolo delle immunità concesse per il detto Ill.mo Duca Alfonso I° nella quale dicesi che li Beccari non haviano da pagare cosa alcuna quando che esso capitolo comprende anche li Beccari come Homini di Rubiera: “…ibi quod presenti homines et Comune conserventur immunes…”
2°. E di più essi uomini hanno per espressa esenzione dopo i loro antiqui statuti della gabella lì di Rubiera “…che di cosa alcuna ch’essi conduca o venda a Rubiera nessuna gabella si paghi…”
Mutis ad nutus conditi
Coram Illustrisimo D. Gubernatore Herberiae.
In causa testamenti à Presbitero Ruggiero ex accidenti muto conditi ad interrogationem Notarij, dubitatum fuit de illius validitate nam licet scriptum sit, disponat Testator, & erit Lex, in § .disponat, Authentic. De nupt tamen nemo potest tacere, quin Leges habeant locum in suo testamento, L. nemo potest, ff. dei Legat. I. Clar. In § Testamentum, q. 61. N. I. nec sufficit voluntas, ubi deficit potestas, L. si quis sub conditione 7. C. de condit. Inft. qua videbatur carere restator, cum mutus ex accidenti nisi propria manu testsamentum conscribat, sine Principis rescripto testari non possit, ut combinatis Textibus coligibur ex L. qui in potestate § I. @ L. si mutus, ff. de testam. L. discretis 10. G. qui testam. Fac. Poss. L. Iubemus, C. de testam. Institut. Quibus non est permiss. Facere testam. § Item surdus, @ ibi Oynotom. N.3. @ Mysinger. N.4.
Nec ad Clausulam Codicillarem tutus videtur recursus.
Primo, quia pro sanando hoc nullitas morbo, eam debile Pharmacum esse, dixit Paul Rubeus de Testam. Cap. 45. N. 168. Ubi alios glomerat.
Secundo, quia talis Clausula non videtur opitulari in testamento hominis Iuris ignari, ut clare respondit Illustriss. Ioann. Bapt. Laderch. Conf. 58. N. 35. @ replicavit in conf. 73. N. 19.
Tertio quia Clausula Codicillaris nihil solet operari, quando in Testamento [ut hic] reperitur institutus hæres extraneus, si credendum sit D.Merlino de legitima lib. 5. Tit.2. q. 4. N. 8.
Extranei autem in proposito illi esse dicuntur, quibus non debetur legitima, Mantic. De coniectur. Ultim. Volunt. Lib.4. tit.12 n.4. & qui non funt de descendentibus testatoris, Gionagnon. Conf. 82. N. 82. Lib. 1 @ conf. 96. N. 8.
Quarto, quia Clausula Codicillaris censetur apposita potius ex stilo, & capite Notariorum, quam de mandato, & voluntate Testatoris, Laderch. Cnf. 73. N.18.
E conuerso, & pro eneruatione primi obiecti, dici poste videbatur, Testatorem.
Et in dubio censendum est, trebellianicam, tamquam odiosam, & menti testatoris contrariam, fuisse prohibitam, & non esse detrahendam, vt per
Intrig. De subst. Cent3. Quest.71 n. 56.
Corn. Conf. 182. N.9 10. Lib.2.
Mantic de coniect. Ultim. Volunt. Lib.7. tit.12. n. 12.
Paris. Cons. 21. N, 35. Lib.3.
Balthassar. Thomas. De Trebellianic. Tit.3 n.1.
Ciarlin. Contr. Forens. 152. N.14.
Honded. Cons. 63. N. 117. 118. Lib.1.
Gratian. Discept. 245. N. 8.
Cyriac. Contr, 11. N. 37
Ruin. Cons. 159. N.2.3.
Ciroch. Disput. 3. N. 21 ac nouissime
Doctissimus Urceol. Controu. Forens. Cap6. N. 39.
Et uius Testatoris ultimæ voluntatis inhœrendo validitati, non videntur obstare quæ suprà deducta sunt contrà clausulam codicillarem.
Nam ad primæ authoritati Rubei nixum cap.45. n. 169 @ 172 respondetur,ibi loqui in casu testamenti muti nulli ob defectum voluntatis, vt ex eius lectura clarè colligitur, & codè themare retento ractiocinarum DD. per eum allegati ; & certè omnes conuenire videntur, quod ubi mutus est sanæ mentis, valeat eius Testamentum nutu conditum, saltèm obliquo iure in vim fideicommissi, benefitio clausulæ codicillaris, quæ omnes ferè defectus sanat, præter defectum voluntatis, vt egregiè Pract. Pap. Informa lib. Pro legat. Rei sing. In gl. Valere debeat iure codicillorum n. 1 @ per tot.
De cuius mentis sanitate non videtur haesitandum, quia talis iure præsumitur, Farinac. Conf. Crim. 97. N. 14 lib. 1 doctissimus mans. consult. 42. N. 15. Cyriac. contr. 407. n. 76.
Ad secundum dicitur, Clausulam Codicillarem suum operari effectum etiam in Testamento personæ Iuris ignaræ, vt contra Laderch. sentiut meliùs Mart. de clausul. part. 3. claus. 11 n. 40 @ Craff. $. Testamentum, quast. 50 in fine, & in testamento mulieris iudicauit Rot. in collect. per Farinac. in decis. 568 in fine, par. 1. tom. 1. Ideoq; non spectatur imperitia Testatoris, quia Notarius peritus praesumitur, & eius effectum explicasse verbis accomodatis, & congruis intentioni Testatoris, Fusar. de subst. Quæst. 321. n. 105. @ seq. @ quæst. 327 n. 31.32. quem refert, & sequitur Pigant. ad Statut. Ferrar. Rub. 22. n. 15. lib. 1. Versic. Simile est.
Ultrà quod ignorantia non pæsumitur in Sacerdote, vt expressim tradit Craff. effect. 19. N. 12..
Ad terrium respondetur, Clausula Codicillarem, etiam institutis extraneis, suum operari effectum: & licet Merlin. de legitim. lib. 3. tit. 2 quasto. 4 n. 8. contrarium dicat, attamen loquitur in alio casu, & per verbum, videtur, § DD per eum citati non dicunt id, ad quod allegantur, ultrà quod Merlin. sibi contradicit, quia lib. 1. tit.3. quast. 1. n. 23 supradictam conclusionem ad mittit, etiam institutis extraneis, hancq; veritatem sequuntur Peregr. de fideicom. art. 2. n. 16.17. Rol .à Vall. cons. 71. n. 51.56 lib. 2 surd. Cons. 55. n.13. lib.1 mant. de con. lib.6. tit4. n.16. ac ità indistinctè omnes tenere d testatur Gratiam. discept.583. n.31.
Ad quartum respondetur. Clausulam Codicillarem semper intelligi appositam ex voluntate, & mandato Testatoris, non autem ex stilo, & capite Notariorum, prout se declarat Gabriel. Mantic. @ cateri, quos allegat, & sequitur Marta de Claus. 11. par. 3. n. 1 versic. Contrarium, ubi refert ità iudicasse rot. & sequitur Menoch. cons. 37. n. 30 @ dearbitr. ind. lib. 2. cas. 144. n. 11 Alex. Cons. 142. n. 2. volum. 2. Peregrin. defideicom. art. 2 n. 16. & ab hac opinione non esse recedendum exclamat Craff. In §.Testamentum, quest. 50. in fine.
Nam quicquid apponit Notarius in testamento, id censetur facere ex coscientia, & mandato Testatoris, & prout ipse disposuit Bald. in L. errore, & ibi Castr. n. 3. C. de testam. Surd. cons. 129. n. 31. Quos lequitur Giuagnon. cons. 6. lib. 2. n. 3. verific. nec dicatur esse verba Notary, Farin. quest. 157. n. 46.48 Amat. decis. March. 10 in fine.
Immò quoties clausula Codicillaris in Testamento non legeretur, adhuc ibi subintelligeretur, quia Notarji censetur rogati apponare clausulas consuetas, ut dicctum suum, & rationem pluribus citatis probat in puncto Paul Rubeus de Tastamentis cap. 9. n. 462.
Sed cum in præsenti Testator spetialiter interrogatus per Notarium assenserit clausolæ. Codicillarus appositioni, res dicitur clara, & ideo non reccurrendum ad coniecturas, & præsemptiones, ut in terminis ultimæ voluntatis discubberat Reverendissimo Giarlin. Contr 140. n. 11.12.13 lib. 2. cum alijs passim.
Dato autem, quod contra ea, quæ hucusque pro validitate Testamenti, Iure directo, vel obliquo dicta sunt, aliqui fluctuarent, ob innumeras DD opiniones, in quibus utinam veniret sterilitas, quemadmodùm in agris, § fructibus, ut rexclamat Caroz. de @ conduct. in tit .de remiss. merced. par. 4. quest. 1. Parergon, in fine.
Tamen pro validitate dictœ ultimæ dispositionis esset ndum, ex generali Thæorica, quod in dubio pro validitate actus est iudicandum, ad L.3 ff. de Testament. milit. l. quoties, ff. de verbor. oblig. Mantic. de coniect. lib. 12. tit. 17 n. 13 Rot. decis.248. n. 5. part. 5. rec. & Reipublicæ interest suprema mortuorum elogia sustineri, & exequi, L. vel negare, ff quemamodum testamenta aper. Peregrin. de fideicom.art. 42. n. 5. fontanell. de pactt. nupt. clau. 5. gloss. 5. Par. 2. n. 104. & ità in his terminis discurrendo eleganter concludit Rubeus de testam. cap. 42 n. 367 @ n. 375.
Quin immò adeò praecipuns honor, & favor extremis hominum voluntatibus debetur, ut licèt in iudicando non sit recedendum à comuni opinione, iuxtà Text.in §. 1.ibi secundum opinionem plurium Inst.de hæred.. instit. c. ne innitaris, de Const. Ciarlin. contr. 235. n.29 ubi innumeros, alias Index causam suam faceret, diceretur iudicaste per imperitiam, e teneretur in Syndacatu, Laderch. cons. 36. n. 15. Farinac. in repert. Iud. quœt. 13. n.20. Benden. colluct. Legal. 38. n. 150. Cyriac. contr. 353. n.45. @ seq. Duard.. in Bull.
Fideicommissum enim nutu relinqui posse sine Principis rescripto, conuincit. Text.in L. nutu 21. Ff. de Leg.3 L.. @ in epistola 22. C. de fideicommissis.
Pro quo fideicommisso inducendo, sola mens Testatoris etiam coniecturata sufficit, L. cum proponebatur 66. In fine, ff. de Legat. 3. Fusar. de subst. quæst.. 276. per tot.
Et quamuis tali casu Senatus Consult. Trebelliano Trebellianica detrahatur, § Sed quia heredes, Institut. de fideocomm. hæred. quæ est quarta eius, qoud per fideicommissum universale restituitur, L. Liberto, §. Filium, ff. de annu leg. @ in L. nam quod, §. Fin. @ in L. si hæres, de fideicomm. Crass. §. Trebellianica quæst. 3. n.1. Altograd. cons. 69. n. 43. Lib. 2. Peregr. De fideicomm. art. 3. n. 2. 3. 4. 7. Rot. In recent. decis. 637. n. 11. part. 4..
Tamen cum ea possit prohiberi nedum expresse, sed & tacitè, gratiam. discept 888. n. 1. Ciarlin. contr. 152. n.2 menoch. Præsumpt. 198. n. 10. Lib 4. rot. Coram Mantio. decis. 348. n. 2.
In nostra Hipothesi Testator factis certis legatis aljis litis Confortibus de Ruggeriis, in reliquo instiytuendo hæredem Christophorum eius fratrem, ea mente fuit, ut integram hæereditatem consequeretur absq ; diminutione, quae intentio, quamuis tacitè elicita, sufficit, ut censeatur Testator Trebellanicam prohibuisse, Merlin. de legitim. lib. 1 tit. 3 quest. 1. n. 26. .Uurceol. consult. forens. cap. 6. n. 34 . 40. Rot.c oram. Gregor. decis. 421. n. 11. & conserunt quæ tradidit D. Mangil. de. imput. @ detract. quæst. 115 . n. 13.
Et accedente clausula, omni meliori modo, fuisse inductam trebellianicæ prohibitionem, concludunt.
Peregrin. cons. 36. n. 10. volum. 2.
Gabriel. cons. 86. n. 23.24. lib. 2.
Ruin. cons. 47.i n fine lib. 2.
Rimin. Inn..cons. 204. n. 122.
Menoch. cons. 1112. n. 23. vol. 12.
Menoch. de presumpt. lib. 4. presumpt. 198. n. 31.
Barbos. de claus. claus. 94 omni. n. 49.
Mart. de claus. Par. 3 claus. 56. n. 13.
Simon. de Pret. de interpret. ultim. volunt. Lib. 2. interpret. 2. Dub.1. solut. 4. n. 34.
Griuel.decis. Dolan. 28.. n. 37.
Gratian. discept. 245. n. 6.
Crat.c ons. 140. n. 50. lib. 1.
Rot. Bonon. divers. ad Statut. decis. 14. n. 50. @ 51.
Rot. Roman. penès Merlin. de legitim. decis. 21. n. 12.
Non omisso quod de relictis a Clerico per legatum, vel fideicommissum falcidia, vel Trebellanica, quæ æquiparantur Mangil. De imput.. @ detract. quæst. 116. n. 3. non detrahitur, idem Mangil. quæst. 118. n. 16 quia, ut supra dictum est, guùaudente Clerici militari privilegio, quod confirmat Crass. effect. 19. per tot. De quorom legatis, & fideicommissis falcidia, nec Trebellanica detrahitur Mangil. quæst. 115. n. 45 @ quæst. 118. n. 14. ubi alios, @ c. Et in 126. num. 34. par. 6. recent.
Ac propterea Sacrorum Canonum inhærendo decretis valere testamentum muti sanæ mentis, & auditus, sciunt omnes per Gloss.in c. cum tibi 13. verbo Dispositionem, verific. @ sicut nutu, extra de testamentis, Alberic.in L.inbemus 29. suub. n. 4 versic. De equitate tamen Canonica, C. de testamentis, Cephal. Cons. 546. num. 52. @ Sec. lib. 4. Castit. quotidian. controvers. lib. 4. de coniet. @ interpret. ultim. volunt. cap. 27. num. 28. Genuens. praticabil. Ecclesiast. quæst. 734. in princip. Gasp. Ant. Thæsaur. quæst. 99. num. 22. versic. Quam equitatem Canonicam li.b. 2.
Et quatenus, utriusque Iuris Ciuilis, & Canonici in prædictis non attento tenore, adhuc de validitate dicti Testamenti saltèm Iure Codicillorum, cuius clausulæ effectus est, ut corruente testamento ex aliquo defectu, propter quem nequeat idem valere Iure Testamenti, venientes ab intestato censetur rogati restituire per fideicommissum hæreditatem hæredi scripto in testamento, & sic facit valere Testatoris dispositionem Iure obliquo Dec.cons. 478.n. 4 @ cons. 561. n. 1. Gabriel. cons. 113. n.2 lib. 1. Cravett. cons. 34. n. 1. Durand. de art. testan. tit. de lib.instit. caut. 1. n. 14 Crass. §. Trebellianica, quæst. 4. vers. fin. Fusar. de substit. quæst 569. num. 1. 2. Ubi innumeros congerit Barbos. claus. 21. n. 14. 27. Rubens in sing. Rot. Rom.par. 4. claus. 205. n. 54 tom. 2. Pract. Pap. in forma lib. quo agitur ex substitut. in. gl.ac per fideicommissum n. 6 verific. si non valet iure testamenti.
Et in spetie hac nostra Testamenti à muto conditi concludunt
Io: Bapt. Caccialup. inter cons. Ioan. Crott. cons. 417. per tot. lib. 3.
Farinac. post cons. crim. lib. 1. dec. 139. in Addition. vers. Quando in testamento adest clausula Codicillaris, ibi citat, Bartol. Bald. Iason. @ alios prilmarios Iuri Magistros.
Dilect. de art. test. in. tit. de his, qui non habent factionem testam. cautell. 9. n. 2. fol. 15.
Eminentiss. Card. Mantic.de coniect. vlt. volunt. lib. 8. tit. 1. n. 19. fol. 168.
Ioann. de Castill. quotid. contr. lib. 4. de coniect. @ interpret. ultim. volunt. cap. 27. à n. 29. Ad 80.
Fusar. de substit. quæst. 287. n. 1.
Gramatic. decis. 73. n. 3 1. 35.
Peregrin. de fidiecomm. art. 1. n. 45.
Simon. de pret. de interpret. ultim. volunt. lib. 3. solut. 12. n. 6. fol. 294
Franc. de Barr. de testament. lib. 1. Tit . 3. n. 4.
Gaspar. Ant. Thæsaur. quæst. 99. n. 24. 25.
Calvin. de æquitat. lib. 2.cap. 194.
Anton. Gomez. ad. L. Tauri 3. n. 115.
Aretin. in §. mutus, in fine Instit. quibus non est permiss. facere Testam.
Menoch. cons. 45. n. 14.
Cæphal. cons. 564. n. 55.
Alexandr. Trentacinq. Cons.. 13. n. 7. in fine.
Quibus libenter addo primarium æui nostri Advocatum Mans. consult. 42. n. 12.
Fidei statorem interrogatum a Notario, iuxtà Durand. cautellam 9. n. 2 de ijs qui non habent fact. testam. Numeris, capite, & magnum gestus, linguaq; balbutienti, clare suam expressisse voluntatem, quo casu Testamentum Iure directo valere, scriptum valere, scriptum reliquit. Paul Rubeus de Testamentis, capit. 45. a num. 186. ad num. 223. quem sequantur Gaspar. Ant. Thesaur. q. 99. num. 28. Cristoph. Mart. Medic. examin. 10. num. 44. versic. Item si alio modo.
Alio exuberante fundamento, quod hic Testator ratione Sacerdotij dicebatur Miles Cœlestis militiæ, Everard. in Topic. legal.l oc. 56.i n princip. Leoncill. de paup. privileg. 249. n. 45. Paul. Rub. in annotat. ad Rot. in recent. decis. 262. n. 223. p. 8.
Et procedente argumento a milite terrestis mlitiæ ad militem cœlestis militiæ, Paccian. cons. 7. n. 114. Eminentiss. Tusch. littera A.conclus.. 506. n. 1. Rot. in recent. decis. 166. n. 47. part. 8.
Bene sequitur, quod cum miles terrestris militiæ [cum scribere non valeat] in hoc privilegiatus existat, ut licet mutus, possit nutibus condere testamentum, ad Text. in L. Iure militari 4. ff. de milit. testam. @ ibi Gloss. Rubens de testam. cap. 44. n. 97. @ seq.
Sic etiam idem permittatur militibus cœlestis militiæ, ut in sprtie testamenti firmavit Abb. in cap.i n presentia de probation. @ cap. quia nos de testamentis, late Carol. de Graff. de effect. Clerie. effect. 19. n. 1 @ 14. Vasq. de success. creat.l ib. 3. §. 22. limit. 17. n. 37. @ 84. Mart. de Iuris dict. part. 4. cent. 1. cas. 28. n. 1.
Et ex hac cœlesti militia aliud non incongrue inferrur indultum, nempe suisse omninò exemptum a Iurisdictione, & potestare Laicali, ut uno ore fatentur omnes DD, & præsertim Gratian. inc. continua 11. 9. 1. Grass. de effect. Cler. effect. 1. n. 1 @ seq. Contr. caus. 45. Cartar. de interrog. Reor. lib. 1. cap. 2. n. 12.
Ac proinde subditum Papæ non ligatum Legis Cæsaris, & Laicalibus fanctionibus, c. 1 iuncta Gloss. de const. c. a nob. de sent. excommunic.c. Ecclesia S. Mar. de Const. Paul de Castr. cons. 157. n.1 lib. 2 Surd. cons. 301. n. 46. Latissime Carol de Grass. effect. 2. n. 1 @ seq. Non attentis Iuris Ciuilis solemnitatibus, potuisse secundum Ius Canonicum, cui subijciebatur, testari, Gloss. in c. cum esses, in verbo improbamus, versic. vel dic. de testa. Guglielm. de Beneded. in c. Rayn. in verbo Testamentum, il 1. n. 51. de testam. Carol. de. Grass. effect. 19. n. 14. versic. Tertio insertur. Mart. de Iurisdict. par. 4. centur. 1. cas. 28. n. 1. 2. @ 5 Marta de succ. legal. par. 4. q. 2. art. 5. n. 36. versicu. item quia testamenta Ecclesiasticorum non subiacent dispositionis Iuris Ciuilis, Valasc. decis. Lusitan. 74 n. 12. Vasquez de succ. creat. lib. 3. §. 22. limit. 17 n. 37. @ 84 quibus libenter addo Io: Carol. Anronell.de Regimin Eccles.lib. 1. cap. 10 de Testamentis, n. 31. @ Mgdalen. Capifer. De numero testium in Testament. requisit. par. 2. cap. 8. n. 36. @ seq q. Ubi, quod hoc procedit tam in Terris Ecclesiæ, quam Imperji, & in utroque foro.
Quo Iure Canonico attento. Iuris Ciuilis remisso rigore, sola veritas pectatur, per rationem text. Alex.in c. Relatum de Testam. Quæ in ore duorum, vel trium consistit, e cum esses de Testam. & in spetie hac nostra tradit Mart. de Iurisdict. par. 4. cent. 1. cas.. 28. n. 1 et approbavit Sacra Rota decis Bull. Gan. csn. 15. quæst. 4. n. 28. & ideo opinioni singulari non sit inhærendum, Alex. cons. 142. n. 16.
Nihilhominus mirabile est, quod opinio unius Doctoris præclari fauentis ultimæ voluntati est præferenda communi opinioni, ut his verbis scriptum reliquit Andr. Barbat. in cons. 6. n. 4. In versicul. Et.est novum dictum ad hoc propositum non ponderatum ab aliquo scribente usy ad hæc sæcula, ut dicamus, quod opinio unius Doctoris favens Testamento sit præferenda communi opinioni. Surd. cons. 414 .n. 101 quos referendo, sequitur intrepide hanc conclusionem, & mecum discursum terminat Paulus Rubens de Testamentis cap .42 a n. 376. ad n. 383.
Et ita pro validitate ultimæ voluntatis R.D. Pauli Ruggerij fuit iudicatum in foro Herberiæ hac die 23. Octobris anni 1677 utraque parte acerrime informante.
Peregrinus Gianottus I C. Herberiæ Gub. (ernatur)
A Ponente del Castello maestosamente e si triste nella sua orridezza s’inalza la sua antica Rocca celebre per casi di guerra, e per le sue prigioni di Stato. Un rettangolo di mura massiccie, bastionate agli angoli torreggia sopra il Castello e domina a larghi strati e distanza i contorni del paese. Scarpati fino all’altezza delle mura del Castello sono i bastioni, e dalla cordonata che segna il confine della scarpa s’inalzano al piano e sovrastano le cortine stesse che li legano. Triste e squallente nella sua orridezza ne è l’aspetto. Più per opera del tempo che per casi di guerra, diroccata e ruinosa ne è la sommità; grigie ed annnerite per intemperie ne sono le mura, tapezzate in gran parte dall’edera e dai rovi, fatte nido di biscie e di insetti; a tratti dove più aspro e ronchiato è il muro spiccano le ficaie selvatiche e nel cassero parietario, nei molti punti (in cui è) sgretolata l’esterna corteccia del muro in cotto, vedi il ripieno di sasso che ne formava come l’ossatura. La metà inferiore, scarpata fino alla cordonata, ti mostra a nudo il matone maestrevolmente lavorato, e vivi ancora e taglienti ne sono gli spigoli come di costruzione; sopra la cordonata s’inalza a picco il bastione fino alla sommità. Per più della metà sono scarpati i bastioni nella loro parte inferiore. Quasi a due terzi della loro altezza dal piano della fossa sono fidati da una cordonata sporgente e a spira sulla quale s’innalza a picco la loro parte superiore. Benchè spoglia di quelle opere esteriori che ne raddoppiavano la forza; benchè sguarnita di quei munimenti bellici che la facevano potente e temuta, conserva ancora quell’aspetto di forza che la faceva potente e temuta nei tempi di sua maggiore fortezza; i suoi avanzi e le sue ruine bastano ancora a ricordare i tempi di sua maggore fortezza, quando le sue fosse e le sue mure formavano oggetto di encomio al Cesariano, commentatore del Vitruvio, e quando chiamava l’attenzione del Re di Francia Francesco, il quale da Milano per ammirarne la costruzione e la fortezza come la più celebre di quante in allora esistevano tra Milano e Cesena, quivi passò una intera giornata per aver comodo di scandagliarne tutte le particolarità.
Nel fianco meridionale del bastione nord–ovest che si stacca e sporge dalla cortina, benchè murata, scorgesi ancora la porticella ferrata che dava accesso al rivellino, che come antimura la copriva e di cui restano pochi ed informi avanzi. Sul bastione nord-ovest vedi ancora un casotto o guardiola, dove in tempo di guerra e di passaggio d’armati tenevasi del continuo una vedetta, la quale col tocco della martinella avvertiva che si levassero i ponti, e chiamava in armi il presidio. La recingono alte e massiccie mura, ed è circonvallata da larghe e profonde fosse che le girano intorno e la isolano dal Castello. Solo vi si ha accesso per ponti levatoi. Ne furono poste le fondamenta dal Comune di Reggio, e nel tempestare delle fazioni fu spesso ricovero alla fazione dei vinti e banditi, ove afforzati preparavano riscosse e vendette di sperpero e di sangue per rifarsi della sconfitta. La discordia fra le sorelle città di Modena e Reggio ne pose la prima pietra. Ivi le ire fraterne più volte ruppero in riotte di sangue spesso rifugio di banditi incalzati dall’imperversare delle fazioni; talvolta focolare di congiure, di trame e di rappresaglie: per ultimo passata in mano agli Estensi fu volta a difesa e conservazione de’ loro Stati.
Tornata libera, il Comune dopo la cacciata degli Estensi, ne ordinò il ristoramento, finchè impossesatosi di essa i Gonzaga, Feltrino la afforzò di nuove opere e probabilmente della Rocchetta, di cui noi stessi abbiamo visto le fondamenta all’interno del Rivellino, che fu distrutto a nostri giorni. Sottratta all’obbedienza dei Gonzaga, passò per tradimento alle mani del Visconti, il quale pure ne afforzò le mura. Non soddisfatte le ambizioni e le aspettative cui si legava il tradimento, i Boiardi cacciarono i Visconti, e consegnarono alla Chiesa la Rocca stessa, da essa finalmente ne ebbero l’investitura e possesso feudale e lo tennero finchè ne passo la giurisdizione in mano all’Estense Nicolò II°.
Leonello ne ricostrui le mura in gran parte sconnesse e guaste dai casi di guerra. Ercole I° sulla fine del ‘400 le afforzò di nuovi munimenti; che furono poi completati in parte del 1506; ceduta in mano della Chiesa ne fu ancora completata la costruzione, finchè riavuta da Alfonso, ne ampliò la cinta, e la ridusse alle armi moderne. (1335 ai Gonzaghi; 1355 ai Visconti; 1362 passò alla Chiesa)
Il rincaro improviso dei cereali avvenuto nel 1847 risvegliò a tumulto la poveraglia, la quale, come di costume, si spinse a derubare quelli che a loro credere avevano deposito di grano. Il Governo, consumato il fatto il quale, benchè preveduto, non si volle impedire , mise a disposizione dei Publici Lavori certa somma per togliere pretesto ai poveri di tentare nuove aggregazioni, come che il Paese e il Comune non avesse modo di recuperare e dar lavoro ai poveri con lavori di publica utilità, decretò che dstruggessero il Rivellino detto comunemente puntone, che copriva la cortina fra i due Bastioni a sera della Rocca.
Svuotati i muri esterni del Rivellino, si scopersero i muri di una torre pentagona la quale dovè essere la pianta della Rocchetta di cui trovasi memoria nel 1400.
Spesa la somma, fu sospeso il lavoro lasciando un nuovo orrore ad accrescere quello del Paese.
Nel 1850 fu comprato il ripiano per formare la piazza della fazione.
Restarono i muri ruinati e le macerie, che in parte servirono alla fondazione del muro Bondavalli, le altre furono sotterrate sul luogo nel 1865/66 poscia che il Comune acquistò dal demanio le mura e le fosse.
Sparì per talo modo quell’opera di fortificazione, e lasciò a nudo e scoperto il lato ponente della rocca.
Memorie sulle porte del Castello di Rubiera.
Prima del ‘500 Rubiera aveva due porte: una che guardava a levante e che metteva in comunicazione il Castello col Borgo di quella parte (Borgo Levante). Ciò rilevasi dalla topografia di S.Maria (di Cò di Ponte) quale rilevasi dal catasto. Viene pure in appoggio di quella memoria una lettera del 1601 la quale raccogliendo le tradizioni sulle vecchie porte, chiedeva al Duca “l’aperizione” di Rubiera da quella parte dove vi faceva difesa una torre detta la Fontana.
Dopo il 1530 dovè essere chiusa quella porta, che forse non aveva più ragione di essere essendo stata distrutta S.Maria (di Cò di Ponte) e tutte le case attigue che formavano il Borgo di Levante, e ciò fors’anche per ragioni militari di sicurezza e di difesa, guardando però all’andamento della via centrale del Paese, e alla corrispondente struttura della mura a riscontro; trovando quivi in largo di un bastione sporgente, un incavo o svoto quadrilatero nella grossezza della mura, ciò condurrebbe a credere vi fosse ivi una porticella secondaria inserviente ai pedoni più tardi chiusa per ragioni di guerra. Ciò viene a confermare l’atto d’aperizione del 1700 in cui ivi fu trovato scala, pozzo, e quanto poteva spettare ad un corpo di guardia.
“La porta aperta da Alfonso, dovea più tardi essere chiusa a maggior difesa e sicurezza degli assalti e delle sorprese; perché nel corso del 1600 troviamo memoria del Comune che a vantaggio del Paese chiedeva “…l’aperizione di una seconda porta…” la quale fu concessa a condizione che fosse pure fatta di nuovo quella che guarda Reggio, lasciando la vecchia che più tardi fu poi murata, di servizio esclusivo del Forte. Furono in tal circostanza abbattuti i pilastri che davano appoggio al ponte levatoio”
Delle Prigioni del Castello di Rubiera.
Le principali prigioni ricordevoli per illustri prigionieri e tuttora esistenti sulla fine del secolo XVIII erano due a pian terreno sotto la grande rampa; tre nella grottuzza della cortina; e due sulla sommità dei bastioni di levante. A mano dritta entrando nel cortile della Rocca, sotto la gran rampa o scaglione che metteva sulla cortina di levante, esistevano due prigioni alle quali si aveva accesso mediante un vestibolo che le separava dal cortile; a fianco delle dette prigioni vi era l’abitazione del carceriere che riceveva aria dal cortile. Il piano delle prigoni e dell’annesso vestibolo era un po’ più alto di quello del cortile. Esse avevano il loro fondo nella grossezza della cortina, e ricevevano non luce ma un aria fredda e morta mediante due aperture che esistevano al disopra dei loro usci. Interamente erano foderate di doppio assito di rovere, ed erano cupe e sepolcrali. Nella grossezza della cortina vi era il Forno, e le due prigioni che davano dalla parte del Paese. Si andava ad esse per un corridoio basso, stretto e buio. Altre due esistevano sulla sommità della cortina, cioè la Carandina e quella che fin dal 1600 era detta Delle Donne; quest’ultima era di contro alla Carandina cioè in parte nel torrione che guarda il Paese sulla parte di S.Faustino. Era ampia assai, aveva la porta di fronte a quella della Carandina. Nel 1865 si vedeva ancora senza il plancito, essendo al basso i rottami. Due piccole finestre molto in alto davano sul torrione anzi detto. Dette prigioni furono per sicurezza di luogo destinate a prigionieri di Stato. Esisteva pure una prigione detta la Gualtieruzza, che forse prese nome da un Gualtieri che vi dovè essere prigione per molto tempo. Chi era costui?
Più che per la loro orridezza furono celebri di trista rinomanza le nostre prigioni per l’oggetto che servivano cioè a prigoini di stato. Così che i condannati a codeste prigioni erano commiserati come perduti; donde ne venne il nome di Sasso forse perché il Mastio eroso e sgretolato dal tempo mostrava il sasso, come tuttora vediamo.
Chi primo architettasse quelle prigioni non sarebbe facile congetturarlo sì frequenti furono i passaggi della loro signoria, e molteplici i mutamenti in essa portati.
Fra gli illustri prigionieri che furono nelle carceri del castello, le quali non tanto per la loro orridezza, quanto per servire a delitti di Stato gli acquistarono una triste celebrità, trovo tra i primi di cui ricordano le cronache e le storie.
1469.- I fratelli di Gian Ludovico de’ Pii che fu giustiziato in Ferrara per congiura scoperta col cancelliere del Duca di Milano contro la casa d’Este. Detti fratelli furono in tale circostanza imprigionati e mandati a Rubiera, e furono ricondotti a Ferrara a 7 di novembre dello stesso anno. (vedi cronache di Iacopino de’ Bianchi-Vol. 1°)
1514.- Guido e Sigismondo Rangoni fatti imprigionare da Vitfrust furono a 13 di giugno condotti in prigone a Rubiera. Dopo 87 giorni di carcere evasero e s’impadronirono della Rocca e del Castello. Quivi morì il Sigismondo, e del 1515 a 20 di giugno Guido restituisce Rubiera al Papa. (vedi cronaca del 2° Lanzillotto).
“I CONTI GUIDO E SISMONDO RANGONI PRIGIONIERI NELLE CARCERI DI RUBIERA”
Nella notte dal 13 al 14 luglio del 1514, scortati da grossa mano di balestrieri Tedeschi, legati sui cavalli venivano tradotti in questa Rocca i Conti Guido e Sigismondo Rangoni di Modena. Il Vitfrust che teneva in pugno come vicario Imperiale Modena, Reggio e Rubiera, aveva fatto imprigionare i due fratelli per timore che tenendo per la causa Papale, macchinassero un colpo di mano contro Modena per sottrarla all’autorità Cesarea e per allontanarli dal focolare delle fazioni. Ma non potendosi tenere abbastanza sicuro della loro prigionia a Sassuolo, per la troppa vicinanza al confine Bolognese, a maggior sicurezza li mandò nelle prigioni di Rubiera forti per luogo e per munimenti e forti per pel presidio che vi teneva il Vitfrust stesso.Rafforzato il Presidio si tennero levati i ponti, chiusi i cancelli, le scolte sui bastioni, le ronde all’intorno ed all’esterno della Rocca. Fu proibito con severo divieto che avessero visite e si affiatassero persino colle guardie per temanza che rannodassero tela con la loro fazione. Dura fu la loro prigionia nei primi giorni perché sospetti e mal securi essendo cittadini potentissimi per credito, per mezzi e per influenza; non valse ai Rangoni l’offrire sicurtà per essere ricondotti a Sassuolo o alla Mirandola; ma saputo dalle loro mogli la durezza e il rigore della loro relegazione instarono con maggiore calore presso il Vitfrust perché volesse allargare la prigionia. Ma il Vitfrust voleva promessa da detti Conti che non fuggirebbero, e più volle una cauzione; e l’una e l’altra furono date obbligando le loro mogli le rispettive doti a 50 cittadini, i quali offrirono per ciascuno la guarentigia di Ducati 200. Sotto la salvaguardia di tali cauzioni fu loro lasciata libertà di passeggiare per la Rocca. A ciò però non si tennero rassegnati i due illustri prigionieri, che ben tosto forti di aderenti e di partigiani, e più forti dell’influenza dei loro mezzi e del loro nome meditarono mezzo ed opportunità di liberarsi di quella dura prigionia e di sottrarsi alla sorveglianza e persecuzione del Vitfrust. Coll’aiuto di un suo servo fedele, audace ed arrischiato fu condotta una congiura contro il Podestà del luogo, alle ore 10 antimeridiane del 2 Settembre per mano del loro servitore suddetto venne ucciso il Castellano Messer Giovanni de’ Compagni e così dopo 87 giorni di prigionia, uscirono di prigione i detti Conti e si impradonirono della Rocca del Castello di Rubiera pretestando di tenerla in nome della Maestà Cesarea. Presero ed improgionarono il presidio che li guardava, e da prigionieri si fecero Signori del luogo armandolo e difendendolo. All’annunzio di tale avvenimento Modena cominciò ad agitarsi e più la fazione di cui erano capi i Rangoni. Per lo chè il governatore Duro, temendo di sommossa, fece chiudere le porte della città. Fè provvigioni perché non mancasse il pane al Popolo, e chiamò soldati da Bologna per guardia della città e cacciarono la fazione dei Fogliani che teneva pei Rangoni. Il Governatore Andrea Duro accompagnato da 200 cavalli della Chiesa venne a Rubiera per parlare ai detti Rangoni i quali si riiutarono di andare alla porta Soccorso.. Tornò il Durro con M.Antonio da Thiene comandante della gente Cesarea invitando i Ranghoni a restituire la fortezza alla Maestà Cesarea, ma essi dissero di aver mandato un Messo e di non restituirla che al suo ritorno. Il da Thiene tornò a parlamentare, e fu accettata la sua mediazione per trasmettere alla M.a C.a li capitoli circa la restituzione. Irritato a tanta resistenza Andrea Duro proibisce sotto pena di ribellione il prendere favore per li Rangoni. Mentre si temporeggiava a 25 ottobre dell’anno stesso viene la nuova della morte di Sismondo. Una tale novella portò la costernazione nella Casa Rangoni e specialmente in Costanza, moglie dell’estinto, alla quale fu fatto comandamento di non abbandonare Modena sotto pena di ribellione e confisca dei suoi beni e quelli pure del marito. Povera donna non bastava negarle di comunicare col marito vivente, se gli negava persino la vista del cadavere. Se quanto dolente e contristata restasse la povera Signora è più facile immaginarlo che esprimerlo. Ad aggravare l’amarezza della perdita mille pensieri, strazianti sospetti si affollarono alla mente dell’infelice. Fu un delirio di dolore e di furore. La subitaneità della morte involgeva ed era involta nel mistero; nel mistero il sospetto: il luogo, le circostanze il tempo lo avvolaravano. Il dubio era più terribile della certezza. Checchè ne potesse avvenire l’infelice si appigliò al partito di voler vedere il cadavere. Ma la disperata risoluzione fu attraversata da prepotenza di comando, e di minaccia.
Ma la Costanza pianse tanto che ottenne di poter condurre a Modena il corpo dell’estinto marito. Fu posto il cadavere dentro una cassa speciale e tenuto nella Rocca con torcie accese giorno e notte, finchè si presentasse opportunità di trasportarlo a Modena.
Finalmente cacciato il Vitfrust da Modena, e presone il possesso in nome di Papa Leone X° da Fabiano Lippi di Arezzo, il Conte Guido cui si era unito Iacopo Fogliani, nel Maggio con 200 cavalli venne ed entrò in Modena; e ai 20 di Giugno dell’anno stesso restituì Rubiera al Papa a fronte di ducati 1500, e £.400 l’anno di provvigione.
1544.- Francesco Richardot elomosiniere pusillamine della Duchessa Renata di Ferrara per ordine di Ercole II° che già l’aveva imposto alla Duchessa, fu gettato nelle segrete della Fortezza di Rubiera sopra una incolpazione gravissima. Quale? Non si sa.
Tutto l’affare fu contornato da un grande mistero, e per lungo tempo dopo il pover’uomo non osava spiegarsi su questo affare. Ma se il motivo allegato ufficialmente per il suo arresto è sconosciuto, lo scopo ne è realmente bene evidente. Si fece firmare a Richardot davanti al cavalletto un biglietto compromettendo la Signora Di Pons che Ercole desiderava scacciare dalla Corte.
. “………La scoperta delle relazioni confidenziali di Renata col Sig.r Di Pons era giunta al Duca in un momento favorevole, e col solo farne cenno avrebbe compromesso l’onore proprio, ma non era possibile che il Cavaliere e la Dama non commettessero qualche imprudenza da scontare per tutto. Questa volta l’inquisizione non vi entrò per nulla, il colpo tremendo fu fatto coll’imprigionare certo Francesco Richardot, elemosiniere di Renata, che di eresia non era neppure sospetto e di sottometterlo all’esame il più rigoroso. In Francia dove si conobbe subito l’importanza del caso si disse chiaro che le deposizioni di Richardot avevano rovinato la famiglia De Pons. E i Pons furono talmente spaventati che si sottrassero all’ira del Duca con la fuga e trovarono rifugio nel territorio del Serenissimo Dominio…..”
Richardot stette lungo tempo nella prigione di Rubiera, dove il Duca sembrava averlo dimenticato. Egli scriveva delle lettere disperate, il 16 Marzo e 23 genajo 1548, al Duca. Finalmente Ercole si lasciò commuovere e Richardot potè ricominciare il corso della sua vita avventurosa. Dopo 20 anni da ciò lo si trova occupante il seggio Episcopale d’Arras 11 novembre 1561.
A Ricardoto uomo di grande bontà era caduta una tegola sopra il capo e non credeva a se stesso, e rispettosamente scriveva al Duca dal suo carcere di Rubiera firmandosi Ricardotus Vinctus come a dire il povero carcerato. Per lui poi per la sua qualità d’elemosiniere e per al sua qualità di Francese, forse d’origine Belga, si interessò il Nunzio a Roma, ma quantunque le sue colpe fossero leggere, dovette essere interrogato formalmente e dovette scrivere la verità quale fu concepita in questi termini:
“Io Francesco Ricardoto prete, confesso e affermo come ho già dichiarato a V.S. (al Duca) di avere interrogato la Signora Partano (Di Pons) se fosse vero che Vostra Eccellenza paresse più lieto quando la Signora Duchessa stava ammalata, e paresse di peggior animo quando essa Illustrissima ritornava in salute, e che allora la medesima Signora di Partano mi ha risposto che era vero”.
Francesco Richardot era uno di questi intriganti dalle convinzioni accomodanti che pensano a spingersi avanti a forza di scaltrezze e vi riescono spesso, intelligente sapendo l’mpresa adatta a tutto fuorchè al ministero al quale si era votato. Per tempo egli aveva rivestito l’abito degli Eremitani di Sant’Agostino; nominato Professore di Ecologia a Tournay, le sue lezioni furono così brillanti che lo si chiamò a Parigi, colà conobbe Calvino e adottò in parte le sue idee, ciò che gli valse delle gravi questioni con la Sorbona. Allora abbandonò la Francia e venne in Italia dove fece di nuovo professione di catolicismo. Oggi altamente devoto alla Santa sede, ieri partigiano intemperante della Riforma aveva fatto mostra di opinioni le più opposte con la medesima sincerità cercando senza cessa di prepararsi degli appoggi dalle due parti e ad ingannare tutti. Il Duca si era preso dalle sue belle apparenze e forse anche la Duchessa ……….. Richardot aveva dunque saputo farsi gradire a Corte e quello che è più di acquistarsi una certa influenza. Renata trovava in lui un direttore facile che l’ascoltava senza provarle che egli aveva mezzo d’accomodare le sue credenze intime con le esigenze del Duca, che essa poteva perfettamente andare alla Messa purchè questo fosse senza convinzione, confessarsi purchè essa non credesse all’assoluzione, cedere sulla forma a condizione di restare inalterabile quanto alla sostanza. Questa politica che la Duchessa doveva essere più tardi costretta a seguire un momento appoggiata da ragionamenti speciosi che furono sul punto di sedurla. Richardot coi suoi sofismi avrebbe trionfato quando la violenza avesse mancato …..
(Vedere Hodocanacchi – Renata di Francia Duchessa di Ferrara e Fontane./ Ronchi Conte Alfonso Antonio – Memorie dell’accaduto sotto il Governo di Rinaldo I° – Bib. Estense Modena).
1615.- Il Duca ordina che sia allestita la prigione lunga piedi 13 e larga 3 e più sicura delle altre per custodirvi il prigione che si manderà nella notte. Che dovè essere il Conte Girolamo Montecuccoli,che per ordine del Duca stesso fu nell’ottobre dell’anno stesso, ristretto di più nella sua prigione.
1621.- Il Governatore Cinciulli mette nella Cantona (le prigioni d’ordinario prendevano il nome dell’ultimo prigioniero ) (e allora perché tal nome?) il Cavaglier Germanico Castelvetri e Pio Obizzi forse sospetti di compartecipazione alla congiura scoperta nell’anno stesso contro il Principe Alfonso. Del 1625 l’Obizzi è ancora in prigione e guardato con strettezza; si tiene levato il ponte che mette alla Rocca, una sentinella di continuo sotto la prigione; frequenti le visite diurne e più le notturne: si perquisisce e non gli si permette copia delle sue poesie.
1629.- Il Conte Tommaso Sacrati era in prigione a Rubiera per aver maltrattato e minacciato il Governatore.Il Sacrati uomo robusto e traccotante ebbe dapprima questione vivissima colla Curia di Reggio per ragioni di giurisdizione. Sia che il Governatore s’impigliasse in quella contesa, sia che per violato privilegio, il Sacrati lo affrontò sulle porte del Paese e lo avrebbe ucciso se qualcuno non si fosse interposto.
1662.- Forse il Pariati è il prigioniero che fu mandato nell’Obizza.
1663.- Il podestà Barozzi riferisce che tre sono le prigioni principali che si trovano nella Rocca di Rubiera, cioè l’Obizza, la Gualtieruzza e quella delle donne. Chi fu quel Gualtieri che diè il nome a quella prigione?
1674.- Il Conte Zoboli Girolamo era in prigione nel così detto Forno del Mastio della Rocca.(Lungo, stretto, angusto e cupo corridoio da cui si aveva accesso alle prigioni, in fondo al quale si trovava l’orribile Forno). Chi era lo Zoboli, per qual titolo era imprigionato e come finì?
1680.- Il Conte Guido Coccapani piagato e oppresso da febbre carceraria viene portato in una prigione del Palazzo Comunale: ritornato al carcere duro e ridotto per malattia in pericolo di vita viene dal gesuita Betti confessato. Sarebbe per avventura stato compartecipe o sospetto della congiura, dalla quale fu preservato il Duca in tale anno; e per la quale nel giorno di S.Croce il Comune stabilì di ringraziare ogni anno la Divina Maestà?
1684.- Il Conte Ippolito Carandini trovasi prigione nella Rocca; evade in detto anno e si rifugia in luogo immune. Contro l’immunitaà e di viva forza imprigionato di nuovo e ritorna alla Rocca nel 1685 e di nuovo evade. Ripreso ancora viene dannato a quella orribile prigione che da lui prese il nome ove morì nel 1688 appeso ad una spranga o catena che attraversava il carcere.
1697.- Il Conte Antonio Galeazzo Malvasia a 16 Aprile d’ordine del Duca è condotto in prigione nel cosidetto Forno. A 9 Maggio gravemente ammalato si confessa; a 29 Novembre vive tuttora ma sempre ammalato.
1698.- 21 Ottobre. Il giorno suddetto ben per tempo condussero in Rubiera d’ordine del Serenissimo, il Conte Gio. Maria Sacrati reggiano a causa d’essere stato più volte trovato ad usare ne sotterranei della Cattadrale con una pubblica meretrice.
(N.d.A) Sui prigionieri del ‘600 potrebbero forse riscontrarsi le rispettive epoche colla cronaca dello Spaccinni, che esiste presso la Comunità di Modena.
1821.- La commissione Stataria quivi eretta dall’infame Francesco IV° per giudicare i Franco-Muratori chiuse i suoi processi indegni colla morte dell’infelice D.n Andreoli, che capro espiatorio, lasciò sul patibolo la testa. Ricordanze infantili.
“Troppo avrei a dire se dei singoli avessi a raccontare i casi e i patimenti speciali; dirò solo del povero D.n Andreoli di S. Possidonio che quivi miseramente finì di vivere.”
“Sulle 11 e mezzo antimeridiane cominciò il rintocco acuto e stridente della campana del Bargello comunemente detta degli sgherri, e sortiva il paziente sostenuto a braccio dall’Arciprete D.n Chierici e da un Capuccino; era in abito secolare di rigato, avvolto il capo in una benda o fazzoletto; procedeva lento e vaccillante. Il “borghetto”, piazzale fra la porta di Reggio e il forte era deserto, silenzioso e squallido come un cimitero; solo sulla cortina fra la porta e il forte si vedeva qualche gruppo di curiosi ma mesti ed esterefatti dalla compassione e dallo spavento. Io ancor fanciulletto corsi perché condotto a prendere posto a poca distanza dal palco, ma poco o nulla vidi. Solamente il mettersi in armi dei soldati all’arrivo del condannato; ricordo lo strepito dei tamburi quando montò il palco; veggo ancora quel teschio sanguinante mostrato dal boia non al popolo ma ai soldati; mi suona confusa la voce del Chierici che disse parole di dolore sulla miseranda catastrofe, e soprattutto ricordo l’improvviso temporale che come maledizione di Dio successe al sereno della giornata. Fu levato il cadavere che fu dalla Confraternita portato e sepellito nel vecchio cimitero. Sparve il patibolo, sparve la scure, sparve l’apparato militare, ma non sparve la ricordanza nel popolo di quel sacrifizio di sangue, e le madri nostre ci conducevano al requiem sopra quel terreno ove spirò l’innocente.
1831.- Dopo lungo e doloroso esiglio i compromessi nella rivolta del 1831, ricuperavano la Patria a prezzo della prigione: e quivi non pochi aspettarono la grazia della libertà. Il Guerzoni, il Tirelli da ultimo, e prima non dura fu la loro prigionia se non fosse stata molestata dalle indiscretezze e stupidità di un Comandante de Escalera. Più degno di fare lo sgherro che il Comandante di Presidio.
1850.- Il povero Ingegnere Francesco Montanari di Ravarino, vinto ma non domo dai tristi casi del 1848 e ’49; dopo di avere preso parte all’eroica difesa di Roma, con quell’anima che vince ogni battaglia, con altri generosi si unì in congiura per tentare nuovo colpo a danni dell’Austria: scoperti ed imprigionati, ebbe a patire nelle carceri di (Mantova?) tutte le persecuzioni di cui è larga l’Austria a suoi nemici,e mentre aspettava la pena capitale di cui altri suoi facii erano già stati vittime, una amnistia o condono di Francesco Giuseppe II li fe liberi. Ma libero non il Montanari che fu consegnato dal Governo Austriaco al nostro, il quale volle fargli scontare per conto proprio il delitto commesso contro la nemica comune. Fu quindi per grazia speciale condannato a 10 anni di carcere nella Rocca di Rubiera. Ma lui fortunato che quivi trovò amici; e la moglie del comandante e il comandante stesso che gli allegrò il carcere. Convertita la prigione in esiglio, lavorò ad affrettare il momento della libertà. Pugnò bravamente con Garibaldi in Lombardia nel 1859, e nel ’60, fra i primi, si spinse in Sicilia, ove morì a Palermo di onorate ferite riportate a Calatafimi, primo combattimento nell’impresa di Sicilia.
(N.d.A.)-Il Conte Fulvio Testi Commendatore di S.Iago, morì d’anni 53 e fu sepolto in S.Domenico a 28 Agosto 1646. Esso non fu mai nelle prigioni di Rubiera come dimostrò il Tiraboschi nella vita che scrisse del Testi.
(Raccogliere dalla tradizione quanto di meglio ci venga tuttora ricordato sulla posizione, forma e struttura di queste prigioni; sull’epoca della loro distruzione; e così quanto può illustrare la Rocca nelle sue ultime modificazioni e trasformazione)
Più che per la loro orridezza furono celebri di trista rinomanza le nostre prigioni per l’oggetto cui servivano, cioè a prigioni di Stato. Così che i condannati a codeste prigioni erano commiserati come perduti; donde ne venne il nome di Sasso, forse perché il mastio roso e sgretolato dal tempo mostrava il sasso, come tuttora vediamo.
Nel 1200 e 1300 lo vediamo servire specialmente a Prigioni di guerra e ciò per la fortezza del luogo, e per la sicurezza di buona guardia, atteso al costante presidio con cui era tenuta.
Vediamo di fatto nel 1201 che i prigionieri modenesi fatti dai Reggiani nel fatto di Sanguinara quivi erano costuditi e condannati a lavorare al Terrato di cui si voleva cinto il nuovo Fortilizio. Più tardi nel 1285 i Modenesi scambiavano con i Sassolesi i prigionieri che tenevano in Rubiera. (Come mai i Modenesi occupavano Rubiera in quell’epoca, mentre Rubiera apparteneva ai Reggiani?)
Nel 1300 non trovo memoria di prigionieri illustri.
Sulla fine del 1400 le trovo già costituite in prigioni di Stato per delitti di lesa Maestà o per sospetti di simili delitti.
Dopo il 1523 in cui Alfonso ricuperò Rubiera dalle Armi del Papa, e ne afforzò la cinta, ed afforzò il Cassero della Rocca, dovettero essere riformate le prigioni che servirono fino alla fine del 1700 e qui acquistavano la trista celebrità di prigioni di Stato.
Venuto Napoleone fu abbattuto tutto l’interno della Rocca, e rifatti i fabbricati che ne contornavano il cortile, sani ariegiati quanto era possibile, e furono destinate a reclusorio dei recidivi a processo aperto; e così per le migliorate condizioni di luogo perdè quell’orrido che la rendeva spaventosa, ma non tolse il ribrezzo che la tradizione conservava avvalorato dall’orrido e squallente aspetto del suo esteriore (Il muschio e l’edera delle grigie diroccate muraglie fatte nidi di pipistrelli e di nottole dove striscia la biscia e vi annida l’insetto).
Restaurati i vecchi domini, benchè mutate sostanzialmente le cose furono ancora tornate prigioni politiche; e nel 1821 quivi sedente fu eretta la Commissione Stataria a condannare i rei o sospetti di Franca Massoneria.
(N.d.A.)- Accertarsi della prigione del povero D.n Andreoli. Come pure degli altri suoi compagni d’infortunio. La prigione, il processo e l’esecuzione.
Dopo il 1831 quivi ancora furono chiusi i prigionieri politici di minore considerazione preferendo di tenere quelli di maggior rilievo sotto la mano nella fortezza di Modena, e perché affranti dai patimenti dell’esiglio fecero la loro sottomissione o ritrattazione. Ultimamente il povero Montanari vi passò non pochi mesi in aspettativa della grazia di un esiglio perpetuo.
Fra le prigioni celebri d’Italia si contano la Muda di Pisa, i Forni di Monza, i Pozzi di Venezia, le Zilie di Padova (Le Zilie che Ezelino fabbricava in fondo alla Forlanga nel spavento dei Padovani) e i piè di torre che trovansi ad ogni Castello.; celebri non tanto per “illustri prigionieri”, quanto per la natura orribile delle prigioni stesse. In più ristretta cerchia ebbero pure rinomanza trista se non celebre le prigioni del Sasso di Rubiera (Le prigioni che si chiamavano “il Sasso”, forse perché i dirupamenti e le rovine mostravano a nudo il sasso e i scocci di cui era formato il ripieno degli enormi muri che formavano la cinta della Rocca stessa), le quali servirono per non corto tempo a prigioni di Stato. Di quelle prigioni non restano più che la Carandina e la cosi detta
Prigione del Duca, perché si vuole che Ercole vi facesse tener guardato suo figlio o Principe di Scandiano: le altre furono distrutte dal tempo come quella delle Donne di cui caduta la volta non fu più rimessa; e il Forno famoso fu distrutto sulla fine del secolo passato (1700) quando si ricostruì l’interno della Rocca.
L’estremo supplizio subito quivi dal misero Andreoli venne a rinfrescare il ribrezzo che la tradizione conservato aveva per quelle prigioni, tradizioni che il tempo, il lungo intervallo del non uso, e le mutate condizioni di luogo aveva rese languide e scolorite come di una memoria di cui non esisteva più testimonianza. Le prigioni antiche di storica rinomanza erano l’Obizza, la Gualtieruzza, la Cantona, il Forno e la Carandina. Le altre furono distrutte nella riforma dell’interno della Rocca, o diroccate dal tempo. Per quanto ho potuto rilevare da chi le vide, le principali di cui sopra erano nella grossezza della cortina che congiunge i due bastioni che guerdavano il Paese; altre ve n’erano pure sotto la gran rampa scaloni che serviva a condurre o trascinare le ariglierie sui bastioni e sulle cortine. La porta di una di queste ora trovasi nella Ghiacciaja di ragione del Comune.
Trasformazione della Prigione a piè di torre del Comune.
Nel 1850 vedevasi ancora una prigione A Piè di Torre de Palazzo Comunale, larga quanto la torre stessa a forte massiccia volta con larga e quadrata finestra che guardava sotto il portico in faccia a quella Madonnetta, che ancora si vede all’interno del pilastro del portico. Basso e stretto ne era l’ingresso nell’andito terreno del Palazzo. Annerita dal tempo e dal fumo era cupa e squallida. La cupezza e lo squallore la rendevano orrida. Sopra questa prigione altra pure ve ne era al piano superioredove si tenevano i prigionieri sotto processo.
Codeste prigioni erano di ragione comunale e servivano al criminale dal Comune stesso dipendente.
La prigione a piè di torre serviva ai tempi nostri alla corrispondenza da provincia a provincia.
Nel 1850 venne pensiero di utilizzare quel locale di ragoine Comunale e fu convertita in una bottega, vi fu apposta una lapidetta di marmo che falsa tradizione e mentisce ai fatti e alla storia. La triste rinomanza delle ptigioni della Rocca e quell’orrendo e vetusto carcere porta a credere che ivi esistesse una di quelle prigioni del mezzo tempo, che non mancavano nei castelli de’ feudatari; ove i disgraziati si dannavano a precoci sepolture. Non fu avvertito che passando quel locale ad altro servizio, quell’iscrizione non aveva più ragione, perché “il confortevole ricetto” non era costituyito dalla natura della riduzione, ma dall’uso che ne faceva il conduttore.
“qui si vuole osservare che se “confortevole ricetto” non è costituito dalla natura della riduzione, ma dall’uso che ne faceva il conduttore, ciò non toglie per nulla il monito a chi ebbe il civile pendiero, il quale ha sua lode, non già nell’uso che ne possa fare alcun conduttore, ma si bene nell’aver tolto al luogo medesimo il suo orrido carattere di prigione. E questo non solo è conforme ai sentimenti di civiltà, ma sì ancola a quelli dell’umanità la quale a tutti impone le sue leggi. E più si dee lodare il pensiero, perché se le carceri che furono in Rubiera, mai non fossero state tolte per tempo, non avrebbe purtroppo a quel nome a ricordare sevizie di tempi lontani e vicini, non il sangue del mozzo capo di un martire di cui è ancora bagnata quella terra. Non è più qui questione di partito, è questione di quei sentimenti umanitari i quali sono da aversi in proprio presso ogni popolo civile”. La iscrizione che fu posta sul luogo è la seguente:
CONTRO LA MEMORIA DI QUESTO CARCERE ORRENDO
QUESTO LUOGO
A GENTIL FORMA DI CONFORTANTE RICCETTO
IL COMUNE DI MODENA
PLAUDENTE IL GOVERNO
PER CURA DEL SUO GERENTE DOTT. GIO. PRAMPOLINI
A PUBBLICO BENEFIZIO MUTAVA
SUL DECLINARE DEL MDCCCIL
Estratto della sentenza del Tribunale Statatrio Straordinario, residente in Rubiera per giudicare i rei di Lesa Maestà e di associazione a sette.
- Conti Francesco di Montecchio, detenuto condannato alla pena della morte.
- Andreoli D.n Giuseppe di S. Possidonio Prof.re di umanità cond.to alla pena della morte.
- Conti Sante di Montecchio, contumace, cond.to alla pena della morte.
- Bosi Prospero di Montecchio, contumace, cond.to alla pena della morte.
- Franceschini Carlo di Barano, contumace, cond.to alla pena della morte.
- Grillenzoni Conte Falloppio di Reggio, contumace, cond.to alla pena della morte.
- Pirondi D.r Prospero di reggio, contumace, cond.to alla pena della morte.
- Sidoli Giovanni di Montecchio, contumace, cond.to alla pena della morte.
- Umiltà D.r Pietro di Montecchio, contumace, cond.to alla pena della morte.
- Ferioli Giacomo della Gaida, detenuto, cond.to alla galera a vita.
- Caronzi Franco di Montecchio, detenuto, cond.to a 20 anni di galera.
- Peretti Avv.Luigi di Modena, detenuto, cond.to a 20 anni di galera.
- Ferioli Giambattista di Colorno (dom.to in Gaida), detenuto, cond.to a 20 anni di galera.
- Barbieri Biagio di S.Ilario, detenuto, cond.to a 20 anni di Galera.
- Maranesi Francesco di Modena, comandante nell’Armata Italiana, detenuto, cond.to a 20 anni di galera.
- Alberici Giuseppe di Brescello, detenuto, cond.to a 15 anni di galera.
- Moreali Lodovico di Reggio, detenuto, cond.to a 10 anni di galera.
- Zuccoli di Modena, detenuto, cond.to a 10 anni di galera.
- Pampani Avv. Antonio di Montecchio, detenuto, cond.to a 7anni di carcere.
- Malagoli Gianandrea di Modena, ex Capitano delle Truppe Italiane, detenuto, cond.to a 7anni di carcere.
- Latis Israele di Modena, ex ufficiale nelle Truppe Italiane, cond.to a 7anni di carcere.
- Bolognini francesco di Reggio, contumace, cond.to a 7 anni di carcere.
- Borelli D.r Giuseppe di Modena, contumace, cond.to a 7 anni di carcere.
- Levesque D.r Pietro di Modena, contumace, cond.to a 7 anni di carcere.
- Boni Domenico di Gaida, detenuto, cond.to a 5 anni di carcere.
- Sanguinetti Benedetto di Modena, ufficiale nell’Armata Italiana, detenuto, cond.to a 5 anni di carcere.
- Sacchi Antonio di Mirandola, detenuto, cond.to a 5 anni di carcere.
- Panisi Luigi di Novellara, detenuto, cond.to a 5 anni di carcere.
- Fattori D.r Carlo di Saerano, detenuto, cond.to a 5 anni di carcere.
- Fattori Giuseppe di Saerano, detenuto, cond.to a 3 anni di carcere.
- Lolli D.r Flaminio di Mirandola, detenuto, cond.to a 3 anni di carcere.
- Lamberti Carlo delle Quattro Castella, detenuto, cond.to a 3 anni di carcere.
- Belloli D.r Cristoforo di Scandiano, detenuto, cond.to a 3 anni di carcere.
- Zucchi Carlo di Reggio, ex ufficiale delle Truppe Italiane, detenuto, cond.to a 3 anni di carcere.
- Nizzoli Antonio di Brescello, detenuto, cond.to a 3 anni di carcere.
- Cavandoli Gianbattista di Canossa, detenuto, cond.to a 2 anni di carcere.
- Morandi Francesco di Modena, detenuto, cond.to a 2 anni di carcere.
- Gazzadi Domenico di Sassuolo, detenuto, cond.to a 2 anni di carcere.
- Manzini Camillo di Carpi, detenuto, cond.to a 2 anni di carcere.
- Lolli Ippolito di Mirandola, detenuto, cond.to a 2 anni di carcere.
- Ragazzi Giovanni di Mirandola, detenuto, cond.to a un’anno di carcere.
- Urbini Fortunato di Modena, detenuto, cond.to a un’anno di carcere.
- Rossi Fortunato di Novellara, detenuto, cond.to a un’anno di carcere.
- Montanari D.r Francesco di Ravarino, detenuto, cond.to a un’anno di carcere.
- Cannonieri D.r Giuseppe di Modena, detenuto, cond.to a un’anno di carcere.
- Carpi Sandro di Reggio, detenuto, cond.to a un’anno di carcere.
- Zanibelli Pietro di Csalmaggiore, detenuto e condannato al carcere sofferto ed all’esiglio.
Il Tribunale stesso
Decretava che l’esecuzione della pena capitale doveva avvenire: “nello spazio di terreno di ragione pubblica che rimane a ponenete del Forte fra le due vie che si diramano dalla strada Emilia di Reggio divergendosi l’una a mezzo giorno verso l’ingresso del Paese, l’altra a levante all’intorno del medesimo luogo che si è ravvisato a tal uopo conveniente, non tanto per la sua vicinanza al Forte in cui sono detenuti i rei, quanto per la necessaria esemplarità essendo sulla strada Postale presso i confini dei territori di Modena e di Reggio”
Il detenuto Manzotti Giovanni di S.Ilario colpito da aberrazione mentale e per tale riconosciuto da giudici competenti fu rimesso a disposizione del Governo per la necessaria cura.
Rubiera à 11 settembre 1822
Consigliere Avv.to Vincenzo Mignani, Presidente
Consigliere Avv.to Giacomo Mattioli, Giudice
Consigliere Avv.to Alfonso Infesci, Giudice
D.r Giuseppe Verini, Cancelliere
D.r Domenico Giglioli, Cancelliere
Francesco IV° confermava la sentenza a morte e di carcere contro i contumaci cioè contro:
(1°) 1° Bosi Prospero
2° Conti D.r Sante
3° Franceschini D.r Carlo
4° Grillenzoni Conte Giovanni
5° Pirondi D.r Prospero
6° Sidoli Giovanni
7° Umiltà D.r Pietro
8° Bolognini Francesco
9° Borelli D.r Giuseppe
10° Levesque D.r Pietro
(2°) Confermava la sentenza contro i detenuti negativi, cioè
11° Perotti Avv. Luigi
12° Ferioli Gianbattista
13° Barbieri Biagio
14° Moreali Lodovico
15° Zuccoli D.r Ippolito
16° Panisi Luigi
17° Fattori D.r Carlo
18° Fattori Giuseppe
19° Zucchi Carlo
20° Nizzoli Antonio
21° Cavandoli Giovanbattista
22° Morandi Francesco
23° Manzini Camillo
24° Cannonieri Giuseppe
25° Carpi Evandro
26° Zanichelli Pietro
(3°) Confermava la sentenza di morte contro:
27° Andreoli Don Giuseppe per essere seduttore della gioventù e più reo per la sua qualità di Sacerdote e di Professore, della quale si è abusato per attirare la gioventù nella Società dei Carbonari e più per non avere confessato che quando si trovò convinto dalle molte prove che la Giustizia aveva contro di Lui. (N.d.A.- Motivi e titoli che non appariscono nella sentenza Stataria)
(4°) Si fa grazia della pena di morte a:
28° Conti Francesco per aver coadiuvata l’Armata Austriaca e dì suoi alleati a prendere possesso dè Stati Estensi.
(5°) Confermava la sentenza contro:
29° Ferioli Giacomo
(6°) 30° A Caronzi D.r Gianandrea diminuiva per grazia di cinque anni la pena della galera per 20 cui era condannato.
(7°) 31° A Francesco Morandi confermava la condanna
(8°) 32° A Giuseppe Alberici faceva grazia di tre anni.
(9°) 33° All’Avv. Pampani, Giovanni Malagoli, Israele Latis, Benedetto Sanguinetti faceva grazia di due anni
(10°) 37° Ad Antonio Zucchi faceva grazia di due anni di pena.
38° ” Domenico Boni ” ” ” ” “
(11°) 39° A Flaminio Lolli confermava la sentenza.
(12°) 40° A Carlo Lamberti condonava un’anno di carcere.
41° A Belloli Cristoforo ” ” “
(13°) 42° A Domenico Gazzadi condonava la quota parte della pena di due anni di carcere cui era condannato.
(14°) 43° A Ippolito Lolli condonava un’anno di carcere.
(15°) 44° A Giovanni Ragazzi limitava la pena a 6 mesi di carcere.
(16°) 45° A Fortunato Zerbini riduceva a 6 mesi la pena di un’anno cui era condannato
46° A Fortunato Rossi ” ” ” ” ” “
(17°) 47° A Francesco Montanari confermava la sentenza.
(18°) 48° Manzotti Giovanni si riterrà come un pazzo prigioniero finchè si possa contro di esso ulteriormente procedere.
Francesco
Cattajo 11 Ottobre 1822
STORIE DI PRIGIONIERI ILLUSTRI.
Prigionia di Pietro Pariati Poeta Reggiano.
Pariati Pietro di Reggio penò per non breve tempo nelle prigioni della Rocca di Rubiera. Il Tiraboschi scrive nel Tomo IV° della Biblioteca Modenese, che dalla prigionia del Pariati confermavasi una costante tradizione in quel Castello, e la tradizione era tuttora confermata dalle rime e da alcune Poesie scritte di sua mano sulle pareti della seconda di quelle prigioni, denominate le Cortesi, oltre più altre, che o dalle ingiurie del tempo, o da altri che vi furono poi chiusi o da mani sacrileghe, sono state cancellate.
Il Sig. Giambattista dall’Olio le trascrisse con somma esattezza, le trasmise al Tiraboschi che le ricordò nella sua biblioteca Modenese, e si leggono ancora nella Biblioteca medesima. Sulle cause e patimenti e decreta della sua prigionia qualche cosa potrà rilevarsi dalla Filza dei Letterati nell’Archivio secreto, ove esiste una relazione del Medico ed alcune lettere del Pariati stesso; come ancora dalle due lettere dello stesso che esistono presso Prospero Viani di Reggio.
Sullo scorcio del secolo decimonono era ancor viva in questo Castello la tradizione della prigionia del Pariati.
Trovo nel Tiraboschi Bibl. Mod. che all’articolo Pariati per relazione del Dall’Olio che si trovava in Rubiera nel 1786, le prigioni vecchie erano denominate Le Cortesi: perché mai ebbero tal nome, il quale dovè esser loro imposto sul cominciare del 1700, perché in antecedenza le troviamo costantemente denominate la Obizza e la Cantona.
Della prigionia della Marchesa Frescobaldi di Firenze, maritata col Conte Parisetti di Reggio.
Dalle notizie Biografiche e Letterarie di Giambattista dall’Olio raccolgo che la Contessa Maddalena Maria Parisetti, nata Marchesa Frescobaldi di Firenze, fu relegata nelle prigioni di questa Rocca fin dal 1778. Ivi forse dannata ad espiare per trascorsi di troppo focoso temperamento o di troppo romanzesca immaginazione. Donna d’altronde di ingegno coltissimo, e di filosofica fermezza. Quale fosse di preciso carcere di sua relegazione non si conosce; probabilmente fu quello di rincontro alla Carandina in vetta al Bastione che sovrasta alla vecchia porta, e che porta tutt’ora il nome di prigione delle Donne. Lei fortunata perché se non consolazione trovò alleviamento alla solitudine e tristezza del carcere nell’amicizia del Dall’Olio, il quale le prodigò le più fervide e sincere premure. A Lei, che amante era di musica, le apprese a sonare il salterio espertissimo che ne era; di Lei si valse nei suoi studi e corrispondenze il Dall’Olio come Segretario, della valentia letteraria della Signora ne fa fede il Tiraboschi in una sua lettera al Dall’Olio ove scrive: “..sfido a mostrami un Sovrano che abbia avuto un Segretario di egual mente e di eguale dignità..”. E per Lei pure fabbricò un salterio nel quale appose la seguente iscrizione:
Di marzo il giorno nove
Dell’ottanta sul Mille e Settecento
Me in Rubiera costrusse
Giambattista dal’Olio, e disse: vanne
Alle nevose mani
Di Lei, che un dì le Grazie
Lattaron d’Arno sulle sponde amene;
olè nessun mi tocchi: io son d’Irene.
Quanto durasse una tale relazione non conosco. Durava però tutt’ora nel Maggio 1781 come viene testimoniato dalla lettera succitata del Tiraboschi. Forse dall’Archivio Parisetti, e dagli autografi del Dall’Olio che si conservano presso il Sig. Carlo Malmusi; e il Sig. Conte Ferrari Marani, potrà rilevarsi alcun che delle cause e durata di tale relegazione.
Del Conte Fulvio Testi di Modena.
Il quadrio nel Tomo II pag.na 314 della Storia e della Ragione d’ogni Poesia dice “…che la Canzonetta Ruscelletto Orglioso fu il principio della ruina del Testi. Coloro che aveva preteso di guenciare (fuggire) sotto quell’alegorico componimento, fattine accorti dagli Emoli di esso Conte, per contracambiarlo, palesarono la sua Infedeltà al Duca, suo Padrone e Sovrano…”. Ciò condusse questo povero Poeta a lasciare la testa sotto il carnefice il che accadde privatamente in Rubiera a 28 Agosto 1646. Da quanto osservava il Tiraboschi ebbe titolo di Commendatore di S.Iago; morì d’anni 53 a Modena e fu sepelito in S.Domenico, e se pure fu nelle prigioni di Rubiera, ciò dovè essere nei primi tempi del suo imprigionamento: il che non è provato. (Dal Tiraboschi è abbastanza provato che il Testi non fu mai a Rubiera prigioniero).
Il Dall’Olio si occupò specialmente del Testi e le sue memorie si trovano presso il Sig. Carlo Malmusi.
Prigionia del Conte Tommaso Sacrati Governatore dell’Ospizio de Pellegrini.
Intorno al 1676 Tommaso Sacrati ebbe a sostenere una vivissima questione contro la Curia di Reggio, la quale non rifiniva con arti insidiose e con aperte violenze di attentare alla pienezza di giurisdizione che la Casa Sacrati e per investitura secolari, e per ragioni di inquiestionato possesso, esercitava sull’Ospizio dei Pellegrini. Il Governatore s’impigliò in quella contesa e ne nacque ferocia fra i due personaggi. Il Sacrati robusto e tracotante non sapeva patire di vedersi sovverchiare da uomo di autorità non propria. Irritato dal vedersi minacciato nei suoi privilegi, affrontò il Governatore sulla porta di Rubiera; passò alle minaccie e lo avrebbe ucciso di spada se non fosse stato deviato il colpo. Non poteva passare impunito un atto di violenza. Fu per ordine del Duca imprigionato nella Rocca, ove solo per interposizione di una tanto benemerita famiglia fu fatto libero dopo un anno e più d’imprigionamento.
La podestà Ecclesiastica sempre gelosa, avida e usurpatrice non cessava dall’insidiare la pienezza delle ragioni che la Casa Sacrati esercitava sull’Ospizio. Baldamente il Sacrati respinse le pretese della Curia finchè la cosa minacciava di prorompere a scandalo. Fu interposta l’autorità di Roma, la quale sopì la querela coll’aggiudicare le ragioni dell’Ospizio di natura secolari. Il Governatore di Rubiera s’era maneggiato occultamente a danno del Sacrati; il che lasciò screzio fra i due personaggi. Ne qui si arrestò la cosa. Instava il Governatore in onta ai privilegi, per soverchiare le esenzioni di cui godevano i soggetti terrazzani contro le ragioni del Comune. Alfonso non patì che più innanzi venissero disconosciuti e minacciati i privilegi della nobil Casa. Arse di sdegno e agognò a vendetta. Venne ad incontrare il Governatore sulla Porta lo investì di minaccie e corse al ferire, e lo avrebbe ucciso, se non fosse stato sviato il colpo e impedito che si spargesse sangue. Restò il corruccio,…. Ma intervenne il Comando Ducale.
Della prigionia e morte del Conte Ippolito Lodovico Carrandini. – 1687.
Fra le prigioni antiche di cui va celebre per trista rinomanza la Rocca di Rubiera, una ancora ne esiste sulla sommità della stessa, chiamata la Carandina per la fine miseranda ivi subita dal Conte Ippolito Lodovico Carrandini da Modena. La tradizione ricorda con compassione e ribrezzo il luttuoso avvenimento, tanto più inconscia delle misteriose cagioni di quella prigionia e della disperata risoluzione che lo condusse a morte. Ed io ravvivando quella tradizione sulle iscrizioni che ancora si veggono su quei muri mi studierò di chiarirla e raffermarla per quanto mi sarà dato dai pochi documenti che ho potuto raccogliere nelle mie ricerche.
Questa prigione si interna nello spessore del Bastione che sovrasta il Paese dalla parte di meriggio e vi si ha accesso dal ripiano della cortina che unisce i due Bastioni dalla parte di levante della rocca; essa è larga circa due metri, lunga quattro, piuttosto alta e coperta da volta massiccia, nella sua metà a due terzi di altezza è attraversata da grossa stanga di ferro che lega ed assicura i due grossi muri laterali; nella sua parte alta al di sotto della volta si apre un pertugio attraverso al grosso muro, munito di triplici e grosse ferriate; per esso scende una fredda scarsa e scolorata luce, fatta più trista e sepolcrale dalla busta che quasi tocca allo serimolo della gronda e ti toglie ogni speranza di vedere la distesa de’ cieli. Appena entrato, scorgi in fondo al tristo carcere colorata in sanguigno sul muro un ampia croce circondata dagli emblemi della passione di Gesù Cristo. Sulla parete a sinistra benchè sbiadita e corrosa dal tempo leggi tuttora la iscrizione che io qui trasferisco come documento storico e punto di partenza a narrare i casi di quella prigionia, i quali potranno spargere qualche luce sulle cause misteriose che lo condussero alla disperata risoluzione di uccidersi violentemente. Così l’iscrizione:
“A perpetua memoria e consolazione di chi per mala sorte capiterà in queste misere, inquiete turbolenze dell’animo, mentre la narrativa seguente le mostrerà nella persona mia flagellata l’innocenza. Per tanto a dì 22 Agosto 1687 in venerdì’, per sorte avversa, Ippolito Lodovico Carrandini, il più sventurato di tutti i viventi, dopo un lungo corso di 46 mesi di prigionia continua in vari luoghi, solo per aver commercio con una mia Donzella, castigo severo, ne per tal causa mai praticato, fui all’improvviso levato dal Camerone di Modena e di nuovo il suddetto giorno condotto in questa maledetta e spaventosa Rocchetta, senza potere, potenza del mondo, almen sapere e immaginarmi il perché di si terribile risoluzione, seguita in tempo, che attendeva corto il dolce riacquisto della perduta cara mia libertà. Giuro sopra l’anima mia di non aver dato motivo alla S.ma di….”
(Non so se la iscrizione fosse qui interrotta: se corrosa dal tempo; se cancellata da mano umana)
A destra di chi guarda alla croce, nella parte alta del muro ove si stacca il volto della prigione legonsi tre distici latini di gusto epigrammatico ove vi si legge chiaramente “Lingua tua sit semper parca, lectori…” – Giacomo Fioravanti Dottore
Sul muro che a sinistra entrando fa da spalla all’uscio della prigione legonsi ancora non senza qualche difficoltà i seguenti versi:
“Ah vieni Irride bella/ Porta sereno al cor e pace all’alma/ desia che da Parca Iella/ ne stà estinta sul secol/ mia debil alma.”
Pare che altri versi seguissero ancora, ma l’intonaco grafiato e sgretolato da mano indiscreta non permette leggere più innanzi. Con quei versi invocava la speranza che ancor non l’abbandonava, e che a lampi gli sorrideva o rifulgeva ancora nell’orrore del carcere.
Da si autorevole narrativa raccogliesi che indubiamente il primo imprigionamento del Carrandini accadde nel corso del mese di ottobre del 1683. Se primo luogo di sua reclusione fossero le prigioni della Rocca di Rubiera ne farebbero dubitare la parte dell’iscrizione suddetta, “…dopo lungo corso di prigionia continua in vari luoghi…” e più dal non trovare memorie della sua prigionia in Rubiera anteriori all’Agosto del 1684 che attestino della sua prigionia in questa rocca. Trovo difatti che sul cominciare d’Agosto del detto anno il Carrandini trovavasi nelle carceri di governo della Rocca ” ..in stato molto deplorevole per li accorsi accidenti e in pericolo di vita…” ettera del Gov.re 6 Agosto 1684. Il che farebbe sospettare che avesse tentato di evadere da altre prigioni. Il Governatore lo fece visitare dal medico Mattacoda, il quale, trovando da quattro giorni il Carrandini aggravato da febre continua consigliò di traslocarlo in condizioni vantaggiose alla cura ed alla guarigione. Ne fu dato parte al Duca il quale ordinò che in pendenza di sicurtà si passasse, sotto comminatoria di responsabilità, il Carrandini in casa del Bargello con ingiunzione di guardarlo e custodirlo sotto responsabilità. (Lettera del 8 Agosto) Il Bargello non si fida a prenderlo in custodia se non colla catena al piede e non trovandosi nella Terra casa abbastanza sicura per prigione, si passa in meno duro carcere e se ne continua la cura; e per concessione del Duca gli si lascia aperto il notolino dell’uscio per ricambio e ristoro d’aria, correndo una stagione caldissima e soffocante, e fatta più oppressiva per difetto di ventilazione; essendo però guardato a vista da una scolta posta sull’uscio della prigione stessa. (Lettera del 9 Agosto) Gli occorsi accidenti, la difidenza del Bargello, la durezza delle precauzioni usate raffermano la congettura che il Carrandini avesse tentato di fuggire o fosse fuggito dalla prigione in cui fu dapprima posto; e quivi fosse per ordine del Duca mandato a maggiore sicurezza e per maggiore punizione. (Lettera del 7 Settembre). Ma il Carrandini, approfitando di quella fiducia che la sua infermità ispirava alle guardie, seppe eludere la vigilanza dei custodi, e ancora febricitante a 22 ore del 7 Settembre evase dal carcere e si rifugiò sotto l’egida dell’immunità ecclesiastica dell’Oratorio della SS. Annunziata. Si chiusero le porte della Terra, e ad impedirle ogni scampo di fuga si posero guardie sulla mura nei luoghi più facili alla scalata. Con rigida ed insidiosa vigilanza fu spiata ogni opportunità di luogo e di tempo per attirarlo e coglierlo in luogo non Sacro e di sorpresa (Lettera del 7 Marzo del 1685). Ma vanamente che il Carrandini seppe attenersi alla stretta osservanza della immunità, e non volle abusarne finchè stanco delle vessazioni, indettatotsi coi preti, destramente e con arditezza scavalcò i muri intermedi fra l’Oratorio e la Canonica e si rifugiò nella Chiesa Parrocchiale, occupando i due camerotti della Canonica stessa, dai quali, troppo fidando nell’immunità ecclesiastica trascese ad abusi e disordini alienando o almeno raffredando la protezione clericale col disturbare i diurni uffizi con strepiti, rumori e giochi da dissipato. Durava da 6 mesi questo nuovo modo di relegazione allegerito solo dalla speranza di cogliere una opportunità per sottrarsene colla fuga. Ma ai 3 di Aprile per ordine del Duca, in onta alle ragioni Ecclesiastiche, viene di viva forza levato dalla Chiesa, e rinchiuso in più stretto e rigido carcere con raddoppiate precauzioni. I Clericali punti ed offesi dalla violata immunità sobillarono la Curia di Reggio per una congrua sodisfazione, e il Vescovo protestò a pretese che il Carrandini fosse restituito in luogo Sacro. Il Duca resistè alle pretese della Curia e tenne il Carrandini prigione. Non si tennero però rassegnati i Preti dell’invendicata violazione; ma tocchi nei loro privilegi tramarono nell’ombra una vendetta e indettati con quelli di S.Donnino prepararono al Carrandini mezzi e via alla fuga, così che col loro ajuto a 18 Luglio potè il Carrandini fuggire di prigione e, con una corda a ciò preparata, calarsi dalla mura e scappare dalla parte di Carpi. Ma non trovò salvezza nella fuga, che ben presto inseguito e spiato venne di nuovo arrestato e condotto nella Cittadella di Modena ove fu serrato prigione nel così detto Camerone fino al 22 Agosto, nel qual giorno fu rimandato in questa maledetta Rocca in quella prigione che porta il suo cognome, ove fu rinchiuso per non sortire che cadavere. Quivi penò per quasi otto mesi continui in un isolamento di tomba. Finchè per disperazione fatto sicuro dell’abbandono della sua famiglia e della inflessibile durezza del Duca nel volerlo punito senza misura, venne alla disperata risoluzione di troncare una esistenza …Tanto amara che poco più è morte. Dante. A propiziarsi la misericordia di Dio al mal passo, disegnò sul muro la gran croce sanguigna come ultimo atto di fede e di invocazione; scrisse la narrativa della sua prigionia, e per ultimo a lettere maiuscole la natura e modo di morte cui si votava; e nella notte dall’otto al Nove Aprile del 1688 cessava l’infelice di vivere di morte volontaria e violenta e che ci viene descritta dal Podestà Giuseppe Barozzi in una sua lettera che qui riporto testualmente come documento storico.
(Lettera del 9 Aprile 1688.)
“Questo giorno di Venerdì li 9 del mese corrente (Aprile) ad ore 18 il Capitano Biaggio Muzzi, sopra intendente a questa Rocchetta di Rubiera si è portato da me, ed avvisatomi che il Bargello nel portarsi, secondo il consueto, nella prigione ove era carcerato il Carrandini Ippolito nella sommità di questa Rocca per darli il desinare, entrato in essa lo ha trovato morto essendosi da per se stesso soffocato con alcune salviette legate insieme: a questo avviso mi sono portato colle solite forme alla visita del seguito, e si è ritrovato il cadavere del sudetto Carrandini disteso sul pavimento della carcere con il petto e il rimanente del corpo disteso all’ingiù con la testa assai sollevata, appoggiato con li gomiti al detto pavimento, avendo al collo una salvietta da tavola legata in forma di laccio corsivo e questa susseguentemente aggrappata con due altre salviette, assicurate ad una lega di ferro che attraversa il carcere, col mezzo del quale laccio egli si è soffocato. Nella parete laterale sinistra e contigua all’estinto si sono osservati e letti gli infrascritti versi scritti in lettere maiuscole.
DOPO DELLA MIA VITA UN LUNGO STRAZIO;
NON DICO GIÀ CHE FUI, MA BEN CHE SONO
DAL MIO SANGUE LASCIATO IN ABBANDONO
E DISPERATO ALFIN RICORRO AL LAZIO.”
Tale fu la fine miseranda e lagrimevole cui fu condotto l’infelice Carrandini; fine che si perpetuò nella memoria col nome lasciato a quell’orribile prigione; e che noi tardi posteri ancora ricordiamo con compassione e con ribrezzo. Quale veramente fosse la cagione di si lunga e dura prigionia resta tuttora misterioso, non giustificando un tanto penare, gli incolpati amori con una sua Donzella per quanto ne fosse offeso l’orgoglio e la boria del Casato. Ne saprebbesi concepire come il Duca, per si lieve cagione, avesse voluto farsi strumento d’una vendetta paterna esagerando la pena fino alla crudeltà, suscitando conflitti coll’autorità Ecclesiastica, ed aggravando la punizione a misura che appena si proporzionerebbe a delitti di Lesa Maestà.
La tradizione non ricorda che altri dopo quel fatto luttuoso fosse più chiuso in quella prigione. Solo dopo 134 anni, per inaudita crudeltà di Francesco IV° d’Austria doveva ivi essere rinchiuso Manzotti Giovanni di S.Ilario, reo di Carbonismo, per forzarlo a confessione, sicchè il povero disgraziato ivi smarrì del tutto la ragione, cosi che se il Carrandini ivi lasciò la vita fisica, il Manzotti vi perdè la vita mentale: in quest’ultima circostanza fu aperta la finestra che guarda a ponente sulla scaglionata che dalla Cortina mette alla sommità del Bastione. Sola modificazione subita dal tristo carcere dall’epoca di sua formazione ai giorni nostri.
Composizione di I.L. Carrandini, scritte a colore nero sul muro a Legno della Carcere che da lui prese il nome di “Carandina”.
(Invito all’Isabella mia Nipote per venire a vedere …..)
ODE DEDICATA AL SER.MO PRINCIPE.
Sotto inimica Stella
Nacqui al mondo, alle Angoscie ed agli affanni
Perché sorte rubella
Mi costringe a languir li giorni e gli anni
Tra recinti crudel con onta e scorno
Privo di libertà, d’angustie adorno.
Entro gelidi sassi
D’ogni conforto nudo e di riposo
Lo Zio smarrito stassi
Mesta l’ora traendo e il dì noioso
Ne cessar pur di macerarlo unquanco
Pentimento e dolor (duo serpi) il fianco.
Derelitto, negletto
Qual tortora dolente ed infelice
Vo coprimendo soletto
Tai concetti d’orror che pur mi dice
dè giorni miei il bel sereno è spento
sol mi saran conforto a pena e stento
L’amata genitrice
Che le mie doglie allegerir potrebbe
Con visita felice
Irresoluta stassi, e pur dovrebbe
Con un pronto voler por l’ali al piede
Per volare a veder chi mai si vede
Ma giacchè tal conforto
Da chi nel sen portommi e mi diè vita
Mi vien levato a torto
Tu diletta nipote or porgi aita
Ogni mia speme è a tesola rivolta
Dunque a giusto sperar torno una volta
La dolce rimembranza
Di te, caro tesor ben mi consola
Ma poi la lontananza
Il riposo mi turba e il ben m’invola
Ma la dura magion ve ….
Volgi deh voglio ver ……
Qual rosignol che plora
Cui barbaro villan suo ….
Tal la sorgente aurora ……
E invocante mi scor …..
Isabella, Isabella e in …..
Scosso il Fren alla voce …..
Deh vien Irride bella
Porta sereno al core e pace all’Alma
Pria che da Parca jella
Resti tronca col duol mia debil salma
Che da un lustro di pene omai consunta
Resterà in breve giro alfin defunta
Or da voi Prence invito
cui dier le stelle esser emporeo vero
di virtù, sia gradito
l’ellegioso desir d’ancor sincero
che d’iesperta cetra il debil suono
con severente inchin vi sacra in dono.
I.L.C.
(Dipinta nella carcere Carandina in alto nel muro verso Reggio)
Quando interrogato Nicolò Tommaseo sul merito letterario della Composizione del Carrandini, lui rispose colla seguente lettera, della quale serbo l’originale:
“Preg. Sig.re
cosa dappoco mi paiono i versi del povero carcerato. Locugioni appropriate, e però d’alquanta efficacia, sarebbero [Gelidi sassi – nudo d’ogni conforto] ma segue nudo di riposo, che non è bello, [pentimento e dolor (quai serpi) il fianco] ma le serpi fanno troppo più – da macerare, [Dei giorni lieti il bel sereno è spento, l’amata genitrice/che le mie doglie allegerir potrebbe/ ah vieni Irride bella] il verso sentito sarebbe derelitto e negletto, se intendesi che al gentiluomo e al condannato colpevole pesi, più che altro il dispregio dei suoi cari.
E sarebbe anche bello quel dire che [sola gli sarà conforta la pena] se potesse intendersi che dalla pena ben patita egli speri all’anima sanità; ma il soggiungere spento fa prospettare che pena stia per dolore e travaglio, e con stento spunta una di quelle superfluità delle quali il lamento ribocca.
Non La consiglierei, Signore, a trarlo fuori di què gelidi sassi, giacchè non si fanno bisogno né esempi di suicidi, né esempi di durezze Ducali e Regie e Imperiali.
Mi creda
Suo dev.o
Tommaseo
Preg.mo Signore
Carlo Malagola
Bologna
Prigionia di Vincenzi Giacomo di Campo Santo – 1708
Dopo il Carrandini, fuvvi (in quella cella) un tal Vincenzi di Campo Santo. La sua presenza è confermata da una scritta sul muro in fondo alla cella, che dice:
“O tu cavaliero che per mala sorte capiterai qui dentro non temere di morte ma bensì del sepolcro dei viventi in cui i giorni e gli anni come come fui io Giacomo Vincenzi, di Campo Santo, l’anno 1708.
Pertano non credo chi cercasse dal levante al ponente il più sfortunato di me si trovasse. Mentre che io non aveva appena pigliato l’alimento primo che piglia il bambino nel ventre ancora serrato, che cominciai a tribolare di male come un Giobbe fino a 10 anni. Intanto placatasi (s)Fortuna, ma la non principia per poco non fornisce, mi fece poi inamorare in una giovine la quale fu poi di me l’amato mio bene. Fu la rovina dopo aver amoreggiato con detta giovina un lustro d’anni, fortuna volse che con mio danno un Cavaliere la intese il quale mi persuadesse a lasciarla, ma io per preghi ne minaccie non volsi ubbidirlo, e causa dei rimproveri a me fatti dalla sudetta col pregandomi ognora ad amarla, intanto mandommi la Corte a casa, ma come venir se ne …. Era si baldanzoso il crederono che io non firmava il Cavaliere di cuor si saldo in riguardo a una servitù di secoli d’anni prestati da miei avi con discapito dell’anima e della vita della Ro ……. alla illustre Casa Forna, senza mai averli dato un piccolo motivo di sdegno come faceva al presente, dopo aver attentato in vari modi …. ma sempre li arriuscivani i suoi disegni, mi fece poi persuadere a caminare sicuro che mi perdonava, apena caminato tre ore con due compagni traditori che fu assalito….” Così finisce l’iscrizione o perché mancasse lo spazio a più lunga scrittura, o perché non credesse rivelare un segreto che poteva aggravargli la persecuzione. Essa è scritta sul muro a sinistra di chi entra verso il fondo della prigione; incisa sull’intonaco del muro; scorretta come la copia; imperfetta o interrotta per lettere e parole guaste da crepacci sul muro o da mano indiscreta. Si noti che nell’uscio che ultimamente chiudeva la porta al sommo delle scale e per la quale si aveva accesso alla parte superiore del Forte, erano intagliate queste iscrizioni (poste dentro due cuori simmetrici tra loro:
“GIACOMO VICENZI DI CAMPO SANTO F: C. ADI 3 F: LANO 1708” e “G.V. WA CHI AL PAR DI ME STIMA ONOR IMPARA E AMA E V. MIA” Essendo il Vincenzi stato carcerato nella Carandina come prova l’iscrizione su riportata, si deduce che l’uscio suddetto fosse quella della Carandina.
Prigionia e Morte di Don Andreoli Giuseppe di S.Possidonio.
Fra gli infelici che la rabbia efferata di Francesco IV° quivi rinchiudeva designandoli a spaventosa vendetta, v’era pure il povero D.n Andreoli e con lui altri quarantasette disgraziati costì mandati a subire il giudizio di un empio Tribunale che fu chiamato La Commissione Stataria. Vi fu posto un grosso presidio di Tedeschi; si guardavano le porte con forti distaccamenti; si tenevano le scolte sulle mura; e più strettamente si guardava la Rocca ove erano rinchiuse le povere vittime; quivi raddoppiate le guardie; messe le guardie all’entrata; afforzate le serrature delle prigioni; scolte interne ovunque; vigilanze assidue e vessatorie. Il Tribunale Statario prese sede nell’antico Palazzo dei Bojardi, convertito ad uso di Posta a Cavalli, e quivi ebbero appartamenti di alloggio. Istruito il processo dei 48 imputati agli 11 di Settembre del 1822 l’iniquo Tribunale pronunziava la paventata sentenza con condanna di morte a nove, ad altrettanti di venti anni di galera: agli altri di carcere. Sentenza che dal Catajo agli 11 di ottobre dello stesso anno il Duca confermava contro i contumaci e negativi; riducendo la pena a quelli di minor conto, a nessuno perdonava.
Dei nove che l’empia sentenza condannava a morte, due soli erano prigionieri, gli altri sette profughi e contumaci, scampavano fra i pericoli della rabbia di vendetta e dalla sete di sangue dell’Austria Terra. Dei condannati a morte solo il D.n Andreoli era detenuto e mentre l’iniquo Duca risparmiava ai contumaci la decapitazione in effigie, e graziava della pena di morte il Conti Franco di Montecchio “… per avere coadiuvata l’armata Austriaca e de suoi alleati nel prendere possesso di Stati Estensi ..” confermava la sentenza contro il povero D.n Andreoli Giuseppe di S.Possidonio, villa nel Mirandolese, maestro di lettere umane nel Seminario di Correggio, “.. per essere seduttore della gioventù e più reo per la sua qualità di Sacerdote e di Professore, della quale si è abusato per attirare la gioventù nella Società dei Carbonari; e più per non avere confessato che quando si trovò convinto dalle molte prove che la Giustizia aveva contro di Lui…” . Che l’infelice si fosse abusato del Ministero di Sacerdote e di Professore per fare adepti alla Società dei Carbonari non apparisce dai motivi della sentenza; e la tarda confessione che gli veniva tenuta in conto di circostanza aggravante, era l’espressione di un diritto di natura, sconfessato nei codici dei Tiranni.
Confermata l’empia sentenza, alla vigilia della luttuosa esecuzione, il Tribunale si portava colle solite forme ad intimare la sentenza finale al desolato Sacerdote chiuso e guardato con rigore nella così detta “Prigione del Duca“. Svenne fra le braccia del Parroco D.n Chierici, e di un venerando Cappuccino, che non lo abbandonarono più. Passò quella notte fatale fra le agonie della morte e di che morte. Fu condotto o piuttosto portato nel piccolo oratorio, destinato a Conforteria del morente, ed ivi passò le ultime ora della sua vita fra la preghiera e il pianto, consolato dalla assistenza di due venerandi Fratelli. Alla sera frattanto furono mandate nuove truppe di Fanti e di Cavalli, i quali a publico spavento stettero tutta la notte in armi occupando i portici, la Rocca e le porte del Paese; nella notte stessa sorse l’infame palco del supplizio nel trivio a portata della Rocca. Il Tribunale decretava che l’esecuzione dovesse avvenire “nello spazio di terreno di ragione pubblica che rimane a ponente del Forte fra le due vie che si diramano dalla strada Emilia di Reggio divergendosi l’una a mezzo giorno verso l’ingresso del Paese, l’altra a levante all’intorno del medesimo luogo che si è ravvisato a tal uopo conveniente, non tanto, per la sua vicinanza al Forte in cui sono detenuti i rei, quanto per la necessaria esemplarità essendo sulla strada Postale presso i confini dei territori di Modena e di Reggio”.
Sorse il giorno fatale che doveva essere l’ultimo per il povero Andreoli.
Sereno e splendido era il cielo: ma trista e smarrita la vita del Paese.
Le truppe cominciarono a prendere i posti designati e grossa mano di Fanti e di Cavalli chiusero gli sbocchi delle tre strade che confluivano in quel punto, e circondavano l’infame Palco a raddoppiate file. Frattanto tutti i cuori battevano in aspettazione della grazia, che si credeva non negata al Vescovo che era corso fino al Catajo ad implorarla: ma il tempo passava, la grazia non comparve che fu negata dal crudele Francesco IV°, e l’ora sovrastava della compassionevole fine.
L’andare e venire delle ronde; il raddoppiare delle scolte accrescevano la mestizia e lo spavento ed accennavano appressarsi l’ora della fatale esecuzione.
Erano le undici e mezzo circa del giorno, quando lo squillo acuto e stridente cominciò il funebre rintocco dell’agonia e il segno di partenza dal Forte del funebre corteo: deserto e mestamente squallido era il piazzale che dalla Rocca mette alla Porta di Reggio, ivi regnava il silenzio, la mestizia, la desolazione e lo spavento come di cimitero; solo qualche gruppo di mesti e smarriti, accorrenti al doloroso spettacolo si vedevano sulla cortina che congiunge la Porta a il Bastione.
Ancor fanciulletto e inconscio, vidi silente e spaventato quell’orribile apparecchio, e ancora mi suona all’orecchio quello squillo ferale.
Vidi uscire dal Forte il paziente sostenuto a braccio dall’Arciprete e dal venerando Capuccino, in abito secolare di rigato, con benda che gli copriva il volto; (Mess.r Rosa dice che il Paziente fosse bendato, egli che portava la croce, fu fatto entrare nel Forno, ora dei Farioli; perché l’Andreoli non la vedesse) procedeva lento vacillante e come a scosse, sostenuto a braccio dai pietosi che lo confortavano in quella tremenda agonia; i Confratelli colla croce velata, procedevano mesti, bisbigliando interrotta la prece degli estinti. Io, pure presi posto a poca distanza dal palco, ma poco o nulla vidi per lo spavento. Rammento il mettersi in armi dei soldati all’arrivo del Comandante. Ricordo lo strepito infernale dei tamburi quando l’infelice montò il palco; veggo ancora quel teschio sanguinoso mostrato dal Boja, non al popolo ma ai soldati; mi suona ancora nell’anima la voce del Chierici che disse parole di dolore sulla miseranda catastrofe; e soprattutto l’improvviso temporale che come maledizione di Dio di repente successe al sereno della giornata.
Fu levato il cadavere e fu dalla Confraternita portato nella Chiesa Vecchia ove fu seppellito. (Le spoglie del povero Andreoli ebbero inonorata sepoltura nel Deposito consorziale che si trovava nella vecchia Chiesa Parrocchiale già soppressa e destinata ad uso magazzino. Pochi anni dopo per aver maggiore spazio fu demolito l’Altare Maggiore che tuttora si conservava, e coi rottami o frantumi dello stesso fu riempita e chiusa quella sepoltura. Nel 1848 acuni pietosi di Reggio chiesero quelle ossa ma fu loro fatto credere che fossero già state raccolte, almeno il Teschio, e chiuse in conveniente cassetta conservata in luogo sacro e sicuro. Fu menzogna, fu verità? Morì la persona e nulla più si seppe del fatto: sicchè le reliquie di quel corpo restano tuttora inonorate sotto un cumulo di ruine, ne fuvvi ancora chi pensasse a sotterarle per darvi conveniente spoltura.) Sparve il patibolo, sparve la scure, sparve l’apparato militare, ma non sparve nel popolo la ricordanza di quel sacrifizio di sangue e le madri nostre che lo tennero in concetto di vittima innocente, ancor fanciulletti ci conducevano sul trivio ad implorare la pace, e il perdono, sicchè la memoria dello sventurato diventò un culto. Quale fosse l’animo dei poveri prigionieri durante quella esecuzione è più facile immaginarsi che altro.
Nel 1859 non dimentico il Paese dell’orrendo supplizio, volle con publica solennità innovarne il suffragio, e dopo le preci della Chiesa, processionalmente si portò il clero accompagnato dalla G.N. e da tutto il popolo a pronunciare le estreme esequie su quel luogo di dolore, ove l’ingratitudine non pose neppure un sasso che ricordasse il martire, mentre innalza monumenti e statue alla nullità che par persona.
Un po’ di Storia di Vincenzo Mignani (Presidente della Commissione Stataria che condannò D.n Andreoli)
La Commissione Stataria che nel 1822 condannò i detenuti nella Rocca di Rubiera, era presieduta dal Consigliere Avvocato Vincenzo Mignani, che colle sue eccentricità reazionarie aveva saputa captivarsi la grazia e la confidenza di Francesco IV°, fino a rendersi strumento temuto di sue crudeltà. Ai primi rumori dell’Armate Francesi calate nella Lombardia, e invadenti l’Emilia, i reggiani preclivi a novità e facili all’entusiasmo, si fecero istigatori dè mutamenti a preparare il Governo della Repubblica, che lo straniero ci portava in dono sulla punta delle baionette.
Alcuni di essi fra i più calorosi corsero a Rubiera per ivi alzare l’albero della Libertà e tentarono gli animi dei Terrazzani per averli compagni e ajuto all’impresa. Ma il Mignani che era Sindaco e Vicegerente del luogo, e nemico giurato delle novità e dei novatori, incitò la sbiraglia contro i malvenuti, così che presi ad archibugiate furono costretti a fuga precipitosa.
Dopo pochi giorni arrivava l’avvanguardia dè Francesi preceduta dal Commissario Garrau, e il Mignani fatto di necessità virtù, volle inalberato il simbolo della Libertà, e con ipocrito proclama accolse a festa il Commissario di Francia, promettendo, “…lealtà nell’adempimento dei propri doveri (8 Ottobre 1796) …” . Continuava ancora nella carica il Mignani, quando nel 1799 l’Armata di Napoli condotta dal Mac Donald, accorreva a gran marcia in ajuto delle pericolanti armi Francesi, già battute, divise e rotte in vari punti a contrarne completa vittoria. Già varcato l’Appennino, le prime colonne tenevano il piano; giù alla sparpagliata come di chi procede in guardia, cominciavano a mostrasi gli avvisatori; quando il Mignani chiamate e riunite le Milizie di Campagna persuase essere soldati sbandati, dispersi, la spinse ad incontrarli e batterli. Difatto le milizie fatto nodo alla testa del pedagno spinse i più arrischiati a passare il torrente per cominciare la caccia dei pochi che si erano mostrati nella Contea. Al rumore delle prime benchè rare fucilate dei nostri, ingrossarono di accorsi e dove prima si vedeva un soldato se ne mostrò un drappello: col numero cresceva il pericolo, fin che i nostri ripassarono il Tresinaro e tentarono di tener testa ed impedire il guado del torrente ai soldati creduti disertori. Quivi succede uno scambio di fucilate; dei nostri ne restarono tre uccisi davanti all’oratorio a capo del Pedagno. Ripiegarono i nostri cercando salvezza nel Paese ove portarono lo scompiglio e lo sgomento. Ma il Mignani, visto il pericolo fatto maggiore dalla tentata resistenza fè dare nelle campane, chiamò il popolo all’armi, chiuse ed afforzò le porte e si decise alla difesa del Paese conro questo avvanzo di mascalzoni. Ma ingrossati i Francesi che, tutt’altro che sbandati, formavano la testa dell’Armata, avvicinatesi al Paese entrarono da nemici e vi diedero il sacco, imprgionando il Mignani come promotore anzi autore della tentata reazione. Fu tosto riunito un Consiglio di Guerra per giudicare il Mignani, e sul tamburo fu condannato alla fucilazione. Già pronte erano le armi per l’esecuzione, quando giunto il Mac Donald, volle l’arciprete D.n Chierici, chiamato a confortare ed assistere il condannato, invocare grazia e colla sorella del disgraziato si presentò al Generale. Irritato dalla reazione che gli aveva attraversato il camino, non si mostrò troppo facile alle parole del buon prete, ma vista la sorella, tramortita per accesso epilettico mosso dal dolore e dalla disperazione, ascoltando la voce dell’umanità graziò il Mignani, colle memorande parole: “Prete ti lascio la vita di quell’uomo, ma avrai a pentirti di aver salvato un tristo malvagio”. Terribili parole di cui doveva presto ricordarsi il povero Arciprete. Fu rimosso di carica il Mignani, il quale inosservato e disprezzato attraversò in vita privata il Regno Napoleonico, finchè coll’instaurazione della casa Casa Estense riprese carriera facendosi largo fra i più esagerati reazionari. Troviamo quindi il Mignani Presidente della Commissione Stataria nel 1822. Fatto cieco strumento alla ferocia di Francesco d’Austria, e quivi dimentico di avere subita una condanna di morte per reazione, non tremava di pronunziarla contro un infelice reo solo di intenzione. Il buon Arciprete non valse a persuadere mitezza e umanità di giudizi. Eppure chi pregava gli aveva salvata la vita in quei momenti pericolosi a quello stesso che per lui intercedeva; eppure il debito che lo legava all’Arciprete, lo obligava, salva la giustizia, ad ascoltare la voce del suo salvatore. Per cui ascoltata la condanna del povero Andreoli ebbe, il Chierici, a rimproverare al Mignani le predizioni avverate del Mac Donald: “Ricada su di tè o Mignani il sangue della vittima innocente”. Tali erano gli uomini di fiducia e gli strumenti di tirannide dell’Austriaco Francesco ricordato per atti di ingiustizia e di crudeltà.
ANTICA CHIESA PARROCCHIALE TRASFORMATA IN CIVILE ABITAZIONE
Fino al 1800 l’antica Parrocchiale, fatta sussidiaria della nuova, serviva all’ufficiatura del Consorzio dei Preti di Rubiera e ad un tempo alla sepoltura dei cadaveri della parrocchia, nel quale oggetto, la parte sotterrata era convertita in tombe.
In quell’epoca fu soppresso il Consorzio e con esso la Chiesa; conservandola principalmente per uso di cimitero, mancando la Parrocchia di altro luogo a tale servizio fino al 1824, epoca nella quale fu attivato il nuovo cimitero fuori di Rubiera. Il demanio, che in quel tempo si era appropriato quel locale, lo destinò a magazzino di fieni e di legnami. Finchè rivendicatone la proprietà dalla Fabbriceria Parrocchiale fu venduto a un privato che convertì in civile abitazione, ciò avvenne circa nel 1843. Nel 1846 furono espurgate le tombe trasportandone gli avanzi nel nuovo cimitero: ma come si pensò al cimitero interno non si pensò di fare altrettanto del piazzaletto che gli sta a fianco il quale serviva da cimitero sussidiario all’interno della Chiesa, (…spurgate le tombe interne alla chiesa nessuno pensò a spurgare il Campo Santo esterno, dove ora forma il piazzaletto benchè la tradizione ci ricordasse che quell’area era destinata alla tumulazione, sia come ossario sia come cimitero sussidiario…) come ad appoggio della tradizione ebbe a verificarsi in circostanza di uno scavo, nell’escavazione del quale si rinvennero depositi e avanzi di scheletri umani. (Gli scavi effettuati nel1867 in quel luogo, per condurre uno scolo in una pubblica cloaca, scopersero depositi pieni di ossa umane atti ad assicurare la tradizione). Anzi i più vecchi del paese si ricordano di aver visto quell’area coperta da un porticato sostenuto da colonne di legno ma logoro e ruinato molto dal tempo, che intorno al 1790 fu necessità il levarlo.(Ci ricordavano i più vecchi del paese che quell’area era ricoperta da un portico sostenuto da colonne di legno: portico che i paesani nostri videro cadere per vetustà e per difetto di riparazione .Sullo scorcio del secolo passato esistevano ancora gli avanzi di un portico in legno, stava a fianco della Chiesa Vecchia e copriva l’area, ora piazzaletto circoscritto con paletti di macigno) Dopo il 1799 fu soppressa e durante il suo incameramento fu destinata a quartiere di truppe più tardi, dopo cioè che fu fatto il nuovo cimitero, servì da deposito di fieno e da magazzino. Durante quegli usi fu guasta, malconcia e spogliata di ciò che restava: gli ornati di gesso di stucchi e di scagliola che abbellivano gli altari e le cappelle furono rotti; rotte le lapidi dei sepolcri e profanati finchè l’arciprete Bassignani (1836-1855) rivendicatone la proprietà alla Fabbriceria, fu venduta la chiesa, e solo fu serbato in proprietà il coro ove era il sepolcro dei preti.
La Chiesa, ora soppressa e trasformata ad abitazione, fu ricostruita poco prima della metà del secolo XVII a spese della Comunità specialmente e del Consorzio che ne dovevano avere la proprietà. Ciò si rileva da un rogitro che esiste tuttora nell’Archivio Vescovile di Reggio, ove pure si trova una memoria di un dono fatto da Guido Panciroli alla Parrocchia stessa.
DELLA COLLEGIATA DEI CANONICI E DELLA NUOVA CHIESA
Sulla fine del ‘600 Rubiera era ancora una semplice Parrocchia retta da un Rettore e officiata da un Consorzio di Preti, associati religiosamente in servizio di Dio e a decoro della Chiesa e Paese di Rubiera. La detta Parrocchia inferiore di grado e di seguito dipendeva ancora come in antico dalla Arcipretura di S.Faustino. Malamente sopportava il paese questa inferiorità e dipendenza da una Chiesa forense; e troviamo memoria fin dal 1623 in cui la Comunità di Rubiera a mediazione del Montanari e del Panini perorava presso il Duca per l’unione della Pieve di S.Faustino alla Chiesa di Rubiera all’oggetto di formare una collegiata di Canonici. Ma l’invocata collegiata non potendo erigersi che sulla soppressione della Pieve di S.Faustino, risvegliò molta contrarietà da parte di quei parrocchiani i quali facendo capo al Canonico Condulmieri di S. Martino, trovarono appoggio per stornare il disegno. Il Condulmieri, colla vista di ottenere la Pieve stessa per se, influente e intrigante si avvalse dei Principi Giustiniani e dei Cardinali Paolucci ed Astelli per attraversare la cosa e vi riuscì, mandando a vuoto le istanze, le preci e la fede del povero Paese ma non la speranza, che si riportavano a più favorevole occasione. Moriva sul cominciare del ‘700 Matteo GOVI arciprete di S.Faustino per cui restava vacante la ricca Parrocchia. Colse l’opportunità la Comunità di Rubiera per riprendere le cose e ritentare l’animo del Duca Rinaldo che tanto si mostrava propenso per questa sua popolazione. Il tempo aveva mutato gli uomini e le cose. Sentì il Duca la necessità di sovvenire ai bisogni del povero paese popolandolo e condecorandolo di famiglie abbienti ed onorate, e nel 1701 concede la Collegiata a condizione che i canonici avessero residenza e domicilio stabile colle le loro famiglie in Paese in vista di raggiungere lo scopo che si era proposto. Con ciò si riabilitava ( troppo insufficiente disconosciuto) un paese con terra murata. Posto sulla via Emilia, sede del governo e capo di tutto il territorio, tenendolo nella cosa della Chiesa suddito a una Parrocchia rurale mentre la Parrocchiale di detta esposta agli oneri dei passaggi e della ospitalità malamente poteva soddisfare con quel decoro che si conveniva all’importanza del luogo. Promosse quindi e sollecitò da Roma il beneplacito dell’approvazione della nuova Collegiata e vi assegnò fondi sufficienti a decoroso mantenimento. Il capitolo fu istituito di sette canonici compreso il Parroco, cui si conferì il grado e la dignità di Arciprete e di superiore dei Canonici. Degli 800 scudi che la Pieve di S.Faustino godeva di rendita, 150 furono lasciati al nuovo Parroco che prese il titolo di Rettore; degli altri se ne assegnarono 80 annui a ciascun Canonico; così che il nuovo Arciprete trovò modo di sopperire ai nuovi impegni della sua dignità. E con tale istituzione, coi comodi e vantaggi procurati colla istituzione della Posta, e coll’Arcipretura, ritornava in qualche lustro questa antica Comunità che tanti servizi aveva procurati a suoi progenitori. Con approvazione del Vescovo di Reggio e per autorità di Roma si erigeva quindi la nuova Collegiata colla rendita della Pieve vacante di S.Faustino: e per lo stesso fu fatta pure la Collazione dei 6 canonici metà sacerdoti e metà chierici, e si conferì al vecchio Rettore la dignità di Arciprete e capo del Capitolo. I canonici indossarono l’“Almuzia”; la “Mantelletta” l’Arciprete. In tale occasione la nobile casa dei Conti Sacrati sempre benevola a questa terra, donava per l’erezione della Collegiata stessa la somma considerevole di modenesi L. 7280 delle quali troviamo ricordo nella costituzione della Collegiata.
S’installo quindi la nuova collegiata nella vecchia chiesa in allora Parrocchiale, detta la “Consorziale”, la quale officiò sempre divisa per tutto e per tutti dai detti Consorziali. I Consorziali che pativano di mal animo l’introduzione del Capitolo nella Chiesa dove essi avevano sempre maggioreggiato e più vi pativano prevedendo di dover tenere un posto inferiore e secondario a quello dei canonici, preferivano cederla ai Canonici stessi, ma il Pontefice non lo permise stante i molti obblighi dei Consorziali particolarmente agli altari del SS.mo Sacramento e del Rosario. Nel 1719 i Canonici acquistavano la Chiesa nuova, che i Minori Conventuali avevano quasi ultimata coll’idea di potervi pure unire il Convento. Passava quindi nel 1722 la Parrocchiale dalla vecchia alla Chiesa nuova che nel popolo prese il nome di “Chiesa dei Canonici” (La nuova Chiesa fu dedicata a S.Biagio, S.Donino e S. Concordia. Ed sì vero che nel 1826 si inaugurava l’ancona dell’altare maggiore ai tre santi protettori, riuniti in un quadro dipinto dal Vincenzi di Modena. L’ancona del quadro dei Santi Protettori fu fatta fare dal CHIERICI, che spogliò altro altare per decorare il maggiore; e così furono tolti i gessi e gli stucchi dagli altari per sostituirvi pitture qualunque…) e quivi restò fino alla sua soppressione (della Collegiata) che avvenne nel 1801 (Le sepolture dei Canonici erano nella Chiesa vecchia nello spazio del coro. Il LEVRINI fu sepolto nella Chiesa nuova in “Corno Evangelii”; dalla parte dell’Epistola fu seppellito il CHIERICI e il BASSIGNANI) (era nel 1722 Arciprete don Francesco LOMBARDINI – Canonici: don Ludovico BIÀ, don Girolamo BERTOLANI, don Giovanni BAROZZI, don Filippo CASTALDI, don Giacomo FARINI, don Francesco BENEDETTI. All’epoca della soppressione Arciprete don SILVETTI – Canonici: don CASOLARI, don LEVRINI, don MAZZANTI, don MAGNANI, don PISTELLI) All’atto della loro soppressione, quali ne fossero i beni non conosco, ne so come si provvedesse al soddisfacimento degli oneri ad essi inerenti. Ciò forse potrà rilevarsi dagli atti della soppressione che debbono conservarsi nell’archivio Parrocchiale. E anche la perdita di questa istituzione dobbiamo accagionarla alla Francia, che cogli ordini nuovi venne e soppresse il nostro assetto, senza nulla sostituirvi che potesse compensare quella perdita e farcela dimenticare. I benefici della libertà furono più nominali che effettivi forse perchè difficoltati dai tempi e dalle forze politiche. Ma sta di fatto che dopo 10 anni dalla Ristorazione noi trovammo il paese miserabile e povero di famiglie di qualche distinzione.
Aspreggiati i francesi contro il Paese per l’occasione dichiaratosi ostile lo occuparono di forza e fatto saccheggio vollero vendetta del MIGNANI. Nel sacco furono sperperati gli archivi e specialmente quelli della Chiesa dei Canonici e della Nunziata. (La vecchia Chiesa fu riattata poco dopo la metà del 1700 in circostanza della demolizione del luogo….Gli avanzi, che nell’età nostra vedemmo oggetto di spoliazione per ornare la Chiesa nuova, tutti mostravano l’epoca recente di loro costruzione.
Nel 1867 volendo scavare una scala che mettesse in attività la cantina cavata nelle tombe soppresse, si scopersero avanzi di ossaglia le quali mostravano questo luogo aver servito da inumazione di cadaveri).
Quelli di cui per forza di tradizione la Comunità di Rubiera è tenuta verso la Chiesa Parrocchiale e verso l’Oratorio della Nunziata del paese stesso:
- Per le predicazioni Quaresimali;
- Per la festa del S.to Patrono;
- Per l’organista servente;
- Per la lampada del SS.mo;
- Per la lampada della B.V.;
- Per la festa di S.Rocco;
Predicazione della Quaresima Mod.si L.100; non so se a titolo di gratificazione o per mercede – Non so se le paghi direttamente al Predicatore o alla Fabbriceria perchè ne usi a tale effetto. Come e quando abbia avuto origine un tale onere per parte della Comunità; (La chiesa di Rubiera come secondaria e dipendente dalla vicaria di S.Faustino non avea l’obbligo della predicazione quaresimale; e come povera e sprovveduta di benefizio non avea mezzi per farla. Fu quindi espediente del Comune di sopperire a tale spesa provvedendo di alloggio e di mantenimento il predicatore restando alla fabbriceria il frutto delle elemosine per compensarne le fatiche fatte. Restava quindi il diritto di nomina al Parroco. La predicazione dovè essere giornaliera. Era certamente un umiliazione pel paese centro e sede del governo politico ed amministrativo il trovarsi al di sotto nelle cose della Chiesa alla Pieve di S. Faustino dalla quale dipendeva e ne era come figliale. Fu forse in vista di redimere il paese dalla scarsa ufficiatura e ridonargli nelle cose della chiesa un lustro pari all’importanza del luogo, che il comune pensò di concorrere alle spese della predicazione) a quale scopo la stessa intervenisse in parte si rileva da documenti autentici e autorizzativi, in parte da nozioni o congetture scaturite dal contenuto dei documenti stessi e da espressioni antecedenti per essi testimoniali. Da uno stato delle attività e passività del 1623 (fascicolo 5) trovo che fin da quell’epoca il Comune contribuiva per la predicazione quaresimale benchè esplicitamente non risulti il quantitativo della somma.
1623 – Fascicolo 5°.
1°.Cera al Santissimo £ 65.
2° Festa di S.Rocco £…..
Fu in tale anno gettata la campana grossa cui si impose il nome di S.Donnino e Concordia.
1682 – In tale anno dagli Stati della Comunità risulta che la spesa che si elargiva pel Predicatore, Santissimo e M. del Rosario, nonchè per la festa del voto di S.Rocco ammontava a L. 286; spesa che si voleva moderare per sistemare gli interessi del Comune, malversati fino al pericolo del fallimento. Il Duca cui si rappresentava lo stato delle cose e la necessità di sovvenire con pronti e validi provvedimenti, ordinò non poche economie sull’amministrazione, ma volle rispettati ed integri gli oneri del Comune stesso in favore della Chiesa. Se per volgersi di tempo e per mutare di uomini e di cose, la tradizione perdè della sua originaria freschezza giungendo a noi scolorita e confusa, e talvolta alterata dall’ignoranza dall’incuria e dagli interessi privati e pubblici. Richiamarla alla sua origine per quanto la si possa l’opera di sollecitudine e di amore che onora una generazione e talvolta assicura frutti alle future generazioni. Non sarà forse inopportuno e disutile al Comune il riassumere quanto la tradizione ricorda in materia dell’onere per la predicazione quaresimale. Arrivata e depurata colla scorta delle memorie autorevoli può sparger luce sui dubi insorti nella revisione dei conti della Fabbriceria fornendo materiali poco cogniti nelle possibili contingenze che in avvenire potessero insorgere fra la Comunità e la fabbriceria stessa. Ad ogni modo risparmierebbe ai storici la noia e le cure di raccogliere e disaminare quanto ha rapporto ad una tradizione che non ha più altro appoggio che il fatto materiale mancante degli elementi che lo rendono vivo. Non trovo memoria che ricordi tal onere anteriore al 1600. Anzi azzarderei un opinione che prima del secolo XVII non avesse tale aggravio, ma neppure esistesse la predicazione quaresimale. Trovo nel corso del 1500 che il Comune ringraziava il Duca per aver mandato un predicatore a mettere pace tra i Martelli e i Calcagni; questa famiglia abbiente e prepotente che insidiava i diritti dei naturali; quella famiglia antica e originaria che sosteneva i diritti dei naturali. Frequenti erano la gare e le risse per ambizioni deluse, per gelosie turbolente; gare che di frequente li portavano ai ferimenti per il diritto che godevano di portare armi.(Nel 1517 con lettera del 21 marzo il Podestà ringrazia il Duca per aver mandato un Predicatore a mettere pace fra i Martelli e i Parmegiani, famiglie che per clienti e parentele tenevano questa popolazione rotta e consumata in gare e dissidi). Dissi che forse prima del 600, la Chiesa nostra forse mancava della predicazione quaresimale, perchè come famiglia e povera vicaria dipendente dalla Pieve di S.Faustino non ne aveva ne l’obbligo ne i mezzi. Se l’onere che il Comune pagava per la predicazione quaresimale, fosse un sussidio alla Fabbriceria o una regalia immediatamente pagata al predicatore a titolo di gratificazione non sarebbe forse facile il chiarire senza rimontare all’origine della cosa e seguirne le vicissitudini subite nello svolgersi dei tempi fino a noi. Che il comune rappresenti la congregazione dei fedeli nella pia offerta, vale come le offerte dei privati colla sola diferenza che quelle sono incerte e indeterminate; quella è certa e prefinita. Se le offerte private figurano fra le rendite della fabbriceria non regge ragione che non debbano figurarvi anche quelle del Comune che ne è la somma. il rappresentante, l’ente morale. Sarà decoroso e proficuo al Comune il conoscere la ragione storica dei propri diritti. Riassumere quanto in materia ci ha serbato la tradizione. In questa che il Giordani chiamò; “Generazione presuntuosa di desideri, paralitica di volontà”.
{Più esplicitamente apparisce da un resoconto delle spese sostenute dal Comune nel 1685: Mandato n. 24 per fasci, riso e legna al Padre Predicatore L. 30: e nel mandato n. 33 per elemosina al Predicatore L. 100. Cera al Santissimo £. 20,12 nella quaresima; £. 20,12 nel Corpus Domini; £. 5,00 per S.Concordia). E prima di questo per l’anno 1687 rilevasi che l’elemosina pel Predicatore e festa di S. Rocco era di L.125 al che apparirebbe che L. 25 siano destinate a S.Rocco. [Il voto per la festa di S.Rocco deve essere anteriore alla pestilenza, in tale epoca fu rinnovato e rafforzato con l’obbligo della lampada alla B.V. che colla soppressione – della vecchia Chiesa – fu portata alla Chiesa nuova]. Si vollero in tale anno dibattere L. 200 per la predicazione e altro come superflue [fascicoli 11 e 13]) – Nel 1761 (fascicolo 16) il Canonico Fibramonti faceva obbligare il Parroco al mantenimento del Predicatore per la elemosina di L. 105 che il Comune pagava a tale oggetto. E siccome la somma era tenue prometteva al Vacondio (VACONDIO Antonio – Arciprete dal 1747 al 1769) di abitare il primo camerino dei due che il Comune destinava al predicatore. Più tardi nel 1771 fu dal Comune ceduto in perpetuo al SILVETTI (SILVETTI Francesco – Arciprete dal 1769 al 1791) e suoi successori l’uso dei due camerini a condizione di lasciare al Predicatore il conveniente alloggio obbligandolo alle necessarie riparazioni riservandosi, però, il Comune il diretto dominio dei camerini stessi.
Andrea Debbi Vicegerente, Wolfango Leporati Sindaco, Franco Silvetti Arciprete, (firmatari).
Per tale concessione se il Comune ottenne di liberarsi di tutte le conseguenze dell’alloggio non riuscì però ad esimersi dal contributo dell’elemosina dovuta pel mantenimento, perchè trovo in un ultimo bilancio e posteriore a quella convenzione che la elemosina delle L. 105 al Predicatore della Quaresima figurano sotto la rubrica delle regalie. E ciò nel 1789. D’allora in poi non trovo altro da aggiungere in proposito, fino all’epoca in cui la Comunità di Modena portava aumento a quella regalia senza certo conoscere gli antecedenti, e le condizioni avvantaggiate in cui si era posta la Fabbriceria coll’appropriazione dei camerini fino a farne vendita senza consenso e approvazione da chi ne aveva il diretto dominio. Da una memoria del 1761 rilevo che il Comune forniva al predicatore della quaresima l’alloggio nei camerini di propria ragione attigui alla Parrocchiale ora soppressa ed adibita a civile abitazione, di più forniva L.105 di elemosina per sovvenire alle spese del vitto ma perchè fosse troppa l’elemosina o perchè privo il paese di famiglie civili ed aggiate si correva pericolo di restare senza predicatore per difetto di chi ne (provvedesse) la pensione. Nel 1761 di fatto il canonico Fibramonti per tale sconcio, benchè obbligato per Campogalliano, si prestò in pari tempo alla predicazione di Rubiera e tanto fece che obbligò il parroco ad assumere il mantenimento del predicatore per la elemosina di L.105 a fronte però della cessione d’uso del primo dei due camerini fattogli dalla Comunità di Rubiera. E nel 1771 si raffermò la convenzione con la cessione di ambi i camerini purchè l’Arciprete assumesse per intero l’alloggio del predicatore consegnandoli in pari tempo l’elemosina delle L. 105 per il vitto o pensione dello stesso. Caduta la podestà, ristretto il Comune, soppresso il Capitolo mutarono le cose e la predicazione da giornaliera si fece festiva. Spari l’onere d’alloggio per il Parroco o fu ridotto a poca cosa. Restò al Comune l’onere dell’elemosina e si convertì in mercede. E la fabbriceria convertì il diritto d’uso in proprietà diretta ed assoluta e li alienò.
Fra gli obblighi di cui per forza di Tradizione è tenuto il comune di Rubiera verso la Chiesa nostra dura tuttora perenne e inquestionato l’onere di annue L.100 per la predicazione quaresimale. Codesto onere fu quasi sempre pagato dalla Comunità alla fabbriceria la quale senz’altro si incaricava della predicazione stessa, della nomina del predicatore, nonchè dell’elemosina dovutagli per la fatica della predicazione quaresimale.
Era serbata alla finalità inquisitoriale del registro il volere conoscere il titolo di quell’elemosina per estorcerne la tassa di ricchezza mobile. Da memoria autentica ed autorevole del 1761 si rileva che in antico il comune pagava L.105 pel mantenimento del predicatore e in pari tempo gli forniva l’alloggio nei camerini annessi alla Parocchiale i quali erano di sua proprietà. Vi sono di fatto in conferma di tale tradizione alcuni stati della Comunità dai quali apparisce: 1º che fin dal 1623 si pagavano dal Comune L.105 in più gli accessori dell’alloggio, legna e fasci. Più tardi nel 1689 troviamo che la spesa del predicatore montava a L. 200, le quali per sistemazione di finanze si proponeva di levarle o ridurle. Sia che indiscrete fossero le pretenzioni dei predicatori; sia che il paese non avesse famiglie abbastanza aggiate per assumerne il mantenimento ebbe a ripetersi più volte il caso nella prima metà del ‘700 che il paese restasse senza predicazione così che ebbe ad avverarsi nel 1761 in cui fu sostenuta la predicazione da Canonico Fibramonti di Mantova a mediazione del quale fu convenuto che la Comunità darebbe l’uso del primo camerino al Parroco purchè questi si obbligasse a mantenere il predicatore per L.105. Convenzione più tardi confermata fra la Comunità ed il Silvetti (parroco pro tempore) con certa solennità – Convenzione per la quale si cedeva l’uso di due camerini più la pensione di L. 105 – Troviamo di fatto in uno stato del 1789 che il Comune pagava ancora L. 105 in più si parlava dei camerini come di un fatto già confermato, Col 1796 vennero soppressi i canonici, i consorziali e per conseguente vennero menomati i proventi che poteva avere la Chiesa per le ufficiature. I camerini restano attaccati alla canonica come proprietà assodata. La predicazione da giornaliera fu fatta domenicale. La Chiesa continuò a percepire l’assegno per il, mantenimento, liberata dall’onere di fatto di alloggio continuò a godere finchè un bel giorno si vendeva la canonica cogli annessi camerini senza pensare che il Comune vi conservava il diretto dominio. Lascerò che altri di mente più elastica e sottile tenti la forse non difficile soluzione del quesito, se cioè il soccorso sia più quale un sussidio che alla Fabbriceria paga il Comune per la predicazione o se questo sia tutto ad esclusivo carico del Comune. Quando anche lo fosse stato in origine, non lo è più dopo le convenzioni passate; difatto la nomina del predicatore è del Parroco; la predicazione è obbligatoria fin da quando fu eretta in plebana e la somma delle L.105 è una pura regalia sulla quale la fabbriceria può fare affidamento.
Festa di S.Concordia Patrona e Tutelare. Nel 1623 il comune interveniva alla traslazione del corpo di S.Concordia che il Rettore donava. Troviamo difatto che nei bilanci successivi figuri quasi sempre una certa somma da erogarsi a solennizzare la festa della Santa, non che alle esposizioni e processioni straordinarie per chiedere grazie. Se continui o no tale assegno non so.
In occasione della Peste avvenuta nel 1632 fu fatto di festeggiare il giorno di S. Rocco con festa del Comune erogandovi la somma di L. 70. Più di mantenere la lampada della B. V. nella Chiesa della Nunziata con l’assegno di L. 12 che più tardi fu accollato tal onere ai livellari del molino. Come pure al sagrestano per custodire l’altare di S.Rocco di ragione della Comunità L.5. La Comunità celebra tal festa nell’antico Oratorio della Nunziata ove aveva fatto fabbricare a proprie spese l’altare dedicato al Santo; più di cui si valse per fabricarvi il nuovo nel 1730 per soddisfarvi il voto degli antenati ove pure di proprio vi allegò il nuovo quadro di S.Rocco per essere il vecchio logoro e consumato dagli anni Così di lettera di Giuseppe Turchi vice gerente nel 1789.
Il voto a S.Rocco dovè essere anteriore al 1632 perchè lo troviamo già nominato in uno stato del 1623; forse fu fatto nella riconoscenza di una delle molte pestilenze che troppo di frequente desolavano questi dintorni durante il secolo XVI. Nel 1632 fu forse rinnovato coll’aggiunta della lampada alla B.V. come per nuova testimonianza di divozione e di ringraziamento. L’Arciprete D. Filippo Giacomo Chierici con lettera del14 giugno 1815 prendendo argomento da lettera Governativa del 30 agosto 1814, la quale intendeva a rimettere le singole Chiese nel primitivo diritto di percepire quegli emolumenti e vantaggi che antecedentemente percepivano per oggetto di culto dalle rispettive comuni fosse per pubblico voto di popolazioni, per testamentaria volontà o per introdotta consuetudine, il Chierici chiedea il ripristinamento a carico del Comune per l’anno 1816 del pagamento di Zecchini 12 a pro del Predicatore (.. che è sempre stato, prescindendo dagli ultimi burrascosi tempi, in uso di chiamare d’altronde, senza che vogliasi a tale ufficio arbitrariamente pretendere di costringere il Parroco, che solo esclusivamente ad ogni altro deve essere a ciò volendo preferito; e questo perchè sussistono in giornata , e sono via maggiormente per sussistere in avvenire gli identici motivi stessi che necessitavano la Comune ad accrescere sino alla detta somma un tale assegno: avuto in vista oltre la scarsezza di ministri Evangelici il difetto attuale delle soppresse Ecclesiastiche Corporazioni che vi contribuivano in passato, non che l’universale depauperamento e mancanza delle famiglie che, colle proprie oblazioni, supplivano alla scarsezza del primitivo antico appuntamento, troppo sproporzionato alla sussistenza del Predicatore e sconveniente alla dignità dell’oggetto….) e l’annua corresponsione della mercede all’organista e abbassa mantici, corrispondente a 7 dodicesimenti (?) essendo gli altri cinque pagati dal Consorzio. Chiedeva pure che fosse rimesso l’altare di S.Rocco di ragione della Comunità eretto per pubblico voto e per conto della Comunità mantenuto. IL Consiglio Comunale di Rubiera a 6 dicembre 1815, quanto al rimettere e fornire l’altare del voto “così detto di S.Rocco”, di ragione della Comunità, degli oggetti periti o esportati via dalle truppe Napoletane nel loro stanziamento a Rubiera, nel principio dell’anno 1814 la Comunità verificato il sofferto saccheggio dell’altare predetto, il di cui mantenimento è sempre stato a carico comunale, ha stanziato £. Mod.si 200 per provvedere di effetti sacri. Riguardo alla spesa pel Predicatore il Comune accede a rimettere in corso la quota assegnatali prima del 1796 in Mod.si £105 non già quella richiesta dall’Arciprete di £. 360; che per riflesso delle mancanti soppresse corporazioni, le quali concorrevano per quota a formare l’ultimo assegno delle ridette £.360, venne sostenuto negli anni 1805; 1806; 1807 per intero dal Comune, e che urtò del tutto col decreto del passato governo italiano che proibì ogni sorta di spesa di culto a carico del Comune.
Che riguardo alla spesa dell’organista e inserviente in Mod.si £.180 il primo e £ 30 annue il secondo, il Comune sulla certezza che detta spesa fu sempre a carico Comunale approva a pieni voti.
La villa di S.Donnino di Liguria venne aggregata alla Comunità di Rubiera nell’anno 1810 e ne fu nuovamente distaccata al cominciare del 1816 in forza di un sovrano decreto del 29 dicembre 1815.
Da affitti –
Collegiata e Consorzio di Rubiera £. 6832.10
Fabrica del Consorzio di Rubiera “. 2172.00
Confrat.ta dell’Annunziata “. 183.00 £. 9412,10
Beneficio di S.Michele nella
Cattedrale di Reggio. £. 675.00
Da censi
Collegiata e Consorzio di Rubiera £. 865,1,7
Confrat.ta dell’Annunziata “. 256,17,0
Confrat.ta del Santissimo di R. £. 280,10,7 £.1659,7,4
Confrat.ta di Cacciola “. 229,2,1
Confrat.ta di S.Faustino “. 27,16,1
Da Livelli Collegiata e Consorzio £. 33,13,4
Fabbrica del Consorzio “. 180,0,0
Confrat.ta dell’Annunziata “. 1440,0 £.2928.13.4
Confrat.ta di Fontana £. 720,0,0
Confrat.ta di Bagno “. 555,0,0
Somma totale dell’Entrata £. 14000,10,8
CONSORZIO DI RUBIERA E COLLEGIATA
Stato attivo del distretto di Rubiera
(Assegnati colla legge 18 fienile)
Conduttori e Patria | Fondo e destinazione | Denominazione | Biolcatico | Valore consueto a moneta di Reggio | Durata della condotta | Scadenza | Affitto annuo | |||||||
Bagni Lodovico | Stabile in Fontana | Canini | 14.3.18 | £. 4604 | Anni 9 | 31 ottobre 1809 | ||||||||
Bagni suddetto | Stabile in Fontana | Del Canale | 17.43.11 | £. 5554 | Anni 9 | 31 ottobre 1809 | ||||||||
Bagni suddetto | Campo in Casale | Canale dell’erba | 4.37.8 | £. 1125 | Anni 9 | 31 ottobre 1809 | ||||||||
Bagni suddetto | Prato sui Paduli Rub. | Crocietta | 3.28.7 | £. 3314 | Anni 9 | 31 ottobre 1809 | £. 5850.00 | |||||||
Bagni suddetto | Prato sui Paduli Rub | Cerca | 3.29.1 | £. 1378 | Anni 9 | 31 ottobre 1809 | ||||||||
Bagni suddetto | Prato sui Paduli Rub | Le lunghe | 5.13.5 | £. 3458 | Anni 9 | 31 ottobre 1809 | ||||||||
Bagni suddetto | Prato sui Paduli Rub | Del Canale | 2.15.11 | £. 1722 | Anni 9 | 31 ottobre 1809 | ||||||||
Prampolini di Rubiera |
Prato nei Borghi Rub. | Della mura | 1.30.11 | £. 988 | Anni 9 | 31 ottobre 1802 | £. 315.00 | |||||||
Olivi Prospero | Casa in Rubiera | Dell’annunziata | ……. | £. 632 | Anni 9 | 31 ottobre 1802 | £. 97.10 | |||||||
Salvini | Casa con guasto | Della mura | ……. | £. 738 | Anni 9 | 31 ottobre 1802 | £. 120.00 | |||||||
Somma annua | £.6382.10 |
Censuari e Patria |
Capitale
Frutto annuo
Durata
Nome del notaro
Datadel deposito
Frutto annuo
QUAGLIANI di Rubiera
£. 939.10.4
Al 6%
—
MARI Domenico
22 novembre 1734
£.
Idem
£. 551.15.7
Al 6%
—
MARI Domenico
12 aprile 1758
£. 106.17.6
Idem
£. 551.15.7
Al 6%
—
DEBBI Andrea
3 maggio 1773
£.
BARBIERI don Cristoforo
£. 2798.18.3
Al 5%
—
RUFFINI Ferdinando
27 settembre 1783
£. 139.18.10
AICARDI di Bagno
£. 540.15.0
Al 6%
—
MARI Domenico
17 agosto 1759
£. 32.8.4
MALAGOLI Filippo di Rubiera
£. 772.10.0
Al 7%
—
CESSANTI Marcello
7 febbraio 1699
20 luglio 1733
£. 54.1.6
MORI Giuseppe di Rubiera
£. 608.2.0
Al 7%
—
MARI Domenico
20 luglio 1733
£. 42.11.3
BARACCHI Antonio
£. 750.00.0
Al 7%
—
MARI Domenico
6 marzo 1769
£. 52.10.11
FERRARI Gia. Di S.Faustino
£. 915.00.0
Al 5%
—
CERVINI Giulio Cesare
26 marzo 1769
£. 49.15.0
RIVA Gasparo di Bagno
£. 722.16.0
Al 7%
—
£. 34.1.6
GUIDETTI Vinc. Di Rubiera
£. 1380.00.0
Al 5%
—
RUFFINI Ferdinando
10 ottobre 1789
£. 67.10.0
FERRARI Luigi di Rubiera
£. 772.10.0
Al 6%
—
DEBBI Andrea
5 maggio 1773
£. 46.7.0
RUGGERI Ant. Di Rubiera
£. 772.10.0
Al 5%
—
FORNACIARI Andrea
28 marzo 1788
£. 38.12.6
FLACCI Eld..
£. 668.18.0
Al 5%
—
CORTOLASI Luigi
28 marzo 1792
£. 30.6.9
COIRRADI Gia di Rubiera
£. 629.14.0
Al 5%
—
MIGNANI Vincenzo
8 ottobre 1794
£. 31.9.4
Eredi BAROZZI
£. 551.14.1
Al 6%
—
FERRARI Francesco
9 settembre 1741
£. 44.2.9
Idem
£. 626.7.0
Al 6%
—
MARI Domenico
1 febbraio 1732
£. 37.11.6
Idem
£.681.16.3
Al 6%
—
MARI Domenico
15 giugno 1733
£. 40.18.1
SOMMANO
£. 851.1.7
Locatari e Patria |
Fondo e ubicazione
Denominazione
Biolcatico
Valore cens. A minuta di Modena
Durata della locazione
Scadenza
Affitto annuo
BONI Giuseppe di Fontana
Stabile in Fontana
Luoghetto
5.47.5
£. 1730
Anni 9
31 ottobre 1802
£. 585
SIGNORELLI di S.Martino
Prato nei Paduli
———-
3.32.5
£. 2158
Anni 9
31 ottobre 1802
£. 507
….Domeniciùo di Rubiera
Prato nei Paduli
———-
4.56.9
£. 3192
Anni 9
31 ottobre 1802
SOMMANO
£.2172
Livellari e Patria |
Fondo e ubicazione
Scadenza del canone
Durata
Nome del notaro
Datadel rogito
Canone annuo
SILVETTI Arciprete di Rubiera
Prato nei Paduli
————
Vitalizio
———-
————-
idem
Prato nei Borghi di Rubiera
————
Vitalizio
————
————
£. 180
idem
Prato nei Borghi di Rubiera
————
Vitalizio
————
————
BARACCHI Francesco
Una casa e 4 b.che di terra in Bagno
29 settembre di ogni anno
Perpetuo
MIGNANI Vincenzo
23 settembre 1795
£. 13.16.10
MARTINELLI di Reggio
Due terzi di una casa eb.che 5.24 di terra
Come sopra
Idem
MIGNANI Vincenzo
24 luglio 1797
£..6.3.0
GRANDI di Corticella
Una casa e b.che 3 di terra in Bagno
Come sopra
Idem
FERRARI Stefano
18 aprile 1791
£. 3.10.6
GUIDETTI di Corticella
Tre b.che di terra in Corticella
Come sopra
Idem
FORNACIARAndrea
26 aprile 1791
£. 3.10.6
D.OGNIBENE di Bagno
Tre b.che di terra in Bagno
Come sopra
Idem
MIGNANI Vincenzo
2 dicembre 1795
£. 4..0.0
MANICARDI di Bagno
Due parti di casa in Bagnoe tre quarti di una b.ca di terra
Come sopra
Idem
MIGNANI Vincenzo
25 settembre 1795
£. 0.12.0.
PRAMPOLINI di Rubiera
Una terza parte di una casa in Bagno
Come sopra
Idem
MIGNANI Vincenzo
3 novembre 1795
£. 0.6.0
RUGGERINI di S.Donnino
B.che 17,24 di terra in Borgo Raffano
Come sopra
Idem
MIGNANI Vincenzo
23 settembre 1795
£. 0.7.6
VENTURELLI ——–
B.che 1 e ½ di terra nei Paduli
Come sopra
Idem
FERRARI Tommaso
24 maggio 1791
£. 1.4.6
SOMMANO
£. .33.13.4
Conduttori e Patria |
Fondo e ubicazione
Valore censuale a moneta di Modena
Durata della condotta
Annuo affitto
BRUNARDI Giuseppe di Rubiera
Casa in Rubiera
£. 526
A piacimento
£. 120
COPELLI Giovanni di Rubiera
Bottega in Rubiera
£. 316
A piacimento
£. 63
SOMMANO £.
183
Livellari e Patria |
Fondo e ubicazione
Scadenza del canone
Durata
Notaro
Data del rogito
Annuo canone
BRUNARDI Giuseppe di Rubiera
Un luogo in Fontana e due in Rubiera
15 agosto e 15 dicembre
Perpetua
CORTOLASI Luigi
8 agosto 1791
£. 1440
Censuari e Patria |
Capitale
Frutto
Durata
Notaro
Data del rogito
Annuo frutto
BARBIERI Cristoforo
£. 1709.6.3
Al 5%
Perpetua
BESINI Antonio
18 febbraio 1783
£. 83.10
MORLINI Antonio di Modena
Scudi 300
———
Perpetua
——–
———
£. 150
RUGGERI di S.Donnino
£. 305.1.6
Al 7%
Perpetua
MARI Domenico
29 aprile 1741
£. 21.7
SOMMANO
£. 250.17
CONFRATERNITA DEL SS:mo SACRAMENTO DI RUBIERA
Censuari e Patria |
Capitale
Frutto
Durata
Notaro
Data del rogito
Annuo frutto
BERTAZZI Luigi di Rubiera
£. 958.2.6
Al 6%
16 giugno 1808
MIGNANI Vincenzo
10 giugno 1796
£. 23.3.6
VECCHI Flaminio di Rubiera
£. 772.10
Al 6%
Perpetua
LUISINI Cesare
11 febbraio 1787
£. 46.70
VENTURELLI Bastiano di Rubiera
£. 2479.10.9
Al 6%
perpetua
BALDINI Bartolomeo
5 agosto 1778
£. 148.15.8
NASI Gaetano di Modena
£. 1244.15.4
Al 5%
Perpetua
MESINI Antonio
11 agosto 1793
£. 62.49
SOMMANO
£. 286.10.7
CONFRATERNITA DI CACCIOLA
Censuari e Patria |
Capitale
Frutto
Durata
Notaro
Data del rogito
Annuo frutto
NASI Gaetano di Modena
£. 958.2.6
Al 5%
Perpetua
MESINI Antonio
11 agosto 1783
£. 47.17.1
PRAMPILINI Antonio di Bagno
£. 1550
Al 5%
Perpetua
SPALLANZANI Nicola
13 novembre 1776
£. 85.5.6
GUIDETTI Domenico di Reggio
£. 1600
Al 6%
perpetua
CAGNOLI Patrizio
5 agosto 1796
£. 96.0.0
SOMMANO
£. 229.2.1
CONFRATERNITA DI SAN FAUSTINO
Censuari e Patria |
Capitale
Frutto
Durata
Notaro
Data del rogito
Annuo frutto
BERTAZZI Luigi di Rubiera
463.10
al 6 %
16 giugno1802
MIGNANI Vincenzo
16 giugno 1796
L. 27.16.1
CONFRATERNITA DI FONTANA
Livellari e Patria |
Fondo e Ubicazione
Scadenza del canone
Durata
Notaro
Data del rogito
Annuo Canone
BONASSISI Biagio di Campogalliano
Due piccoli stabili in Fontana
perpetuo
Perpetua
CORTOLASI Luigi
8 agosto 1791
L.720
CONFRATERNITA DI BAGNO
Livellari e Patria |
Fondo e Ubicazione
Scadenza del canone
Durata
Notaro
Data del rogito
Annuo Canone
MANZOTTI Giuseppe di Bagno
Porzione di casa e tre pezze di terra in Coirticella
perpetuo
Perpetua
LUISINI Cesare
3 agosto 1790
L.555
STATO ATTIVO DEL DISTRETTO DI RUBIERA
- Collegiata e Consorzio di Rubiera
- Fabbrica del Consorzio
- Confraternita dell’Annunziata di Rubiera
- Confraternita del SS. Sacramento di Rubiera
- Confraternita di Cacciola
- Confraternita di S.Faustino
- Confraternita di Fontana
- Confraternita di Bagno
Legati Spettanti Alla Confraternita Della SS.ma Annunziata Di Rubiera
Legato Alberizzi
Con testamento del 17 febbraio 1739 a Rogito Tommaso Ferrari, Giuseppe Alberizzi lascia alla confraternita dell SS. Annunziata di Rubiera tutti i suoi beni che erano in luogo posto nella villa di Fontana di B.che 9 e in un prato posto nei paduli di Rubiera di B.che 2 1/2. Più una proprietà di scudi 100 contro D. Giov. Grappi acquistata col ricavato nella vendita di mobili. Con obbligo di erogare tutte le rendite ogni anno in tante messe nella Chiesa della Compagnia e specialmente nei giorni nei quali i detti Confratelli fanno qualche particolare funzione in Chiesa, e questo per l’anima del testatore e suoi.
Legato Montanari
Con testamento delli 8 agosto 1739 a rogito Domenico Mari di Rubiera Paolo Montanari lasciò alla suddetta Compagnia dell’Annunziata i suoi beni cioè una piccola casa posta in Rubiera coll’obbligo di fare celebrare ogni anno 10 messe per l’anima di esso testatore.
Legato Dionigi
Con testamento 17 aprile 1783 a rogito Bernardino Gallinari di Rubiera, Giacomo Dionigi lasciò alla suddetta Confraternita una piccola casa e una bottega in Rubiera coll’obbligo di far celebrare in perpetuo ogni anno nei giorni di venerdì la Messa detta della buona morte, mezz’ora circa della prima del mezzogiorno nella Chiesa della Confraternita.
Legato Briè
Con testamento 27 luglio 1744 a rogito Tommaso Ferrari di Rubiera la Teodora Bonini di Briè lascia alla suddetta Confraternita tutti i di lei beni coll’obbligo di far celebrare ogni anno in perpetuo messe 40 avanti l’altare della SS.ma Annunziata.
Legato Berti
Con testamento 1 maggio 1759 a rogito Ferrari Francesco di Rubiera il Capitano Alessandro Berti lasciò alla suddetta Assunta un censo in proprietà di scudi 50 da L. 5.3 contro li eredi di Mauro Zinnani affinchè col frutto del predetto censo possa mantenersi decorosamente l’altare o Cappella di S. Alessandro posta a mano destra della Chiesa dell’Annunziata.
LEGATI ATTINENTI ALLA CONFRATERNITA DEL SS.mo SACRAMENTO DI RUBIERA
Legato Gallinari
Con testamento del 17 aprile 1703 a rogito Gallinari di Rubiera, Giacomo Dionigi lasciò alla Confraternita del Sacramento di Rubiera tre censi in proprietà di 100 scudi ognuno affinchè con l’annuo frutto si comprasse tutta la cera da servire nelle domeniche di Quaresima, nei venerdì do Marzo, nella festa dell’avvento, e nella novena del Natale. Lasciò altri 100 scudi in servizio dell’esposizione e processione di S. Concordia
LEGATI ATTINENTI ALLA CONFRATERNITA DEL SS.mo SACRAMENTO E ROSARIO DI FONTANA
Legato Barigazzi
Con testamento 16 settembre 1750 a rogito Domenico Mari di Rubiera i coniugi Gio. e Catterina Barigazzi lasciarono alla Conf.ta di Fontana, un luogo posto in Fontana con obbligo di erogare in perpetuo le entrate in tante messe nella Parrocchiale di Fontana.
Legato Reggiani
Con codicillo 12 marzo 1728 a rogito Gallinari di Rubiera Giovanni Reggiani lasciò alla Conf.ta del Rosario di Fontana un luogo detto “La Bassa” con casa e prato di B.che 1 e 1/2 posto in Fontana vicino alla Chiesa, coll’obbligo di erogarne la metà della rendita in messe nell’altare del Rosario in Fontana, l’altra metà pei bisogni della Compagnia.
LEGATI ATTINENTI ALLA COMPAGNIA DEL SANTO ROSARIO DI CACCIOLA
Legato Bellentani
Con rogito di Giov. Nicola Spallanzani di Scandiano del 1 luglio 1743 D. Franco Bellentani lasciò all’altare maggiore di Cacciola una porzione di casa situata in Arceto con obbligo che l’entrata sia erogata nell’armamento di esso altare.
Legato Strucchi
Con rogito Niccolò Spallanzani di Scandiano a 13 novembre 1770 Antonio Prampolini di Cacciola crea un censo di scudi 11 da L. 7,15 di Reggio a favore della Conf.ta del SS.mo Sacramento e Rosario di Cacciola, coll’obbligo di 36 messe annuali.
Legato Ferrari
Con rogito Giampatrizio Cagnoli di Reggio a 5 agosto 1769 Giacomo Spagni di Reggio crea un censo di ducatoni 12 da L. 8 di Reggio a favore della Cof.ta del Rosario di Cacciola coll’obbligo di un uffizio annuo e di 15 messe in onore dei 15 misteri del Rosario.
LEGATI ATTINENTI ALLA CONFRATERNITA DI BAGNO
Legato Franzoni
Con rogito di Bernardino Gallinari di Rubiera a 19 maggio 1718 la Maria Ricchetti vedova Franzoni di Corticella lasciò alla Conf.ta del SS.mo Sacramento e Rosario di Bagno la terza parte di un luogo e casa posti in Corticella, senza nessun obbligo determinato.
Legato Montanari
Con rogito di Domenico Mari di Rubiera a 17 settembre 1744 l. arciprete di Bagno D. Franco Montanari lasciò alla Conf.ta di Bagno un fondo fruttifero costituito col materiale della fornace e coi legnami esistenti nella canonica e possessione di essa Chiesa perchè si mantenga l’ottava dell’Immacolata Concezione, e si faccia celebrare ogni anno una messa nelle feste della Concezione di S. Franco da Sales, di S. Franco Xaverio, di S. Franco da Paola e del Beato Serafino’.
Il beneplacito di concessione, appare da bolla della Dattaria Romana sotto il giorno 18 giugno 1704 (Vedi le costituzioni Capitolari)
Nel saccheggio dato a Rubiera dall’armata francese di Mac Donald i rogiti, i libri, e i recapiti degli archivi del Consorzio e della Confraternita furono lacerati e bruciati. (da lettera del 8 luglio 1803).
Beni Di Ragione Del Consorzio Di Rubiera
Un piccolo luogo posto in Fontana
Un prato in Rubiera
Un prato in Gazzata
Altri tre pezzi di prato nei paduli di Rubiera,
D. Cristoforo Barbieri anziano del
Consorzio di Rubiera
La Nunziata fu saccheggiata dalle truppe del Duca di Napoli, e fatta servire a Quartiere. Del 1798 fu chiusa la Nunziata e la Chiesa del Consorzio. Il Consorzio Presbiteriale di Rubiera fu nuovamente ripristinato dal governo austriaco nel possesso ed amministrazione tanto dei propri beni tanto quelli della cosiddetta Fabbriceria tuttora invenduti.
Da una nota delle entrate della Collegiata di Rubiera del 1795 risulta:
Affitto di beni ————————————————— £. 13500.
Affitto del piccolo orto attiguo alla Chiesa—————- £. 20
Canoni di livelli ————————————————– “. 22
£. 13542.4.4
Giuseppe Mazzanti
Resoconto generale dell’entrata del Consorzio di Rubiera nel 1795.
Affitto di due luoghi di una pezza di terra arborata e vitata £. 1683
Altra pezza di terra vicino a Rubiera “. 210
Del luogo in Fontana “. 390
11 undici pezzi di Prato nei Paduli “. 2158
Due piccole case entro Rubiera “. 145
Frutti di vari censi “. 627.17.7
“. 6215.17.7
STATO ATTIVO DEL CONSORZIO PRESBITERIALE DI RUBIERA
esistente nella Chiesa Parrocchiale detta del Cimitero ora sotto il titolo
di S.Giuseppe.
- Un podere in villa Fontana con casa di B.che 5 Tav.le 47 Pert, 5 affittato £. 390
- Un prato nei Paduli di B.che 4. T. 56. P.9 “. 720
- Un prato nei Paduli di B. 3. T. 17. P.4 “. 338
- Tre campi nei Paduli di B. 7. T. 65. P.4 “. 120
- Un podere con casa in Fontana B. 14. T. 3. P.10
- Altro podere in Fontana B. 22 in due campi £. 1950
- Un pezzo di Prato nei Paduli B. 3 T.28 P.7
- Un altro come sopra
- Come sopra
- come sopra
- come sopra Affittati per £. 1715
- Un pezzo di prato B.1.50.11 “. 210
- Una casette in Rubiera nella contrada dell’Annunziata “. 55
- Una casetta nella contrada degli Essicatori in Rubiera “. 90
CAPITALI FRUTTIFERI
- Un censo di proprietà del frutto—————————————— £. 14.14.3
- Altro censo ——————————————————————- “. 37.11.6
- Altro censo——————————————————————- “. 19.0.0
- Altro censo——————————————————————– “. 91.16.11
- Altro censo——————————————————————— “. 20.16.6
- Altro censo——————————————————————— “. 34.0.0
- idem—————————————————————————— “. 27.6.0
- idem—————————————————————————– “. 33.13.8
- idem—————————————————————————— “. 30.10.0
- idem—————————————————————————— “. 33.14.0
- idem—————————————————————————— “. 48.6.0
- idem—————————————————————————— “. 25.0.0
- idem—————————————————————————— “. 20.15.0
- idem—————————————————————————— “. 21.4.6
- idem——————————————————————————-“. 20.19.7
- idem——————————————————————————-“. 26.9.5
- idem——————————————————————————-“. 23.1.0
- idem—————————————————————————— “. 25.4.11
SOMMA TOTALE DELLO STATO ATTIVO £. 6156.1.3
Detratto lo stato passivo da tale somma restava l’entrata netta per ciascun anno
di £. 3321.2.8
Diviso questo in tre porzioni uguali, essendo tre i sacerdoti componenti il Consorzio
toccava a ciascuno in distribuzione corale £. 1107.10.2\3
Il consorzio possedeva altri beni fruttiferi nel territorio di Rubiera.
“Non è possibile accennare ad un atto di erezione del Consorzio stesso perchè per ragione della poca credibilità e dell’incuria avuta nei secoli passati manca un tal documento al di lui archivio il quale è qui fornito di altri documenti che ne provano l’esistenza antichissima come l’originale approvazione della Costituzione fatta l’anno 1623 sotto il Rettore D. Orazio Sabbatini”.
SI ACCENNI L’ORGANIZZAZIONE DEL CONSORZIO STESSO
Il Consorzio è organizzato in modo che ogni sacerdote nativo del Paese approvato nel “Canto fermo” (Canto Gregoriano) pur abile e di esemplari costumi, previa una prova trimestrale ha diritto di essere ammesso nel Consorzio, e così il Parroco pro tempore come pure un Giurisdizionario fornito dei sopraddetti requisiti qualora il Consorzio fosse ridotto allo scarso numero di due soggetti soli per difetto di altri oriundi del Paese medesimo, il quale però deve cedere il luogo all’oriundo che sopravvenga.
Tale Consorzio, oltre i vari particolari suoi obblighi per soddisfazione di legati Pii è tenuto servire in aiuto del Coro della Collegiata ogni giorno di festa e così prestarsi nelle altre funzioni in aiuto al celebrante. Ogni Consorziale percepisce a fina d’anno passato una porzione dell’entrata depurata di tutte le spese, quale porzione è un frutto della sua “ferlinatura” corale ed elemosina delle messe sia cantate che private da lui celebrate.
STATO ATTIVO DELLA COLLEGIATA DEI CANONICI
Fu eretto sotto il titolo di S. Donino e Biagio 1704 con bolla del Pontefice Clemente XI a istanza del Duca Rinaldo, e furono alla medesima assegnati i seguenti beni già dell’Arcipretura di S.Faustino e Giovita, lasciato però un congruo beneficio al Parroco di detta Chiesa cui fu dato il titolo di Vicario Perpetuo.
NOTA DI STABILI NELLA VILLA DI S. FAUSTINO FRAZIONE DI RUBIERA.
- Una possessione detta “la Grande” di B.che 134.39
- “la Cantona” ” 102.71
- ” “di Mezzo” ” 92.69
- ” “la Scannata” ” 112.48
- ” “il Logazzo” ” 41.1
- ” “la Guizzante” ” 49.48
- ” “le Fratte” ” 25.48
Nella Villa di Bagno
- ” “la Regina” ” 48.21
Nei borghi di Rubiera
- Una casa detta “La Bianca” con terra Prativa ” 15.37
Capitali dei quali sono dotati in corpo di suddetti stabili
Di bestiame presenti 408 di Mod.si £.2101:4
Frumento staia 84
Frutta 34.6
Fava 8
Misture 6
Fine di Canapa 8.6
Detti fondi furono affittati nel 1784 per 12 anni per l’annuo canone di £.13500
Le biolche erano 623.22
Ancora
Un piccolo prato nei Paduli di Rubiera di B.che 1 affittato per £. 90 annuali ai succespitatori de beni pro tempora
Un piccolo orto entro Rubiera contiguo alla Chiesa affittato per canone di £. 20 dell’estensione di Tavole 9.
DEL CONSORZIO PRESBITERIALE DI S.DONNINO E BIAGIO
In quale epoca avesse origine il Consorzio dei Preti di Rubiera non si conosce essendo stati distrutti gli archivi dai Francesi nel 1800.
Lo troviamo già esistente e costituito fin dai primordi del 1600, come da annotazione delle memorie . (La più antica delle corporazioni religiose era il consorzio dei Preti di S.Donnino e Biagio; associazione resa necessaria a mantenere in luogo un certo numero di preti bastevoli all’ufficiatura e al decoro della Chiesa non che ai bisogni della Popolazione. Furono i Consorziali promotori primi a introdurre S.Concordia e spontanei ne assunsero di conserva col comune le spese di traslazione e della celebrazione della festa).
Nel 1623 se ne riformavano gli statuti che furono poi confermati dal Cardinale D’Este. Statuti che servirono fino alla sua abolizione.
La sua organizzazione consisteva nel servire al culto della Chiesa Parrocchiale dividendosi il di più delle entrate in elemosine che si distribuivano a quelli secondo gli ordini assistevano alle funzioni. Avevano sede e oficiatura nella Chiesa Parocchiale e ivi pure tenevano le loro riunioni Consorziali.
Ebbero parte attiva nell’acquisto della Reliquia di S.Concordia, e in segno di comproprietà tenevano una delle tre chiavi dell’arca.
Coll’introdursi della Collegiata che prese posto nella Chiesa stessa cominciò il loro declino, dovendo esercitare una parte secondaria dove per tanto tempo avevano il primo seggio. Quivi funzionavano di conserva coi Canonici fino al 1719 epoca in cui col Capitolo passò la Parrocchiale nella nuova Chiesa dedicata a S.Donnino e S.ta Concordia. Restò la vecchia Chiesa a disposizione sei Consorziali prendendo il nome di S.Giuseppe; ed essi colle proprie entrate sopperirono decorosamente alle spese di culto e a quelle manutenzioni e miglioramenti che seppe alimentare e suggerire la gara della vecchia istituzione messa a fronte dei privilegi della nuova.
Colla invasione delle armate Francesi (1798) fu soppresso il Consorzio e chiusa la Chiesa che aveva servito per non pochi anni di succursale alla nuova. Restò però a pubblico servizio le sepolture che la faceva chiamare “il Cimitero”.
Le sue entrate erano: i bassifondi furono incamerati e venduti per bastare ai bisogni del governo. Qual conto si facesse degli oneri cui erano vincolati quei lasciti non conosco.
La Chiesa soppresso il cimitero colle spoglie del povero D.Andreoli servì di fienile e di rimessa e restò a disposizione della Comuna che se ne era aggiudicata la proprietà. Finalmente il Parroco Bassignani Antonio (1836-1855) ne rivendicò la proprietà alla Fabbriceria, e fu poi venduta e trasformata ad uso di abitazione civile – Furono però prima della vendita espurgate le sepolture e ne furono interrati gli avanzi nel nuovo cimitero – Fu fatto credere che il teschio del D.Andreoli fosse raccolto da Don Landini che presiedeva a quell’espurgo. Si ruppero e si guastarono le lapidi che coprivano le tombe. –
Furono dalla vecchia Chiesa levate le colonne di marmo e alcuni pagli di scajola che furono collocati nella Chiesa Parocchiale; furono levate le lapidi di cui vi era buon numero sui muri della Chiesa e furono ridotte a vili usi senza raccoglierne le iscrizioni senza carità dei defunti, e senza giustizia verso chi le fece porre.
Le pietre marmoree sepolcrali e rispettivi contorni ebbero egual fine; per cui nulla restò ad eccezione di una Madonnetta a muro, chiusa in un basso fondo dell’attuale casa. Gli ultimi Canonici ebbero sepoltura nella Chiesa Parocchiale, nel presbiterio dell’altare maggiore.
Consorziali del 1722:
1)- Don Franco Ferrari
2)- Don Giacomo Barigazzi
3)- Don Franco Lusvarghi
4)- Don Nicola Gavardi
5)- Don Giulio Sacchetti
6)- Don Giuseppe Ferrari
RELIQUIE DI SANTA CONCORDIA PATRONA DI RUBIERA
Delle Reliquie del Corpo di S.ta Concordia Patrona e Tutrice di Rubiera.
I padri nostri veneravano con singolare devozione Santa Concordia come Patrona e Tutrice del Paese. A lei consacrarono la Chiesa ove si conservano le ossa; a lei specialmente si dedicava l’ancona e il quadro dell’altare maggiore (autore il pittore Vincenzi di Modena); a lei si dedicava il giorno di sua Traslazione come Sagra Solenne con Fiera; a lei si ricorreva nelle pubbliche e private calamità come sicuro rifugio. (….sfilava in lunga fila devotamente inneggiando la Confraternita della Nunziata, il Consorzio dei Preti ecc. … e procedeva in ricco Trono la Reliquia in mezzo all’armonie musicali della banda, al devoto salmeggiare dei frati, all’inneggiare maestoso delle Confraternite, al mormorio delle bisbigliate litanie, allo scampanio grosso e festivo dei sacri bronzi, agli scoppi delle artiglierie che dai baluardi tiravano a festa….) A noi i padri nostri tramandavano come eredità la continuazione di quel culto e di quella devozione. Come rispondemmo noi a quel legato? Da qualche anno vedo andare in declino quella devozione; trascurata la festa; scompagnata la Santa dal Conpatrono S.Donnino; scomparsa la Fiera che si faceva nella sua festa; messa ormai a rango dei santi comuni. E perchè il nuovo Parroco non trovava memorie nell’archivio Parocchiale della sua traslazione, dei suoi miracoli, dell’esistenza reale della sua reliquia, corse pericolo il giorno stesso a lei destinato di passare come mezza festa secondaria. Se la devozione generale avvalorata dalla tradizione non avesse fatto forza alla freddezza del Prete a continuare le cose, non a suo piacere ed arbitrio, ma quali ce le tramandava la tradizione e la consuetudine, non avvertiva il dabben uomo che si metteva su di uno sdrucciolo pericoloso cercando le ragioni di possesso e l’autenticità della cosa. Le esitanze però dell’incauto seminarono dubbi ed incertezza nel popolo credente in buona fede, e queste influirono a scemare la venerazione: vedendola messa in forse da chi aveva debito ed interesse morale di avvalorarla. Scansava forse di festeggiare quel giorno che gli offriva occasione a spendere non incentivo a lucrare, oggetto supremo della sacra bottega.
Riassumerò pertanto quanto di meglio ci conservò la tradizione, e quanto ancor bambino raccolsi dalle labbra dei miei padri, che pur furono testimoni dei pericoli corsi dalla Sacra Reliquia. Si raccontava e si credeva dai padri nostri che il Sacro Corpo di S.Concordia fosse acquistato da un Capellano di Rubiera (Sabatini Orazio 1621 – 1632) andato a Roma in pellegrinaggio. Primo miracolo della Santa vuolsi il suo arrivo in Paese. Giunto sul fiume il buon Prete che a spalla sommiera portava la reliquia, dicesi che le campane ne annunziarono l’arrivo suonando a festa per opera di miracolo, e non mosse da uomo; per cui il Paese mosso dal meraviglioso portento corse ad incontrarla. Altro miracolo della santa l’aver salvato il Paese da una minacciata inondazione. sulla metà del ‘600 era minacciato il Paese da Secchia, la quale per frequenti piene aveva disalveato fino a portarsi sotto il Mulino: grossa, impetuosa e crescente minacciava il Paese. Si espose la Sacra Reliquia e processionalmente si procedè contro le acque che recedettero man mano che si procedeva; e parve da quel tempo che detta reliquia avesse virtù speciale di scongiurare i pericoli portati dalle acque. Questi i miracoli principali che ci narra la tradizione. L’epoca pure di sua traslazione ci viene affermata dalla seguente lettera, nella quale la Comunità scriveva a S.A. Ser.ma a 2 di ottobre 1621 (Pag.na 51):
“Il nostro Rettore ha impetrato da Roma il Corpo di S.ta Concordia Martire Romana quale dono a questa Terra e viene anco presa in protezione per avvocata da noi: e abbiamo determinato fare la traslazione Domenica Prossima giorno decimo del presente, che sarà della Fiera di S.Donnino: e sebbene il peso di celebrare tale solennità con quel culto che si deve alle nostre forze è ineguale, nulla di meno vogliamo ciò fare con quel maggiore spirito che abbiamo e di musica e di altre spese alle quali vi concorrerà la Fabrica della Chiesa per sua porzione: e perciò desiderosi che anche Lei sia a parte di questa solennità mandiamo il presente a posta per darne parte a Vostra Altezza Serenissima e supplicare farci grazia del Suo aiuto in tale occasione e concorrere per onore di detta Santa a parte della Sua Intercessione, comandando al Signor Governatore che faccia tirare nell’ingresso che farà la processione dentro la terra tutta l’artiglieria e farle dare la polvere necessaria per tal bisogno. Che oltre l’A. V. S. farà opera gratissima a Sua Divina Maestà e a Santa Concordia noi le resteremo obbligatissimi.” In ricambio del concorso di S.A.S. a decorare la santa Funzione e in segno di gratitudine nel 1625 a 21 di Marzo il Governatore Cimicelli, a nome del Rettore, dei Sacerdoti e della Comunità di Rubiera mandava l’osso della gamba di S.Concordia legato in argento a donare a S. A. Ser.ma (vedi Pag.na 83) Resta quindi provato per tale documento l’epoca in cui Rubiera fece acquisto della Sacra Reliquia, e come il Paese la riconobbe Avvocata e Patrona; associandone la Festa a quella di S.Donnino protettore principale e antichissimo e Titolare dell’antica Chiesa di Rubiera. (Che avvenisse di fatto la traslazione in tal anno e giornata lo attesta il resoconto dell’anno stesso ove la Comunità dice aver sopperito a tale festa senza far debiti). Si conservò nella vecchia Chiesa finchè Parrocchiale dentro un’arca onestamente decorata sotto l’Altare Maggiore; chiusa a tre chiavi delle quali una teneva il Rettore, la seconda il Consorzio, la terza la Communità, che vi aveva ragione di condominio pel concorso alla spesa di prima traslazione, alla Sua festa e di quelle solennità che per causa pubblica s’avesse da esporre la Sacra Reliquia.(Che detta Reliquia fosse introdotta in quell’epoca, e che la Communità vi concorresse nella spesa, figurava ancora per una Stato della Communità stessa del 1623 ove si legge “si è introdotta in Rubiera la Reliquia di Santa Concordia [ vedi fasc.lo 5 – Pag.na 88] Questa annotazione deve precedere quella del dono fatto al Duca).
Nel 1722 in occasione che la Parocchiale passò dalla vecchia nella nuova Chiesa, questa fu dedicata a S.Donnino e Santa Concordia, e furono poi sempre invocati come compatroni. E ne fu continuata la festa e la fiera come in passato. La notificazione a stampa del 1750 chiama di fatto la seconda fiera che durava due giorni (9 e 10 quella di S.Donnino e Concordia [ vedi fasc.16 – Pag.na 308.]
Come sempre la Communità concorse nelle spese di culto (Troviamo di fatto che nel 1779 [vedi Pag.na 309 di una nota di spesa] che la Communità concorreva pel riattamento del Trono di S.ta Concordia essendo quella reliquia proprietà del Pubblico (sic) come pure qualche anno prima ne fu fatta riattare l’arca che si tiene sotto l’altar maggiore. e costante figura negli annui resoconti della Communità una certa somma per la festa della Santa. Nel 1787 si volle portare la fiera che ricorreva nelle feste dei nostri Titolari, nella domenica avanti S. Martino con ciò si venne a frenare il concorso e il decoro della festa della nostra Santa che per tanto volgere di anni così alimentava il culto col chiamare concorso. Restò ciò nulladimeno nel cuore e nella fede degli abitanti, ridotta a sagra che cadendo in giorno non festivo non aveva più attrattiva e richiamo. La Repubblica Francese e il governo Napoleonico sopprimendo la Confraternita della Nunziata; i Consorziali; i Canonici impoveriva la Chiesa, l’alito irreligioso irrideva il culto come superstizione, e come idolatria ma non cessò per questo la venerazione dei devoti, ne mai se ne discontinuò la festa bensì spoglia delle mondane manifestazioni. Alle circostanze malaugurose che ne scemavano e ne dificultavano il culto, doveva pur soprattutto aggiungere il pericolo cui corsero le Sacre Ossa. (Vedi il documento che si conserva presso l’Archivio Parrocchiale di Rubiera)
Nel 1799 i francesi accampati nei nostri dintorni trassero occasione e pretesto da ogni lieve cosa per rapinare. Avidi di bottino non risparmiarono le Chiesa e spinsero le man ladre sacrileghe fino a scassinare l’arca della Santa in cerca di preziosi. Delusi per ira e per disprezzo le sante ossa cacciarono e dispersero profanamente. Ma per opera di devoti furono religiosamente cercate, raccolte e riposte nella loro sede a venerazione dei devoti e dei fedeli. Piccoli frammenti di quelle ossa furono convertiti in private reliquie delle quali una si conservava in mia famiglia. (Dal Rogito dell’Avv.to Malagoli Vicegerente di Rubiera (8 ottobre 1799) raccolgo che l’armata francese reduce da Napoli nei giorni 12 – 13 giugno del 1799 invase e mise a sacco il paese di Rubiera e non rispettandone Tempio ne Tabernacolo, ne le urne delle sacre reliquie, portò le mani ladre nell’urna ove si conservavano le ossa di S.Concordia, che si trovava sotto l’altare maggiore chiusa in triplice cassa e difesa da buon usciale. Presero alloggio nella Chiesa un corpo di truppe e dopo di avere ruinato la Chiesa, aperti i vasi sacri, lacerati gli indumenti, mossi da lusinga di trovare oggetti preziosi scassinò la serratura esterna, forzarono e ruppero la cassa, e ritrovatevi delle ossa, presero le stesse e le dispersero. Partite finalmente le truppe, fra attoniti e spaventati l’Arciprete don Chierici Vicario Foraneo con altri preti testimoni, a rogito del D.re Mignani di Correggio giudice in allora di Rubiera furono raccolte le ossa disperse e furono consegnate all’arciprete per serbarle da maggiori pericoli. Ma avvicinandosi il giorno della sua festa furono esposte alla pubblica venerazione nel loro primitivo posto. Il che fu fatto con solennità ciò per farne memoria ai posteri dell’esistenza del corpo glorioso. A ciò erano presenti il Sindaco Rinaldo Mari, l’arciprete D. Chierici, il Canonico Mazzanti e Don Cristoforo Barbieri rappresentante il Consorzio l’ultimo, il primo la Collegiata. Soppressi il 5 luglio 1798 da un decreto del Direttorio della Repubblica Cisalpina. Sopra la cassetta vi era un sigillo con sopra impresso una Croce una Mitria due Palme e attorno le lettere P. SS. D.B.C. PH.
Chiamati alla ricognizione della cassetta i testimoni si volle pure il concorso del chirurgo condotto Beccaluva per riconoscere le ossa stesse e furono a suo giudizio le seguenti : una porzione di tibia lunga cinque oncie e una porzione di tibia che forma l’articolazione del ginocchio col femore lunga un oncia e un quarto; una porzione di fibula rotta per metà lunga oncie tre. Diversi pezzi di cranio e segnatamente dell’osso frontale e parietale . Due denti molari ed altro pezzo d’osso dell’ anca lungo tre oncie: un pezzo d’osso radio lungo oncie due. Furono quindi riposte dignitosamente dentro la loro cassa e sigillate col timbro Parrocchiale, col sigillo Comunale rappresentante una rocca e all’intorno le seguenti parole: Comunità di Rubiera. Fu quindi riposta sotto l’altare maggiore e quivi chiusa a quattro chiavi delle quali la prima al Parroco, la seconda al Canonico Mazzanti, la terza al Sindaco Mari, la quarta a Don Cristoforo Barbieri.) I due Santi che la pietà dei fedeli congiunse e venerò uniti per due secoli come tutelari del paese, vennero disgiunti restando S.Donnino ai 9 di ottobre e Santa Concordia (ai 13 di agosto) in altra epoca e ciò pure concorse a scemare la devozione che ne rendeva doppiamente sacra e solenne la festa. (Quali fossero i motivi di tale trasporto non conosco e forse si potrebbero chiarire al Vescovado; fu forse in circostanza in cui furono spaiate le fiere portandola alla fine di ottobre). Una volta soppresso il Consorzio la proprietà restò divisa fra la Chiesa Parrocchiale e il Comune; forse era passata prima in proprietà dei Canonici quando intitolarono la Chiesa a S.Donnino e Concordia.
Il Comune concorreva alla manutenzione dell’arca, del trono e della festa che annualmente si celebrava in onore e commemorazione della sua traslazione.
Nel 1621 il Rettore di Rubiera donava a questa terra il Corpo di S.Concordia Martire Romanica che aveva impetrato e ottenuto da Roma. Ci raccontavano bambini i nostri padri che l’arrivo della Santa, giunto il curato che da Roma la trasportava a spalla di sommiera, fu annunziato dal suono a festa delle campane che miracolosamente suonavano; ne fu infrequente miracolo della Santa Reliquia nelle frequenti minacce di inondazioni ch’ebbe a soffrire il Paese in tal epoca, il recedere delle acque man mano che procedeva portata a processione contro le stesse. Fu dal Paese riconosciuta e venerata come compatrona e avvocata nostra, e ne fu stabilita la festa di traslazione ai 9 di ottobre giorno di S.Donnino e fiera di Paese. In tale anno fu difatto solennizzata la traslazione all’entrata della processione entro la terra con tiri di artiglieria che dalla rocca tiravano a salve di allegrezza e di fatto per ordine del Duca stesso. Fu riposta in un arca onestamente decorata sotto l’altare maggiore nella vecchia Chiesa Parrocchiale, chiusa a tre chiavi, una delle quali teneva il rettore l’altra il Consorzio, la terza la Comunità, che vi era concorsa attivamente nell’acquistarla, che nella festa. Si obbligava di più la Comunità in concorso nelle spese della festa, ed in ogni occasione in cui per grazia veniva esposta la Sacra Reliquia. Troviamo di fatto nel 1779 una nota di spese pel riattamento del trono della Santa, come altra di qualche anno prima per l’arca della stessa che si tiene sotto l’altare maggiore; e costantemente figura negli annui resoconti della Comunità una certa somma per la festa della Santa, esibendone la Reliquia proprietà del Pubblico. La licenza militare dei Napoletani che nel 1799 si accamparono costì spinse la mano sacrilega a scassinare l’arca e ne furono per disprezzo disperse le ossa che furono religiosamente raccolte e ritornate alla loro sede dove tuttora stanno a venerazione dei fedeli e dei devoti; qualche piccolo frammento di quelle fu convertito in private reliquie delle quali una conservasi in mia famiglia. Da un resoconto del 1623 vedesi palesemente che la Comunità concorse in primo grado alla spesa dell’introduzione della Santa. E questa è brevemente la storia della nostra avvocata, della quale nulla trovasi nell’archivio Parrocchiale, che il nuovo Parroco freddamente ne continuò la festa sulle poche tradizioni.
– Che detta reliquia fosse introdotta nel 1623 lo attesta uno Stato della Comunià stessa del medesimo anno ove si legge “si è introdotta in Rubiera la reliquia di S.Concordia [ vedi fasc.lo 5 – Pag.na 80] “
- Fu consociata la sua festa a quella di S.Donnino e unite pervennero sino a noi.
- La festa della Patrona S.Concordia si celebrava nel giorno 10 Ottobre d’ogni anno, in commemorazione della traslazione del corpo della Santa, accaduta in tal giorno nel 1623.Dopo duecento anni l’Arciprete Chierici visto il rinovellarsi ogni cinque anni circa la coincidenza di tre feste successive, due delle quali erano semplicemente Parrocchiali, visto che per tale coincidenza ne veniva pregiudizio all’agricoltura per il suo cadere in epoca della maggiore importanza per i lavori della semina, credè bene trasportare la festa stessa ai 13 d’Agosto, giorno assegnato dal calendario alla festa della Santa stessa.
- Portata la Parrocchiale nella Chiesa nuova fu detta di SS. Donnino e Concordia
CONFRATERNITA E ORATORIO DELLA SS. ANNUNZIATA IN RUBIERA
Della Confraternita E Oratorio Della SS.ma Annunziata
Tra le corporazioni religiose che a decoro e utilità del nostro Paese esistevano tuttora sullo scorcio del secolo passato, primeggiava per antichità e per censi la Confraternita della SS.ma Annunciata. Benchè non si conosca esattamente a quale epoca rimonti la sua fondazione, pare da una lettera del Rinaldi Don Giuseppe, che era cappellano nel 1701 abbiamo ragione di farle rimontare al secolo XIV. La troviamo di fatto sulla metà del 1600 fiorente di credito e di dotazioni ( 1617 esiste la confraternita come da libri di memorie – 1624 esiste la Comunità – vedi pag.126 – se ne trova una di 26 persone tutte probe, civili e qualificate), un oratorio proprio (L’antico Oratorio della Annunziata sorgeva nel posto attualmente occupato dalla Chiesa nuova; aveva semplicemente un ara dedicata alla B.V. vi furono in progresso di tempo aggiunte altre due cappelle una dalla Comunità; l’altra dal Marcello Spinelli dedicata a San Marcello; era un umile e modesto oratorietto con cappella dedicata alla Santissima Annunziata) e congregazione per le adunanze della Compagnia; con officiature e solennità sostenute con redditi della Confraternita stessa. E tanto aveva la pubblica estimazione che dopo la peste del 1630 la Comunità vi erigeva di spesa propria una cappella dedicata a S.Rocco, con voto solenne di i celebrarvi in perpetuo la festa del Santo in commemorazione della superata calamità: e più tardi Marcello Spineli lasciava per testamento l’intero suo patrimonio alla Confraternita coll’obbligo di erigere in detto oratorio un altare a S.Marcello e di celebrare in perpetuo una messa quotidiana nell’alba del giorno per comodo degli artieri e del popolo che guadagna giornalmente il vitto.
Ma la conseguita eredità doveva costare cara alla Confraternita. I Minori Conventuali che avevano anelato alla eredità Spinelli; e che per disposizione fatta in precedenza avevano ragione di tenersene sicuri, vedendosi a un tratto gabbati; se ne offesero vivamente e rivolsero ogni arte a rivendicarsi contro chi ne aveva raccolta l’eredità.
E non vi fu insidia fieramente condotta a pregiudizio e danno della Confraternita che non fosse tentata; e gliene offriva appicchi una clausola del testamento stesso, la quale in mancanza degli obblighi contratti pel fatto dell’eredità stessa, obbligava la Confraternita a perdere ducatoni 100 a favore dei PP. Conventuali, fuori di Rubiera.
All’invidia che spiava le occasioni ne offerse una propizia, la concessine fatta da Rinaldo I di una Collegiata di Canonici istituitasi in Rubiera. Una tale fondazione dava diritto alla Sacra Congregazione di introdurvi secondo le Costituzioni Ecclesiastiche un Monastero di Religiosi regolari, e ne offersero il destro i M. Conventuali per introdurre in Paese il loro Convento a scapito e pregiudizio della Confraternita. Furono maneggiate con abilità diaboliche pratiche, trattative e proposte per condurre la Confraternita a far loro cessione del loro Oratorio e sue adiacenze, offrendogli di indennizarla con l’equivalente a giudizio dei periti = e questo per fondarvi la nuova Chiesa per poi col tempo proseguire alla costruzione del nuovo Convento = Ne informarono il Duca per l’approvazione invocando l’interposizione del suo comando, giacchè i fratelli che avevano troppe ragioni per sospettare e diffidare delle proposte dei Padri, resistevano inesorabili a qualunque trattativa. Ma il Donelli in allora Governatore di Rubiera propenso ai frati sollecitò al Duca un ordine reciso in cui si comandava ai Confratelli di rinunciare, il che valeva una intimata soppressione. Chiamò difatto il Donelli i fratelli, e perchè non fuggissero, una volta introdotti pose i birri alla porta ed ivi diede lettura dell’intimata rinunzia. Fu forza subire la legge della prepotenza, e nel 1701 aprile ai 14 la Confraternita della SS.ma Annunziata cedeva e rinunziava ai Minori Conventuali non tanto il suo Oratori, ma di più una casa, denari, possessioni. beni fondi, censi azioni e ragioni posseduti, a riserva di un prato posto nei Paduli di Rubiera, e certe terre acquistate da Cleopatra Barozzi Grillenzoni, e ciò alle seguenti condizioni:
Che i PP si assumessero gli obblighi consuetudini, aggravi della Confraternita.
Che venissero ad abitare entro Rubiera fabbricandovi una Chiesa decorosa e un annesso Convento.
Che fabbricassero pure un Oratorio unito al Convento per servizio della Confraternita.
Che le possessioni e stabili ceduti restassero laicali e soggetti ai soliti aggravi.
Che uno dei Padri servisse gratis per cappellano tanto nelle processioni quanto nelle altre funzioni.
Che siano tenuti Padri a fare la solita scuola della Comunità a fronte del solito emolumento.
Accettavano i Padri la sospirata e agognata rinunzia (Atto di Accettazione 1702 marzo ai 16) impazienti più che di soddisfare agli obblighi, di conseguire quei possessi che altra volta si erano visto sfuggire dalle mani. I beni della Confraternita che passavano per tale atto in proprietà dei Minori Conventuali erano:
1- Oratorio colle sue adiacenze ed immobili
2- Una possessione in Casale di B.che 90 e Tav.le 56 stimata come da relazione dei passivi £. 30.900. ? 1545
3- Una casetta ë Faggia in Rubiera £. 300 ? 15
4- Un annuo livello contro il benefizio di S.Bartolomeo di Ligonchio £. 6
5- Un eredità di Mod.si £. 300
6- Un credito con Antonio Montanari £.257.10
7- Altro col Sig. Andrea Martelli £.515
8- Col sig. Bernardo Gallinari £. 380
9- Col Capitano Cortesi £. 104
10- Con Antonio Gambarelli £. 677
Nonostante una tale cessione e accettazione la Compagnia continuò nel possesso dei beni ceduti fino al 1707 in cui per comando superiore consegnò con resoconto retrospettivo il posto libero ai PP i quali promisero oltre le obbligazioni espresse nel primo rogito di rilasciare ai Confratelli tutto l’ammovibile della loro Chiesa e sagrestia e che li medesimi potessero servirsi della Chiesa finchè fosse provveduto il nuovo Oratorio. Frattanto rinnovavasi la famiglia dei Frati; al Guardiano Ricci subentrava il Padre Capezzi di qui differenza e controversie sull’adempimento cui era vincolata la cessione. Si passò quindi a una nuova transazione (atto di transazione 1709 Giugno ai 4º) per la quale vennero i frati esonerati dall’obbligo di fabbricare il nuovo Oratorio per la Confraternita. Composte per tal modo le divergenze i Padri Conventuali si accingevano alla fondazione della nuova Chiesa coi denari carpiti alla Confraternita, questa fatta più forte dalla persecuzione coi pochi denari rivendicati nella transazione, colle oblazioni dei fratelli e dei fedeli devoti, e col favore e protezione della N.C. Sacrati (che donava fondi per l’erezione di quella Chiesa come da lapide) ricostruiva in nome di Dio e della B.V. un nuovo oratorio sopra maggiori dimensioni e di lodevole architettura, e nel 1710 in luogo di ruinosi fabbricati sorse come per miracolo la nuova Chiesetta che ancora si venera sotto il titolo dell’Annunziata: ma solo col tempo si potè provvedere all’interno ed esterno ornato, non avendo la Confraternita altri mezzi a sopperirvi che la liberalità dei benefattori e la carità dei suoi devoti.
Decentemente ornato di modeste decorazioni fu condotto a termine l’Altare Maggiore dedicato alla SS.ma Annunziata, ma imperfette (per qualche tempo) restavano le due Cappelle laterali, come vivente rimprovero alla carità dei fedeli la quale difettava a quel compimento che meglio decorava l’impresa. Ma “…circa l’anno 1735 prese speranza la Confraternita che nella Cappella dalla parte del Vangelo, fosse instaurato un altare, mentre alcuni devoti, fatto venire uno statuario vi eressero quattro figure di S.Antonio, di S.Giorgio, di S.Bartolomeo e di S. Rocco: ma cessò la speranza poichè effigiate ed abbozzate appena le statue, cessò l’opera per difetto dello scultore, e quei quattro pezzi di simulacri andarono a perire del tutto sotto l’ammasso dei foraggi che nel 1735 furono radunati nell’Oratorio divenuto magazzino per servizio di Truppe…” Poco dopo nel 1750 il Capitano Berti fa erigere nella cappella di destra l’altare dedicato a S. Alessandro.
La Comunità che da più secoli celebrava nell’antico Oratorio la festa di S.Rocco. volle pure in soddisfacimento al voto degli anni passati fabricare un altare nel nuovo Oratorio e vi collocò il nuovo quadro di S.Rocco che si vede di presente, essendo già il vecchio logoro e consumato dagli anni. Più tardi fu condotta a compimento la facciata a spesa di Alessandro Berti, come scorgesi dall’inscrizione sopra la porta d’ingresso. Condotta a lodevole compimento la nuova Chiesetta con tanti sacrifizi e ricominciata quando appunto la Confraternita aveva tutta la ragione di ripromettersi un migliore e più stabile avvenire, l’imperversare della Rivoluzione Francese irruppe disordinando e sovvertendo usi, costumi, consuetudini, tradizioni e credenze e quanto aveva di meglio l’Italia: e nello scombuiamento delle innovazioni tumultuose, precipitose soppresse anche questa istituzione incamerandone i beni per far fronte a quell’abisso di spese che seco portavano le invadenti armate. Privata di sue dotazioni, restò la povera Chiesetta disadorna e abbandonata, e non fu più che sussidiaria della Parrocchiale, la mia giovinezza non era ufficiata che da Don Torreggiani, dopo di lui da Don Landini che si intitolò capellano che pure per ne migliorò le condizioni.
Antica di più secoli finiva la Confraternita che tanto lustro e decoro aveva recato al Paese.
Fra le reliquie di proprietà dell’antico Oratorio primeggiava quella del Salvatore Morto, alla quale era consueta una visitazione devota ogni venerdì dell’anno, e per la quale nel 1688 veniva conceduta una indulgenza di 40 giorni. Possedeva pure una Reliquia del Santo Legno della Croce di Gesù che si esponeva alla venerazione dei fedeli nel Venerdì Santo, e colla quale si dava la benedizione. Aveva per ultimo una Reliquia di S. Biagio Vescovo e Martire in teca d’Argento di buon lavoro, Codeste reliquie furono sempre custodite e conservate, e furono riconosciute dal Vescovo Castelvetro a 6 marzo del 1765.
= vedi nei bilanci le ufficiature ordinarie e consuete più i due stati relativi ai diversi tempi, l’ultimo dei quali forse risponde all’atto di soppressione.
= nel voto fatto a S.Rocco del 1632 in occasione della peste, la Comunià si obbligava a mantenere la lampada della B.V. nella Chiesa dell’Annunziata (vedi documenti) come pure pagava £. 5 al sacrestano per custodire l’altare di S.Rocco di ragione della Comunità (così nel 1789)
Non sarà forse fuori di proposito il riportare l’ufficiatura della Chiesetta prima e dopo la crisi 1701 per vedere di quanto decoro fosse alla Chiesa ed al Paese quella Confraternita che con mezzi propri sopperiva al culto e alla ufficiatura di quella Chiesetta. (vedi Pag.na 301)
Funzioni che praticavano nella nuova Chiesetta dopo il 1700.
Si festeggiava il giorno della SS.ma Annunziata titolare della Chiesa – la festa dell’Immacolata Concezione di M Vergine – Il Venerdì Santo colla processione di Cristo Morto alla sera – Tutte le prime domeniche del mese colla Messa e benedizione del SS.mo Sacramento – Tutte le terze domeniche del mese coll’andare con cappa e cera alla processione del SS.mo Sacramento – Tutti li venerdì dell’anno una Messa davanti l’Altare Maggiore – Oltre la messa pei lasciti Faini, Alberici e Montanari
(vedi Pag.na 285) Funzioni prima del 1700.
Una Messa all’alba tutto l’anno – Una Messa tutte le feste – La festa di S.Marcello – Quella della Nunziata – La festa di S.Stefano – Funzione del Venerdì Santo
Fomentava gli screzi fra la Confraternita e i Frati la sorveglianza fiscale che questi per diritto di testamento esercitava nell’adempimento degli oneri cui per fatto dello stesso era vincolata L’eredità Spinelli.
= Privata de suoi beni e dei Sacri arredi ne fu ordinata la chiusura la quale si effettuò nel 1798 in mezzo al compianto universale del popolo che si ritirava piangendo e ad alta voce dicendo il Rosario – Fu riaperta nel 1799 per essere chiusa nuovamente e per subire il saccheggio delle truppe Francesi reduci da Napoli nel 1800.
Durante il Regno Napoleonico restavano chiuse le due Chiesa della Nunziata e del Cimitero, restando questa per servizio di inumazioni fino alla fondazione del nuovo Cimitero.
Colle offerte dei fedeli e devoti e per cura del Don Sandrini fu allogato all’undici il nuovo quadro dell’ancona.
Del 1865 fu ornata dal suo tempora arricchendola di apparamenti, di lampade, candelieri e simulacri di Santi.
Morto il don Sandrini succedeva nella cura il Maestro Don Giberti che ne curò con amore.
Per la cessione ai PP. Conventuali fatta nel 1701 restava la Confraternita spogliata dell’Oratorio, della possessione di S.Agata della casetta con Reggia e di un livello contro S.Bartolomeo di Ligonchio , e più dei censi che ammontavano alla somma di L. 1328.10. Del loro patrimonio restavano solo rivendicare L. 3000, e queste servirono a cominciare la fondazione del nuovo Oratorio, pel quale la Nobil Casa Sacrati donava area, buona parte dei materiali e buona somma in numerario.
Così ricominciava a risorgere a nuova vita la Confraternita, e in luogo di ruinati fabbricati sorgeva come per miracolo la nuova Chiesetta.
1701 – Cedono ai frati la Chiesa con annessa casa
1722 – I fratelli liberano i frati dall’obbligo di fondare il convento, purchè cedano la nuova Chiesa alla Collegiata dei Canonici.
1759 – Alessandro Berti lasciava un censo per decorare l’altere dedicato a S. Alessandro.
1800 – Fu saccheggiata dalle truppe francesi reduci da Napoli e fata quartiere.
Nome Dei Confratelli Della SS. Annunziata Nel 1722
1)- Antonio Stefano Venturelli, Priore
2)- Antonio Gambarelli fu Lazzaro, Vicepriore
3)- Antonio Barozzi, Massaro
4)- Girolamo Faini, Sindaco
5)- Giuseppe Mari
6)- Bartolomeo Baracchi
7)- Domenico Antonio Nicolini
8)- Leonardo Corradini
9)- Stefano Berti
10)- Domenico Silvestri
11)- Giovanni Barigazzi, Sargente
12)- Antonio Torresani
13)- Giacomo Azzaloni
14)- Domenico Bozzalli
15)- Bartolomeo Cortesi, Cap.no
16)- Cristoforo Ruggieri
17)- Cristoforo Forni
18)- Domenico Boccalini
19)- Bernardino Gallinari
CHIESA PARROCCHIALE DI FONTANA FUORI DI RUBIERA
Memorie Sulla Chiesa Parrocchiale di Fontana
Fin dai tempi di Ottone il Grande (963) esisteva in Fontana una Chiesa dedicata ai Santi Fabiano e Sebastiano. Non si conosce, per documenti, se detta Chiesa in qual tempo fosse o no Parrocchiale. Certo è, che nella metà del Sec. decimosesto la Chiesa di Fontana era Parrocchiale, e possedeva in beni stabili un circa 13 B.che 50 di terra benchè leggiero e di poca entrata come si ricava dal Campione delle Misure della Comunità di Rubiera, esistente ancora nel 1612, e di cui esistono tradizioni scritte ed autorevoli. Detta Chiesa fu nel 1560, o in quel torno, saccheggiata e distrutta dagli Spagnuoli che infestarono a guerra rotta queste contrade. Distrutta la Chiesa, i beni che le appartenevano, passarono in godimento della Pieve di S.Faustino, cui venne aggregato il territorio, e la cura della popolazione di Fontana. Male rassegnati alla nuova condizione, gli abitanti della Villa di Fontana determinarono di voler di nuovo riedificare a proprie spese Chiesa (1612) per ricostituirsi in Parrocchia: e a tale oggetto, si rivolsero al Duca perchè volesse dotare la nuova Chiesa di tanta entrata, di quelle che godeva la Pieve di San Faustino, da poter vivere il nuovo Rettore, secondo le forme del Sacro Concilio ( Sez.ne 21 Cap.4).
Benchè in merito giuste, e modestissime in misura fossero le pretese degli abitanti di Fontana, contro chi ne aveva assorbito le terre e ne godeva le rendite, incontrarono opposizione per parte del Pievano di S.Faustino, che a nessun patto voleva spogliarsi dei mali acquisiti diritti sia di un Benefizio, che per un godimento precario, non aveva perduto la ragione di sua destinazione. Le difficoltà suscitate da Pievano di S.Faustino tennero la cosa per qualche anno in sospeso; finchè il Montecatini, Podestà in allora di Rubiera, si interpose a favore degli abitanti di Fontana presso il Duca, ed ottenne che la Pieve di S.Faustino ricca dell’entrata annua di 1400 ducatoni dovesse annualmente sborsare la somma di 50 ducatoni d’entrata alla nuova Chiesa di Fontana perchè potesse erigersi in Parrocchia avendo una popolazione di 500 e più anime. Fu quindi eretta nel 1615 la nuova Chiesa dedicata a S.Fabiano e S.Sebastiano.
Un resto di notizie posteriori a quest’epoca, perchè più approposito potrà la S.V. ricavare dagli archivi Parrocchiali.
Romoli D.r Rodolfo
Memorie Sulla Chiesa Di Fontana
Fin dai tempi di Ottone il Grande troviamo memoria di una Cappella posta in Fontana, dedicata ai Santi Fabiano e Sebastiano. Se in quel tempo detta Chiesa fosse Parrocchiale o quando lo diventasse, non si conosce per documenti. Certo che nella metà del secolo XVI la Chiesa di Fontana era Parrocchiale e possedeva in beni Stabili B.che 50 di terreno, benchè leggiero e di poca entrata. Nel 1560 fu la Chiesa stessa saccheggiata e ruinata dagli Spagnuoli che infestavano queste contrade.
Distrutta la Chiesa fu soppressa la Parrocchia, le terre del Benefizio passarono alla in allora Pieve di S.Faustino: cui pure vennero aggregati il territorio e la rispettiva cura di anime.
Ma nel 1612 la popolazione di circa 500 anime trovando scomoda per lontananza la Chiesa, si rivolse a mezzo del Montecatini, podestà in quel tempo di Rubiera, si rivolse al Duca, offrendogli di ricostruire la nuova Chiesa a proprie spese questa volta si degnasse di concedere la ricostituzione della Parrocchia; rinunciava a qualunque ragione di rivendica delle terre in passato spettanti alla Chiesa di Fontana, ……volta dal ricco Benefizio di S.Faustino venissero annualmente sborsati 50 ducatoni, che bastassero appena al mantenimento della nuova Rettoria a norma del Santo Concilio (Sez.ne 21 Cap.4). Superate le opposizioni di un partito che nell’interesse del Pievano di S.Faustino, tentò di attraversare il disegno, il Duca accedè alla domanda della popolazione di Fontana e nel 1612 fu eretta la nuova Chiesa dei Santi Fabiano e Sebastiano, e si ricostituì la Parrocchia retta da un Rettore che viveva della somma di ducatoni 50 sottratti dalla rendita della Pieve di S. Faustino. Fu nel 1701 che la Chiesa di Fontana venne dotata di Benefizio stabile in circostanza che la Parrocchia di S.Faustino cessò di essere Pieve, e ne fu sottratto il Patrimonio in Benefizio della Collegiata di Rubiera e della Chiesa di Fontana.
Dal campione delle misure della Comunità di Rubiera si trovava nel 1612 che detta chiesa possedeva in quel tempo B.che 50 di terra benchè leggiera e di poca entrata. 963.
Da una lettera del 29 novembre 1612 del Montecattini Podestà di Rubiera si rileva che del 1562 esisteva ancora in funzione la Chiesa dei SS. Fabiano e Sebastiano; Chiesa che fu ruinata dagli spagnoli che in quel tempo infestavano questi contorni.
In quel tempo aveva circa 50 biolche di terra leggiera e di poca entrata; terre che passarono alla in allora Pieve di S.Faustino.
Ma la popolazione di circa 500 anime che formava la vecchia Parocchia insisterono nel 1612 presso il Duca a mezzo del Podestà di Rubiera perchè fosse loro concesso di riedificare la Chiesa in onore di Dio, diminuendo tanta entrata di quella spettante a S.Faustino che bastasse al mantenimento della Rettoria a norma dei canoni del Sacro Concilio (Sez.ne 21 Cap.4).Dimandavano quindi che dai 1400 ducatoni che godeva S.Faustino fossero prelevati N° 50 di essi, rinunziando all’entrata che godevano prima.
Troviamo memoria della Chiesa di Fontana fin dai tempi di Ottone Primo.
Fin dai tempi di Ottone I troviamo memoria di una Chiesa in Fontana dedicata ai Santi Fabiano e Sebastiano. Se in quel tempo quella Chiesa fosse Parrocchiale e quando lo diventasse non si conosce per documenti. Certo è che alla metà del secolo decimosesto era Parrocchiale, con benefizio di 50 Biolche di terra leggiera e di poca entrata.
Del 1562 fu la Chiesa stessa saccheggiata e ruinata dagli spagnuoli che infestavano questi contorni. Distrutta la Chiesa fu soppressa la Parrocchia, e le terre di sua spettanza passarono alla in allora Pieve di S.Faustino, cui pure fu aggregato il territorio e la cura delle anime. Ma nel 1612 la popolazione di circa 500 anime trovava ciò scomodo e di danno.
CHIESA E CONVENTO DEI MINORI CONVENTUALI FUORI DI RUBIERA
Del Convento Dei Minori Conventuali di Rubiera
Poco al disotto di Rubiera sulla via che conduce a S.Faustino, ove ora trovasi il Palazzo dei Conti Greppi, ivi esisteva il convento dei Frati Minori Conventuali. Anzi il Palazzo stesso non è che la riduzione del convento a più comoda abitazione civile, conservando negli interni scompartimenti molte tracce degli usi erano destinate le principali parti o locali del convento medesimo – cioè il chiostro e cortile, la Chiesa e refettorio, e i comodi e celle dei frati stessi. Per quanto ce ne ricorda la storia era antico almeno di tre secoli, essendo stato eretto nel 1496 col consenso di Monsignor Bonfrancesco Arlotti Vescovo di Reggio come appare da memorie spettanti all’ordine dei Conventuali che si conservano in Roma. (da uno squarzetto di spese dell’anno 1523 all’anno 1525 ritrassi tale cognizione. Filza nº 235)
A tale convento andava pura unita una Chiesa dedicata alla B.M. Vergine Immacolata ricorda la tradizione doveva essere più antica del convento stesso la quale si mostrò in tanta riconoscenza di devozione da invitarvi i fedeli a fondarvi un convento per maggior culto e devozione della B.V. stessa. Come origine pe il culto di tale beata immagine ci viene raccontato da un certo frate Gio Battista del Borgo il quale nel 1537 raccoglieva da M. Matteo Maria Amoldoni uomo dei più vecchi di Rubiera e da altri ancora di detta terra, e confidava ad una memoria che si conservava nella tradizione sulla fondazione di quella Chiesetta sulle fosse di Rubiera dalla parte che prospettava l’Ospedale di S.Maria di Cò del Ponte era stata posta dalla moglie di un fattore dello stesso l’immagine di una di una Beata Vergine in rendimento di grazia dall’essere preservati i Borghi dalla peste che infierì dentro il castello nel 1450. (Vedi il frammento di rogito del Consiglio Comunale ivi tenuto)
Quando furono ruinati (Come ruinassero i Borghi o piuttosto le mura se per vetusta, o perchè scassinati dalle guerre – Vedi la distinta di spese e le lettere di Ercole in proposito, benchè in antecedente e Leonello a Borgo vi fabricassero) i Borghi Padre Francesco da Correggio portò quell’immagine ove poi esistè il convento, e con l’aiuto della Magnifica Comunità di Rubiera il buon frate fabricò colle pietre della primissima celletta una modesta Chiesuola su di un pezzetto di terra di due biolche che furono a tale oggetto comprate dal frate stesso che con certo Balduini Donino da Rubiera si aveva a rogito M. Bartolomeo Martelli che era in quel tempo il più vecchio notaio di Rubiera.
Fondata per tal modo l’umile Cappelletta all’immagine Santissima montò ben presto in tanto onore di grazia e di miracoli da stimargli il culto e la devozione dei fedeli, così che le oblazioni, e le offerte e le elemosine che il concorso dei devoti tributavano a larga mano al novello santuario offrirono mezzi di allargare la Chiesa a maggior decoro e amore della miracolosa immagine, e ne furono fondatori M. Lorenzo, Gio Guglielmo e M. Lodovico Fedrazoni tutti da Campogajano, e ciò fu al tempo del Provincialato del M.to Rev. Padre M.Vicario Alberigi da Brisighella – Che fu appunto nel 1496 – Fin dalla prima fondazione del convento stesso, la famiglia dei minori Conventuali dell’ordine di S.Francesco fu di sei, cinque sacerdoti ed un laico (vedi come vestissero e quali furono le regole del loro ordine).
Contribuì moltissimo il nuovo convento a migliorare il culto e dilatare la venerazione della B.M.V. e tanto ne fu il, concorso che vi si contavano perfino in certe giornate 4000 persone. Troviamo di fatto che nel 1695 il Podestà Lenzani a istanza del Padre Guardiano fu costretto a pubblicare una grida per allontanare dalla Chiesa i rumori e il mercato delle candele votive ed altri oggetti affinchè non fossero turbati i divini uffici. Ma purtroppo come di tutte le situazioni la troppa floridezza, favore e fortuna porta il rilassamento nella disciplina e qualche scandalosa tresca ( 1611 libello contro il Priore del Convento. Pag.na 44. A qual punto salisse il discredito sulla condotta dè facili costumi, si rileva dal libello contro il Padre Guardiano, che faceva pure(?) opera di maestro di scuola) per cui il Podestà Giardini fu costretto (1614) a provvedervi cacciando a norma degli statuti certa Cerina (?) Renaldoni come donna di cattiva vita.
Tali cose cominciavano ad influire anche sulla devozione e venerazione per al Madonna; così che cominciò a diminuire e il concorso dei fedeli e dei devoti stessi di modo che verso il 1620 s’ebbe a lamentare che la Chiesa e il convento vennero a darsi alla vita ordinaria e comune. (Del 1622 a 18 aprile si fondava in detta Chiesa la Confraternita dell’Immacolata Concezione. alla quale per Bolla Pontificia si partecipavano tutte le indulgenze proprie della costituzione esistente in Roma – Venne aggregata come figliale all’Arciconfraternita di Roma)
Col diminuire il culto che vi fruttava larghe elemosine, offerte e donazioni vollero rifarsi coll’anelare ad eredità e lasciti pii, così che avevano determinato certo Marcello Spinelli a voler lasciare al convento stesso; ma quale ne fosse la ragione (che non si conosce) il fatto è che istituì erede la Confraternita della SS. Annunziata: dopo un tal colpo nacque una gelosia, una ostilità fra i Frati e i Confratelli; così che quelli non cessavano mai di osteggiare la Confraternita e segretamente sfruttavano tutte le opportunità per riaversi della sconfitta ricevuta. Del 1700 coll’erezione delle nuova collegiata fu argomento ed occasione a rivendicare, offrendosi di portare il convento e la chiesa dentro di Rubiera purchè fossero usati (?) i beni della Confraternita. Il Duca assentì e per quante pratiche facesse per indurre (?) la Confraternita ad accedere spontaneamente a tal cessione, non potè mai riuscirvi ne vi sarebbe riuscito, se colla violenza non avesse posto termine alla cosa costringendo la Confraternita a cedervi i beni. Per tal modo rimpinguarono il loro capitale coi beni della Confraternita obbligandosi però ad erigere una nuova Chiesa e convento. Fabricarono di fatto la Chiesa nuova, ma visto che malamente sarebbero riusciti ad erigere il convento come si erano obbligati senza compromettere non solo i beni carpiti alla Confraternita, ma ben anche quelli propri del convento, fecero pratiche per cedere la Chiesa stessa al Capitolo e Collegiata dei Canonici restituendo piccola somma alla Confraternita per essere esonerati dall’obbligo di costruire un Oratorio per uso e servizio della Confraternita stessa. Per tal nuova convenzione nulla fu rimesso dal convento stesso, e solo vi guadagnavano una possessione detta di Casale. Con decreto del 21 luglio 1768 fu finalmente soppresso da Francesco III e ne furono aggregati i beni all’Opera Pia generale di Modena. Ciò che restò di quel convento fu venduto ad eccezione dei quadri in tela carta e gesso che in grosso numero furono mandati all’Opera Pia stessa dei quali non si conosce ne il merito, ne qual fine facessero. Tali furono gli inizi le vicende e la fine di quel convento che elevò per quattro secoli a decoro, lustro e benefizio di questo Paese.
Fatta avean quivi una Chiesetta nuova certi frati di quei dal piè di legno.
-Tassoni “Secchia Rapita” Canto IV Ottava 48–
Era anche in Rubiera un convento con una Chiesa col titolo di S.Maria dè Minori Conventuali di cui è incerta l’origine, e che fu poi soppressa nel 1768.
-Tiraboschi “Dizionario” Fasc. T-Z pag. 372/73=
Memorie Concernenti La Chiesa e Convento Dei Minori Conventuali Di Rubiera
Dalla Filza Nº 233
La confraternita della SS. Annunziata ai 14 d’Aprile del 1701 per comando del Duca e per decoro e utilità del Paese rinunziava la Chiesa, danari, possessioni, stabili, fondi censi e ragioni di qualunque parte ai Padri Minori Conventuali fuori di Rubiera alle seguenti condizioni:
1)- Che i frati si accollassero tutti gli obblighi consuetudini ed aggravi di D.a Conf.ta .
2)- Che venissero ad abitare ed officiare la detta Chiesa fabbricandola in modo decoroso, e portando il loro convento a loro spese presso la nuova Chiesa.
3)- Che fabbrichino una camera in volto con altare sedili e banchi che abbia la porta verso la strada maestra nella quale possa la Confraternita a suo piacere radunarsi per fare le congregazioni e recitarvi divini uffici in tutta libertà.
4)- Che le possessioni e beni restino laicali e soggette ai soliti aggravi.
5)- Che possano i confratelli suonare le campane per le loro congregazioni e funzioni, ed uno dei padri serva gratis per cappellano.
6)- Che siano tenuti i PP. a fare la solita scuola della Comunità a fronte del solito emolumento.
Fra i beni della Confraternita figurava la Chiesa con casa annessa e una possessione della rendita annuale di 126 scudi Romani.
Fra gli obblighi di detta cessione dovevano i Padri fare la festa di S.Marcello.
I padri accettavano la cessione alle condizioni ai 10 marzo 1702 ed erano:
M. Rev.do Gisberto Antonio Ricchi, guardiano
P.Gioacchino Rodolfi, baccelliere
P. Antonio Maria Setti Tutti sacerdoti del
P. Giacomo Costa convento
P. Giallitanzo Lanzarini
fra Luca Antonio Balduccci
I confratelli che fecero la cessione furono:
Antonio Gambarelli, Piore Donino Galassi
Girolamo Campioli, massaro Pietro Debbia
Giacomo Castri Domenico Prampolini
Giacomo Dionigi Pietro Nicolini
Pietro Maria Melli Biagio Libardi
Don Giacomo Faini Teofilo Manzotti Alfieri
Girolamo Capardi Bartolomeo Cortesi Alfieri
Girolamo Faini Bernardino Gallinari
Gio Maria Nicolini Francesco Ferrari, capitano
Franco Riva Pellegrino Ruggieri
Pietro Della Marca Marcello Capardi, avvocato
Franco Rabitti Che rogò l’atto di accettazione
Gaetano Manzieri
La nuova Chiesa dei PP, fu fabbricata sulla demolizione di una casa ruinosa di ragione di Giuseppe Ferrari.
La contrada casa Berti si chiamava …….. o degli Ebrei.
Vatthoffer notaro
L’approvazione Pontificia per la Collegiata dei Canonici promossa dal Duca Rinaldo fu ottenuta nel 1704.
N. 134. Relazione sulla cessione della Chiesa nuova.
Dalla Filza 234 recapito N. 134 Segnati II –
Volendo Rinaldo I ritornare all’antico lustro la sua terra di Rubiera, antico antemurale e primordiale dè suoi Stati, la indusse a migliorare a più comoda forma coll’apertura della nuova porta (1701 forse) e coll’introdurre la stazione postale, che dapprima si trovava a Marzaglia: non contento dei miglioramenti materiali, volle anche provvedere alle condizioni morali ed economiche del povero Paese stabilendovi dapprima una collegiata sollecitandone da Roma il beneplacito a approvazione (1704) ed assegnando i fondi sufficienti al decoroso mantenimento del nuovo Capitolo. Furono nominati 6 sei Canonici, e la Chiesa fu convertita in Arcipretura. I canonici indossavano l’Almuzia e l’Arciprete la Mantelletta. La nuova fondazione della Collegiata in detta terra, promosse da parte della Sacra Congregazione di Roma la pretesa che ivi pure secondo le Costituzioni Ecclesiastiche dovesse esservi un Monastero di Religiosi regolari. A tale oggetto fu proposto di introdursi i PP. Minori Conventuali di S. Francesco detti della Madonna, che da tempo immemorabile tengono il loro Convento poco al di sotto di Rubiera. D’ordine del Duca Serenissimo, il Governatore Donelli nel 1702 iniziò e condusse le pratiche e le trattative coi PP. Conventuali stessi a fare il trasporto del loro Convento in Rubiera.
Si pensò quindi alla fabbrica della nuova Chiesa per perseguire poi col tempo la costruzione del nuovo Convento a scanso di pregiudizi e di aggravi fu destramente maneggiato dai PP. un trattato o piuttosto una proposta che la Confraternita della SS. Annunziata rinunziasse la Chiesa di sua ragione e siti adiacenti ai detti PP. i quali in ricambio si obbligherebbero a indennizarla con l’equivalente a giudizio di Periti.
Ne fu informato il Duca per l’approvazione , e per l’interposizione del suo comando. Dietro ordine del Duca , il Gov.re Donelli condotta la Confraternita della SS. Annunziata nel 1702 a cedere non tanto la loro Chiesa o Oratorio ma di più una casa, denari, possessioni, stabili , fondi censi, azioni e ragioni posseduti dalla confraternita, a riserva di un prato posto nei Paduli di Rubiera e certe terre acquistate da Cleopatra Bonezzi Grillenzoni.
(Avvertenza) Indispettiti i Confratelli delle brighe e maneggi segreti dei PP. Conventuali per spogliarli del patrimonio della Confraternita si opposero energicamente alle pratiche e trattative con che il Gov.re Donelli voleva indurli alla rinunzia.
Solo la forza e la prepotenza potè indurli come consta dalla minuzia dei Fascicoli.
Condizioni di tal cessione furono:
1)- Che i PP. si accollassero gli obblighi, consuetudini e aggravi della Confraternita.
2)- Che venissero ad abitare entro Rubiera fabricandovi una Chiesa decorosa e con annesso convento.
3)- Che fabricassero pure un Oratorio unito alla Chiesa per servizio della Confraternita.
4)- Che la possessione e stabili ceduti restassero laicali e soggetti ai soliti aggravi.
5)- Che uno dei PP. servisse gratis per Cappellano tanto nelle processioni quanto nelle altre funzioni della Confraternita
Tali condizioni furono accettate dai PP. nel 1701
Non ostante tale cessione e accettazione la Confraternita continuò nel possesso dei beni ceduti fino al 1707, in cui per comando superiore consegnò con resoconto retrospettivo il possesso libero ai PP. i quali promisero oltre le obbligazioni espresse nel primo rogito, di rilasciare ai Confratelli della SS. Annunziata tutto l’ammovibile della loro Chiesa e sagrestia e che li medesimi Confratelli potessero servirsi della detta Chiesa finchè fosse loro provveduto il nuovo Oratorio. In questo frattempo si rinnovò la famiglia dei Minori Conventuali di Rubiera e in posto del Padre Ricchi, il Padre Bonaventura Capezzi.
Lasciati in possesso dei beni della Confraternita insorsero differenze e controversie sull’adempimento degli obblighi cui era vincolata la detta cessione. A ovviare e togliere le quali i PP. retrodavano ai Confratelli un credito di L. di Modena 3600, che questi avevano già loro ceduto, gli lasciavano tutto l’ammovibile della Chiesa e sagrestia cedute a riserva della Campana grossa, della croce e due candelieri d’ottone serventi all’altare di S. Marcello e dell’ancona di detto Santo; e li Confratelli liberavano i PP. dall’obbligo di fare a loro spese l’Oratorio, fermo restando quello di fabricare la nuova Chiesa e convento, di celebrare la messa quotidiana in perpetuo all’alba, e di solennizzare la festa di S.Marcello alla forma prescritta dal testamento Marcello Spinelli, che lasciò già alla detta Confraternita con detti obblighi la possessione di Casale. Codesta transazione fu fatta a rogito Bernardino Gallinari, mediante il S. D.r Camillo Zanni medico condotto in allora 1709.
Composte per tal modo le divergenze fra li PP. e i Confratelli dell’Annunziata, nel 1709 stesso il P. Bonaventura Capezzi si accinse alla fabricazione della nuova Chiesa nel sito dove era l’Oratorio della Confraternita che fu demolito, e in pochi anni condusse a termine la nuova Chiesa ragguardevole e nobile in tutte le sue parti nonchè la sagrestia adiacente, fu ornata di stucchi.
Dovendosi intanto proseguire alla costruzione del convento il Padre Capezzi visto dai calcoli dei Periti che la spesa sarebbe montata a scudi Romani 9000, a sostenere la quale non bastavano le entrate del Convento, le quali si riducevano detratti li oneri fissi, a scudi Romani 281 e baiocchi 7.
Che dovendo il Convento stesso sopperire al mantenimento di sei Religiosi; al passaggio continuo di PP. forestieri ed alle spese straordinarie che occorrono e che possono occorrere, credette il Padre Capezzi nel 1718 di dare aflatto ad un pospatto fatto dai Canonici cedendo ai Canonici stessi la nuova Chiesa, e dopo molte conferenze con l’intervento del Ministro Santagata fra i PP. e i Canonici si concluse;
1)- che li PP. lasciano ai Canonici della Collegiata di Rubiera la loro Chiesa nuova con la sagrestia adiacente fatta con la spesa di scudi Romani Nº 2192 e baiocchi
Nº 21
2)- che li PP. somministrino alli Canonici i legnami necessari alla fabricazione del Coro, Pulpito Predella e sedili.
3)- che li PP. paghino ai Canonici in effettivi scudi di Modena Nº 700.
A tali condizioni resti al Convento dei Minori in perpetuo la possessione di Casale con l’obbligo di solennizzare ogni anno la festa di S.Marcello li 16 di Gennaio; e ad sborsare ogni anno alli Canonici L. 410 di Modena per la celebrazione in perpetuo di una Messa quotidiana in sodisfazione del lascito di Marcello Spinelli.
Dietro visita del Vescovo di Reggio ai 17 luglio 1719 fu ultimata la pendenza fra i PP. e i Canonici. Insorsero frattanto altre diferenze fra li Canonici e li Consorziali, per le pretensioni di mobigli e arredi cerimoniali, rendite che i Canonici intendevano di asportare dalla Chiesa vecchia dei Consorziali.
Cotali diferenze furono derimate e composte nel 1719 e nell’anno 1722 a rogito Lupari (o Lupani) Cancelliere Episcopale fu definita e conclusa ogni pendenza.
1701 – 14 Aprile Rogito di Marcello Casari sulla cessione della Confraternita ai frati.
1702 – 10 Marzo Rogito di Marcello Casari (o Capardi) sull’accettazione della sopra
cessione
1707 – 5 Novembre Rogito Bernardino Gallinari sulla consegna fatta dai fratelli dell’Annunziata ai PP. della possessione, Oratorio, Casetta e lasciti.
1709 – 4 Giugno Rogito di Bernardino Gallinari sulla transazione per la quale i Padri retrodavano ai Confratelli un lascito fruttifero e li ammovibili della Chiesa e sagrestia riservata la campana maggiore, la croce, due candelieri di S.Marcello che servivano all’altare dello steso Santo, di rimpatto i Confratelli esentavano i PP. dal fabricare il nuovo Oratorio, secondo il testamento del fu D. Marcello Spinelli Rogato da Antonio Barozzi notaio di Rubiera alli 11 Dicembre dell’anno 1659.
1718 – Aprile. I Consorziali rappresentano come anni sono (orsono?) fu eretta nella loro Chiesa una Collegiata colla soppressione dell’Arcipretura rurale dè S.ti Faustino e Giovita le cui rendite furono assegnate per entrata di un Arciprete e dei Canonici che compongono la Collegiata, la quale benchè uffici nella Chiesa dei Consorziali è sempre stata ed è ancora divisa in tutto e per tutto da Sacro Consorzio. Volendo ora la Collegiata lasciare la detta Chiesa per andare a quella cedutale dai PP. Conventuali intenderebbero trasportarvi gli ornamenti ed altro della Capella del SS. Sacramento e del Rosario ed .ornamenti fatti da donatori: il Consorzio ebbe sempre l’uso delle dette Capelle ed organo da che fu avviato il Consorzio stesso e fu sempre padrone della Chiesa a segno che nell’erezione della Collegiata, volendo il Consorzio cederla ai Canonici il Pontefice non lo permise stanti i molti obblighi dei Consorziali stessi particolarmente agli altari del SS. Sacramento e del Rosario. Si chiedeva quindi che nulla fosse arrecato in pregiudizio del Consorzio.
DEL CONVENTO DEI MINORI CONVENTUALI
Fu soppresso per decreto Lavasca il 21 Luglio 1768 e come da lettera del Segretario Bianchi del 6 Agosto furono aggregati i beni nell’anno stesso all’Opera pia Generale dei poveri di Modena.
STATO DEI BENI DEL CONVENTO DEI RR. PP. MINORI CONVENTUALI DI S. FRANCESCO PRESSO RUBIERA
1)- Un luogo detto il Serraglio contiguo al Convento di B.che 16 circa B.che 16
2)- Altro detto il Cannaro nè Borghi di B.che 6
3)- Altro in S.Donnino di Liguria di B.che 7
4)- Altro in S.Faustino detto La Colombarola di B.che 18
5)- Altro detto dè Martelli in detto luogo di B.che 30
6)- Altro in S.Faustino detto il Carobio di B.che 36
B.che113
Le quali Biolche in ragione di L. 350 la Biolca sono di valore £.38550
Che in ragione del cinque percento danno di rendita £.1947,10
Possiede una parte di casa in Modena assegnatali nel Campo
Casanovi per £. 1056
detta casa di presente da affitto £. 80
Possiede pure varii censi cioè con l’
1)- Comunità di Modena una proprietà fruttifera di £.7735 £.463,10
2)- Altra col Capitano Manzotti di £.2266 £.165,19
3)- Altra col Sig. Giacomo Castri di “.1545 “.123,12
4)- Altra con Cristoforo Ruggeri di “.1030 “. 72,02
5)- Altra col Sig. Dallo (?) Besini di “.1030 “. 72,02
6)- Altra col M.o Cesare Franzoni di “. 588 “. 42.02
7)- Altra col medesimo di “. 515 “. 36,1
8)- Altra con Pietra Zanasi di “. 515 “. 41,4
9)- Altra colli eredi Salami di “. 257,10 “. 20,12
10)- Altra col Canonico Bertolani “. 257,10 “. 20,12
11)- Altra con Torresani “. 206 “. 12
12)- Altra con Franco Fuglia (?) “. 128,15 “. 10,6
Somma £.55680:3 £.3109:12
Delle quali rendite di £. 3109:12 si devono levare per gli annui aggravi infraseriti, cioè
1)- Da quella somma alla Com.tà di Rubiera staia n. 14.7.10 a £.6 la staia £. 58
2)- Per il legato del Gen. Sig. Ippolito Federici per elemosine “. 15.9
3)- Per il medesimo S. Messe N.130 “.264.6 4)- Per altre Messe N. 38 di altri benefattori “. 77.5
5)- Per livello alla Chiesa di Rubiera “. 8,8.
£. 445.9.
Restano il valore come sopra e la rendita libera cioè L. 55680:3
– Rendita netta £.2664:2
Seguono li beni cedutili dalla Congregazione della SS. Annunziata cioè:
1)- Una possessione in Casale di Rubiera di B.che 90 e T.le 96
estimate coma da relazione de Periti £.30900 £. 1545
2)- una casetta e Faggia in Rubiera “. 300 “. 15
3)- Un annuo livello contro il Benefizio di S.Bartolomeo
di Ligonchio “. —— “. 6
Sommano le proprietà e le rendite “.31200 “. 1566
1)- Si devono levare per una messa quotidiana all’alba
accordata in L. 1:2 “. 375.12
2)- Per la festa di S.Marcello “. 100.00
3)- Per spettanza alla Comunità di Rubiera “. 7.10
£. 483:2:0
Restano le proprietà e rendite libere £.31200 £.1062.18
Proprietà e rendita del Convento “.55680 “.2664:2:
In Totale £.86880 £.3747:04
Ha pure ceduto la detta Congregazione al detto Convento un credito di L.3000 di Modena, le quali furono retrodate alla medesima per la Fabrica del suo Oratorio.
Cedè pure:
1)- Un credito con Antonio Montanari £ 257.1
2)- Altro col Sig. Andrea Martelli “. 515
3)- Altro col Sig. Bernardo Gallinari di “. 380
4)- Altro col Sig. Capitano Cortesi di “. 104
5)- Altro con Antonio Gambarelli “. 72
Le quali entrate in tutto di £. 1328:10 sono tutti esatti dal convento e spesi nelle ricorrenze.
Si aggiunge che il detto Convento mantiene cinque religiosi annualmente senza il continuo passaggio.
Dal Convento di Rubiera a 22 ottobre 1718
Sottoscritti Fra Bonaventura Capezzi
Fra Valerio Conti
Fra Leonardo Antonio Marsigli
Fra Tomaso Siligardi
Fra Franco Bendolli
1718. 7 Novembre – Da Reggio Gio. Maria Ferraroni Architetto di Reggio estimava la spesa del Convento da farsi dentro Rubiera conforme al disegno da lui fatto a ducatoni 22600.
1718. 28 Agosto – I Periti Cesare Medici e Franzoni stimarono la Chiesa nuova dei PP. £. 24868.
1718. 31 ottobre – I fabbriferrai Franco Zanni e Bartolomeo Baracchi ambi di Rubiera che lavoravano li ferramenti occorsi nella nuova Chiesa li stimarono del valore di £. 3686:6
1718. Domenico Ferrari falegname di Rubiera estimava la spesa di legno e fattura per il Coro, pulpito e barelle £. 2020.
1719. Capitoli definitivi sulla cessione della Chiesa nuova dei Canonici della Colleggiata.
1)- Cederanno li PP. alli Canonici la suddetta loro Chiesa e sagrestia compite a perfetti.
2)- Somministreranno li PP. ai Canonici il legname necessario alla costruzione dei sedili del Coro, Pulpito e Predelle.
3)- Consegneranno ancora tre pietre sacre, una campana, una pila per l’acqua benedetta, il quadro di S.Marcello che serviva da ancona alla Chiesa dè Confratelli, a condizione che resti a carico dei PP. CC. la solennità del Santo in detta Chiesa nuova.
4)- Pagheranno i PP. £. Mod. 1600 ai Canonici per rendere officiabile la Chiesa, più un credito di scudi 50 con Giuseppe Ferrari, come pure una camera contigua alla Chiesa [forse quella che oggi ha Berti].
5)- I PP. ogni anno contribuiranno alli Canonici £. Mod.si 410 per la celebrazione della messa quotidiana. Alli Canonici resterà l’obligo perpetuo della festa di S.Marcello e la quotidiana celebrazione della messa dell’alba.
Don Franco Lombardini Arciprete
Fra Bonaventura Capezzi Guardiano
Fra Valerio Conti
Fra Dionigi Antonio Cavallini
Fra Tomaso Siligardi
Fra Franco Bendoli
Nel 1704 a 23 Luglio si diede principio alla fabrica della Chiesa nuova, e fu finita quale si consegnò dai PP. alli Canonici del 1718 alla fina di Maggio.
1722. 4 Ottobre – I Confratelli della SS. Annunziata liberano i PP. Conventuali dall’obligo di fabricare il nuovo Convento in Rubiera, purchè cedano alla Collegiata la loro nuova Chiesa. Rogito di Bernardo Gallinari.
1722. 16 Giugno – I PP. Conventuali cedono ai Canonici la loro chiesa in Rubiera; si obligano a versare £. Mod. 410 in perpetuo alli Canonici per al messa dell’Alba. A sborsare £. Mod. 3660 per le spese necessarie all’ultimazione della Chiesa, il legname per Coro, pulpito e predelle e per al Cantoria – cedeva alla Collegiata una campana – Rogito Gallinari.
1722. 3 Ottobre – I Canonici e Arciprete Francesco Lombardini – Canonici:
Don Ludovico Biè
Don Girolamo Bertolani
Don Giovanni Barozzi
Don Filippo Castaldi
Don Giacomo Faini
Don Francesco Ronchetti – accettavano la nuova Chiesa a patti e condizioni esposti nel Rogito di sopra – Rogito Gallinari.
1722. 5 Ottobre Don Francesco Lombardini Arciprete e li Consorziali Don Franco Ferrari, Don Giacomo Barigazzi, Don Franco Lusvarghi, Don Nicola Saccardi:
“Dovendo passare colla Parrocchiale con il Capiitolo e Canonici della Collegiata di Rubiera, nella Chiesa nuova ceduta dai PP, alla Collegiata stessa resta concordato che li Consorziali a tenere delle loro costituzioni debbano concorrere in avvenire con li Canonici nella nuova Chiesa tutti li giorni festivi per l’ufficiatura che a tenore della loro costituzione hanno sempre praticato e praticano di presente nella Chiesa antica. ed oltre li giorni festivi dovranno concorrere colli Canonici li ultimi tre giorni della Settimana Santa con li mattutini, il giorno de morti, delle Rogazioni e di S. Marco e dei primi Vespri nei giorni solenni.
Che la Chiesa vecchia resti tutta giurisdizione e in dominio dell’Arciprete come prima, con questo però che li Consorziali senza dipendenza d’alcuno possano officiare la medesima secondo il solito.
Che intervenendo li Consorziali con li Canonici nella Chiesa nuova, debbono avere il loro stallo al pari dei Canonici in egual linea, ma dopo li Canonici in Coro.
Che li Consorziali possano mettere nella sagrestia della Nuova Chiesa un armadio per riporvi i loro abiti per officiare.
Che possano per ciascuna famiglia di Consorziali mettere un banco in Chiesa detta senza somministrarvi cosa alcuna.
Che li Consorziali debbono continuare a stipendiare l’organista restando ad essi il più nell’elezione del detto organista.
Che trasportando il corpo di S.Concordia nella Chiesa nuova, delle tre chiavi una debba stare presso l’Arciprete, una i Consorziali, l’altra la Comunità
Che passando le due Compagnie del SS. e del Rosario nella Chiesa nuova possano li Confratelli trasportare li ornamenti degli altari, come acquistando il titolo di S.Donino la nuova Chiesa, il quadro di detto Santo debba passare alla Chiesa stessa.
Dalla filza n° 235-
Esiste uno squarzetto di spese dell’anno 1523 al 25 giugno, che serve a provare l’antichità di questo convento che fino allora sussisteva, non essendosi potuto rinvenire migliore documento che giustifichi l’epoca della fondazione di esso monastero che ragionevolmente vedesi eretto nel 1496 col consenso di Monsignor Bonfrancesco Arlotti Vescovo di Reggio come appare dalle memorie spettanti all’ordine dei MM. Conventuali che si conservano in Roma .
Vedi 207 e 207 (?) del lascito Spinelli.
Del 1623. I confratelli della Concezione vengono aggregati all’Archiconfraternita di Roma dell’Immacolata Concepta in Roma conferendogli con Bolla tutte le indulgenze.
Nel testamento di Marcello Spinelli del 1650 ai 15 Dicembre lasciava tutt i suoi beni alla Confraternita della SS. Annunziata con obbligo di erigere in detta Chiesa , colle rendite, un altare facendovi dipingere oltre la Vergine un S. Marcello, e il giorno della festa di detto Santo cantarvi una Messa solenne con pigliare due musici forestieri con quelli di Rubiera e fare celebrare in detto giorno la musica e tutti i sacerdoti di Rubiera dando loro un quinto di ducatone d’argento per sacerdote, e più al Capellano dell’Annunziata che dovrà esser lui, sempre potendo, che canti la messa; e mancando di fare l’altare o dire detta Messa ogni anno, sempre che ……. sii obbligata la Compagnia a perdere 100 ducatoni e farli dare di proprietà alla SS. Madonna di fuori retta dai PP. Conventuali.
Dalla filza N° 236.
Nel 1688 era consueta una devozione ogni venerdì dell’anno avanti il Salvatore Morto per onorare tale anno il Vescovo concedeva l’indulgenza di 40 giorni (Nell’Annunziata)
1765. 6 Marzo. Il Vescovo Castelvetro riconosce la Reliquia del legno della Croce di G.C.
1765. 22 Luglio. Lo stesso riconosce la reliquia delle ossa di S.Biagio Vescovo e Martire
=Avvertenza – Manca uno stato attivo e passivo delle entrate del convento all’atto della soppressione come pure l’atto stesso di soppressione, che forse si troverà al Demanio. Importa però fare ricerca all’Opera Pia del come quei beni siano stati addetti all’Opera stessa
= Fra le proprietà comunali, benchè livella……., v’era l’Isola così detta; come e quando pagasse alla ragione Greppi resta ad indagarsi.
= Manca pure l’atto di soppressione di Francesco III
1595.Fas.lo I° Pag.na 5. Atteso il gran concorso a visitare la Chiesa della Madonna fuori di Rubiera, il Podestà Lanzani ad istanza del Padre Guardiano di essa fu costretto pubblicare una grida per allontanare dalla Chiesa i rancori ed il mercato di candele votive ed altri oggetti affinchè non fossero turbati i divini uffici. Si legge in tal lettera” vi si sono ritrovati alle volte più di 4600 persone”
1614. 10 Ottobre . Il Podestà Giardini fa cacciare a norma degli statuti certa donna Amoldoni di cattiva fama che teneva tresche scandalose coi frati del convento, dal quale non era divisa che dalla via.
1618. Per dichiarazione del Manzuolo cominciava a diminuire la devozione e la venerazione per la Madonna fuori di Rubiera, e ciò anche per mancanza di confessori nei frati che vi abitavano.
1614. Esisteva la Confraternita della S.Annunziata composta di 29 confratelli, persone probe civili qualificate.
Dalla filza n°127
Esiste una raccholta di morti nell’ospedale stesso dal 1600 all’epoca della sua soppressione. La maggior parte forestieri ammalati lungo la via; gli addetti all’ospedale ed alcuni della Nobil casa Sacrati
“Sonus construncionis et edificationis in situationis dicti Hospitalis et eius Ecclesie est positus in Burgo a mane dicte terre Herberie et ante postem ipsius terre: cui confinat de subtus fovea dicti Burgi, a mane molendinum sui edifitium molendini prefati comitis Antoni di Sacratus fra porta et canale ipsius molendini pro parte: da supera via in strata publica qua itur a porta dicte terre Herberie ad dictum molendinum: et a sero Mateus Rabitus et M. Iacopus Marangonus via publica qua itur a dicta porta ad Hospicia Ugulinus Malatacha, Iacobus Boxius di Marzaleis, Cristoforus Rabitus et Heredis Frabonus Iacobi de di Gaetani Maraschaldeis, suibis (quibis) p.te omnes cum give (?) constictuire conditionis abendi dicto Hospitale.
Item sed agius et fui (sui) diccidia pedagi et fondi navis situle transeuitatis per flumens situle predicte intra castellum Herberie pro dicte et fortilicium Marzaleurum per distruccionem et diruptionem pontis alias ibi supra dictum flumen situle constructi et edificati ad utilitatem dicti Hospitalis et idei rectum et ……. vocabulum Ecclesie dicti Hospitalis est et noncupat ad Ecclesia Sancta Maris in Capite Pontis: merito agitur (dimidia ?) dicti pedagi et fondi navis post dictam diruptionem et destructionem pontis capit dicto Hospitali ad substantalionem et hospitalitatem ……. ad ipsium Hospitalem habitantiam et hospitantiam laud Deo finem.
Sue ….. possessiones …..terrarum et
Da un catasto di Cesare Martelli del 1475 ove sono registrati i beni tutti spettanti a quell’ospedale, terre, case e casamenti.
Annotazione allo squarzetto del 1523 – filza 238 –
Bonfrancesco Arlotti fu fatto Vescovo di Reggio del 1479 – Panciroli pag. 60 – Vol. 2°
Dalla filza n° 122.
Del 1628 si incarica il medico di Rubiera alla cura dei soldati ammalati nell’Ospedale – Camillo Bevilacqua serviva al Podestà “per che fornisca li viveri medicamenti ed ogni altra cosa abbisognevole ai soldati infermi che per sicurezza si trovano nell’Ospedale”
Il pedaggio di Tresinaro era mantenuto dall’Ospedale.
Nota delle pietre, tavelle, coppi, e lambrecchie amministrate dalla fornace dell’Ospedale per la cura del campanone e Torre di questo Publico
1755.
Pietre e mattoni N° 17866
Tavelle N° 1250
Coppi N° 650
Lambrecchie N° 644
Nota delle famiglie miserabili e bisognevoli di soccorso data al Presidente Manzoni li 23 Aprile del 1752 anno di carestia.
1)- Antonio Gerati con moglie orba e quatro figli.
2)- Tommaso Nasi con moglie inferma ed un figlio.
3)- Gio. Lanzi con moglie gravida ed una figlia.
4)- La Giulia detta la Vedovetta poverissima.
5)- Gio. Rompianesi con moglie e due picoli figli.
6)- Paolo Nasi con moglie e due picoli figli.
7)- La povera vecchia Zaccheini (?) con due figle.
8)- Maria Giovanna Parmigiani detta la Perlimpina inferma.
9)- Salvator Grandi detto Bassa l’occhio con una figlia.
10)- La Ginepra Berti con due figlie pericolose
11)- Giacomo Prampolini vecchio inabile
12)- Antonina Ricchetti co due picole figlie e il marito vagabondo.
13)- La Vittoria Zanti
14)- Francesco Fiorini con moglie e due figli.
15)- Lazzaro Gambarelli
16)- Franco Franzoni con moglie e figlio.
17)- La povera Anna Manzini.
18)- La Giulia vedova detta la Moscardina
19)- La Domenica Pedroni detta del Casello
20)- La Giovanna Pedrini
21)- Antonio Ricchetti con moglie e due figli
Arciprete Don Antonio Vacondio
Esiste ancora una nota di Gian Antonio Pagliani dei poveri di Rubiera che nel 1752 ricevevano la elemosina del sabato dell’Ospedale- Il numero totale era di 81 individui
Del 1714 vi fu una moria di bestiame.
1759 – La limosina che si suol fare nella ricorrenza dell’anniversario dei morti non fu osservata che la consuetudine. I redditi si dovevano impiegare pro alimenti “at substentione et Hospitio Personarum Pauperum Christi”
Del 1625 fu fatta invisione contro i vagabondi che sotto pretesto di esser poveri passeggieri usurpavano quello che si doveva ai Pellegrini, “escludendo i ….magnani, spazzacamini ciabattini vagabondi, Bagatellieri, donne di malavita”
Tommaso Sacrati
Dalla Filza 128.
Da lettera di Francesco Sacrati del 15 Aprile 1765.
risulta che due furono i motivi che indussero il Duca alla soppressione dell’Ospedale: il primo che il Duca non voleva più pellegrini nel suo stato come gente vagabonda e di grande pericolo massima in un’aperta campagna; il secondo di erogare le rendite a vantaggio di quei poveri che sapeva essere più bisognosi, e non per sollevare l’ozioso popolo di Rubiera. I motivi addotti per autorizzare al soppressione dell’Ospedale non erano veri, 1°- perché non si ospitavano che quelli che esibivano le testimoniali di essere veri pellegrini, 2°- perché per più centinaia d’anni non si erano presentati inconvenienti e pericoli pel temere della situazione dell’ospedale in aperta campagna.3°-Perché ai giovani Pellegrini e non ai poveri comuni era destinato tale istituto come viene attestato dalla natura ed estensione degli edifici. 4°- Perché quantunque “dal sovrano per suoi rettissimi fini s’intenda di proibire il ricetto di pellegrini nel suddetto Ospedale, e non vi sia chi opporrà di proprio alle supreme sue determinazioni, non cambia però per questo che sia legitima e necessaria la conseguenza che negando per fatto del Principe il fine contemplato dal fondatore e strettamente incaricato al Seniore della famiglia di erogare cioè le destinate annue rendite in benefizio dei poveri pellegrini, rimanga tuttavia alla famiglia medesima il peso di convertire in altra elemosina, dovendosi quindi piuttosto dire che la volontà delli stessi fondatori sia stata quella che non potendosi per qualunque impedimento o causa impiegare detta rendita nell’uso ad essa loro precisamente determinato e preferito, rimanga estinta ogni ulteriore obligazione e devoluto liberamente al corso ad asse ereditaria dai fondatori lasciato alla loro famiglia”
Per tali espressioni mostrava di subire (la famiglia Sacrati) prepotentemente la determinazione sovrana ma di non contribuirvi con assenso volontario che negò fino all’ultimo.
Scipione Sacrati donava alla Confraternita della SS. Annunziata fondi per la erezione di quella Chiesa come da lapide marmorea che si conserva ancora.
ALMAE DEIPARAE VIRGINI
SCIPIO DE SACRATI
MARCHIO FERRARIENSIS
GENERE AC PIETATE CLARISSIMUS
AD HUJUSCE TEMPLI CONSTRUCTIONEM
DOMUM HIC FONDATAM DICANS
A.R.S.
A CONFRATIBUS EJUSDEM
H.M.
AETERNITATE COMENDATUR
MDCCXIII
A maggior ingrandimento del Pio luogo dell’Ospedale il Conte Rev. Mario Sacrati donava una vasca devote possessione in marmino a Rogito Pietro Monducci ai 4 agosto 1570 e il Cardinale ……. Conte Francesco Sacrati e Monsignor Vescovo di Comacchio e Nunzio Apostolico Conte Alfonso Sacrati donava ai 9 ottobre 1676 a Rogito Leonardo Lusuardi il corpo di S. Oliviero che venerato tuttora viene in una urna di marmo sotto l’altare maggiore di quella Chiesa, nella quale, scolpito in marmo e situato a fianco dell’altare Maggiore, esiste a onore di altro Monsignor Vescovo di Comacchio Ercole Sacrati la epigrafe del quale è
D.O.M.
CA. HERCOLIS SACRATI COMACCHIS EPISCOPI
HUJUS XCCELSO DEI RUBERIS PIETATE
IN PAUPERUS MULTISQUE VIRTUTIBUS
COSPIQUIS OPRA IN HUJUS TEMPLI
SACRACIO AN. VAL. MDXCI
QUI IN VISENDI LOCI GRATIA HUC ACCIPERAT
RECONDITA CUMILUS SCULPTICIES LAUDENSIS
CUSTOS IN HUNC COCUM TRANSPONI CURAVIT
AN. SAL. MDCXXIII
STATO ATTIVO PASSIVO DEI PP. CONVENTUALI DI RUBIERA ALL’ATTO DELLA SOPPRESSIONE DI QUEL CONVENTO
Dottori Wolfango Leporati e Geminiano Malatesta pei seguenti beni a rogito:
Gianozzi . 17 Ottobre 1768 £.5870
Onoranze “. 22,15
Scorte frumento fava bestiami
Pos.ne Casale Staja 36 – 4 – £. 750
Pos.ne Carrobio ” 16 – 2 – “. 465
Pos.ne Martello ” 16 – 3 – “. 480
Pos.ne Colombarola ” 9 – 2 “. 339
Pos.ne Serraglio ” 8 – 2 – “. 630
Capitale Frutti
£. 1030 al 7 per 100 contro Domenico Ferrari di Modena – Rogito Bernar-
dino Gallinari 1719 ai 2 gennaio £. 77,50
“. 7725 al 5% contro la Comunità di Modena – Rogito Manini 8 Luglio
1706 “. 386,50
“. 2000 al 5% contro il magistrato degli alloggi – Rogito Gaetano Barbieri
31 Luglio 1756 “. 100,60
“. 257,10 al 6% contro l’eredità Madalena Buosi – Rogito Dom. Mari 25
Febraio 1749 “. 15,90
“. 1600 al 5% Dot. Alessio Ruspagiari – Rogito Lodovico Mantovani 175 “. 80,00
“. 515 al 5% Comunità di Modena – Rogito Manini 25 Maggio 1712 “. 25,15
“. 650 al 5% Eredi Don Mario Barozzi – Rogito Dom. Mari 13 Novembre
1751 “. 32,10
“. 700 al 6% Gius. Fusari – Rogito Michele Corghi di Correggio 14 Mag-
gio 1755 “. 42,00
“. 257 al 5% Filippo Comuncoli e F.lli Viappiani – Rogito Nicolò Corbelli
1766 “. 15,90
“. 300 al 6% Rinaldo Mari – Rogito Tomaso Ferrari % Febraio 1766 “. 18,00
“. 400 al 6% Tenente Domenico Gibertini – Rogito Walter Hopper 1°
Settembre 1762 “. 24,00
“. 3605 al 6% Eredi Carlo Antonio Faini – Rogito Gallinari 24 Febraio
1728 “. 216,60
“. 5555 al 5% Comunità di Rubiera – Rogito Francesco Ferrari 16 Giugno
1761 “. 277,15
“. 1158 al 6% Annunziata erede Gio Raimondo Baracchi – Rogito Mari 7
Dicembre 1744 “. 69,10
“. 579,7 al 7% Camillo Ricchetti – Rogito Tomaso Ferrari 28 Gennaio
1766 ” 40,12
“. 257,1 al 6 1/2 % Ruggieri Antonio – Rogito suddetto 13 Novembre
1766.
Abbate Pier Francesco Bresciani £. 6
Livelli Passivi
Arcipretura di Rubiera per 1/2 Biolca di Terra £. 6,8.6
LEGATI PASSIVI MESSE
Cantate Lette Importo
Ippolito Tedeshi N° 141
Gasparino Zampagna N° 10
Giovanni Zanni N° 1
Giacopo Ruggerini N° 2
Costanzo Gatta N° 2
Lodovico Fontana N° 1
Catterina Martelli con messe dei PP N°. 1 3
Catterina Alberini N° 82
Spedito Tedeschi con messe dei PP. N° 1 3
Marcello Spinelli messe quotidiane N° 362______________
Somma N° 2 607 £. 922,10
FUNZIONI DI CHIESA
Spinelli Marcello £. 59,5
ELEMOSINE
Tedeschi Ippolito g. Bergamini £. 15,9
DISTRETTO
Stato Attivo
Affitti di terra £. 5876.0.0
Onoranze “. 22.15
Censi attivi “. 1436.5.0
Livelli attivi “. 6.0.0
TOTALE £. 7335.0.0
Stato passivo
Livelli passivi £. 8.6
Importo di Messe “. 922.10.0
Funzioni di Chiesa “. 59.5.0
Elemosine £. 15.90
TOTALE £: 997.12.4
REDDITO NETTO L. 6337.8
Soppresso il convento si eseguì ancora secondo il praticato la Festa di S.Marcello e la Compagnia dell’Opera Pia pagava £. Mod.si 59.5.
Dall’agente per l’Opera Pia Sig. Orazio Mescari furono mandati 94 quadri in tela carta e gesso spettanti al Convento all’Opera Pia di Modena.
Dopo la vendita al Sig. Greppi per Decreto Ministeriale fu abolita l’elemosina di £.40 mensili che l’Opera Pia Generale distribuiva ai poveri della terra di Rubiera a titolo d’elemosina arbitraria come pure abolì la messa quotidiana che si celebrava nella Chiesa dell’Ospedale di S.Antonio
In occasione dell’erezione della collegiata di Rubiera i Sig.ri Co. Sacrati donavano la considerevole somma di Mod.si £. 7230 delle quali se ne fa reminiscenza nelle costituzioni canonicali della detta Collegiata
“lettera pro missa perpetua in divi Ippoliti Martini solennis festivo pia offerenda pro domo amplissima de Sacrato at adstrictissime gratitudines nostre erga illus. D.n Comitem Ippolitum Sacratum piam ac immortale testimoniam extet, unda et revidiscat (Vividiscat ?) in nobis scient posteri, qua gentiuns familis nobilissime non vonscad gevonia ujus core xenodochis quod extra (muta nujovam vastum ???) caritatis insigne monumentum in publica utilitate et ingentem puntis Sacrate laudum …….. sigit ex magna parte Bullarum nostrorum expeditioni generosissime contabit”
Nel 1765 come da attestato del Sig. Giuseppe Sabbatini furono acquistati dal Dotti Dr. Francesco per l’ospedale tre quadri grandi , uno rappresentante il Figliolo Prodigo, altro S.Pietro animato da Cristo alla fede, altro la SS.ma Assunta quello dal Fu Sig. Giampiero Confetti. In più giuntò due Battaglie e due cosiddetti mercati di configurazione uguale, come pure due marinaresche e due boscherecce.
Il prezzo dei primi tre fu di £:150, li altri otto £:130 prezzo riputato onestissimo essendo tutti di buona mano, e valendo uno solo l’intero di tutti.
Dalla filza 128
Bilancio generale dell’amministrazione dell’ospedale juspatronato della Casa Sacrati, tenuto dal Sig. Presidente D. Franco Lotti dal 1° del 1764 a tutto il 20 marzo 1765.
ENTRATA
Affitti dei Beni nel 1764 £. 20600.0.0
Pradino di Casa “. 169.0.0
Orto “. 122.7.6
Ghiacciaia “. 35.0.0
Restituzione di Dazio “. 4.12.0
Somma £: 20930.19.6
Aumenti del Comune prezzo
Vino venduto £. 330.4.10
Farina “. 50.17.7
Frumentone “. 4.12.0
Somma £. 21332.15.3
Le spese per causa d’acquisto e delle
spese fatte nei giorni 76 ultimi aggiunti.
cresce e supera l’entrata per £. 3046.6.1
Entrata totale £. 24379.1.4
SPESA
Elemosina £. 436.9.0
Ufficiatura di Chiesa “. 835.7.8
Funerali della …….di M.Giulio “. 115.8.8
Censi passivi e livello ” 1712.11.2
Salariati in casa ” 2326.16.4
Provigionati fuori di casa ” 120.0.0
Pellegrini secolari N° 4153 “. 1524.14.4
Pellegrini religiosi N° 247
Operai “. 634.6.0
Foresteria nobile “. 147.0.8
Famiglia pane vino e companatico “. 4143.14.11
Malattie “. 136.2.0
Masserizie “. 4.1.8
Bucato “. 101.17.8
Carta da scrivere “. 32.14.8
Posta per lettere levate e francate “. 22.7.0
Bonificamenti in campagna “. 372.10.0
Risarcimenti nell’Ospedale “. 215.15.5
Risarcimenti di fabriche …..(respinta ?) “. 959.6.0
Liti e scritture “. 98.14.0
Mobili ed utensili “. 365.15.4
Guardarobba “. 314.17.2
Regalie “. 19,.0.8
Spese diverse “. 146.11.8
Scuderia di casa “. 517.1.9
Animali porcini “. 13.0.3
Colombara “. 259.17.7
Polleria “. 154.16.0
Salumi andati a male “. 23.8.0
Legna N° carra 16 “. 426.6.0
Fasci N° 6327 “. 243.0.4
Brusaglia stagi di zolfo “. 5.19.0
Candele N°65 “. 29.19.0
Estinzione di censi ” 7819.11.8
Somma totale £ 24379.1.4
CREDITI
Ronchetti eredi a tempo £. 2881.0.0
Lotti Sig. Presidente ” 1368.6.5
Mari Sig Rinaldo Copriore ” 8931.0.2
Paderni Mattia per vino ” 98.2.4
Cugini Sig. Carlo ” 58.10.0
Gazzotti Domenico per vino ” 39.7.4
Somma £.13376.0.5
RESTANTI
Frumento staja N° 18.6 £. 276.16.6
Farina libre 1245 ” 229.11.6
Frumentone staja N° 2 ” 14.8.0
Veccia Staja N° 6.6 ” 85.16.0
Semola ” N° 94 ” 7.1.8
Ghianda staja N° 121 ” 20.8.3
Salumi N°598 ” 383.14.9
Formaggio N° 98:8 ” 65.8.6
Olio oliva LT 140.6 ” 165.19.0
Olio di noce LT 32.11 ” 26.18.0
Pane tiere N°66 ” 30.0.0
Pesce salato mastelli N° 3 ” 49.3.8
Riso dep. 5 e fromento franto staja 4 ” 114.11.8
Zucchero N° 25 ” 35.0.0
Sapone N° 120 ” 112.18.2
Candele N° 17 ” 13.12.6
Serramenti in casa ” 36.14.6
Materiali in casa.pesco lambrecchia ” 15.7.4
Legnami in casa ” 201.7.10
Legnami presso Mazzi ” 78.5.6
Coppi presso Riva N° 100 ” 8.0.0
Fasci N° 8000 ” 333.6 8
Legna cassa N° 4 ” 120.0.0
Vino da famiglia q.li 190 – da vendere q.li 43,5 ” 1777.7.8
Cavalla £.366 – fieno dep. 50 ” 410.0.0
Tempolari due ” 33.0.0
Colombara piccioni paia 126 ” 60.0.0
Pollami ” 12.10.0
Favagliere nell’orto ” 212.17.3
TOTALE £.18356.15.1
DEBITI
Prati Giovanni per frutti di censo £. 247.10
Ferrari Rinaldo per ” 18.3.8
Riva Francesco per gesso ” 1.2.0
Roveri Sig. Medico per sue guarigioni ” 40.0.0
Galassi Sig. Franco per pagati di più ” 0.0.6
Somma £. 326.16.2
Di crediti montanti a £.18356.15.1
L’Ospedale che Dio preservi sia buono da
frutti di debiti £.18029.18.11
Dall’Ospedale suddetto – questo ai 10 Marzo 1765 Giambat.sta Wattonhoffer reggente.
(Nota) La suddetta va divisa in quattro colonne una delle entrate, una delle spese, una crediti e la quarta debiti.
Dalla filza 129
1691. Danni inferti dalle truppe Alemanne al Comune ed all’Ospedale di Rubiera.
Dalla filza 126 risulta che i beni dell’Ospedale compitavano nel 1765 poco prima della soppressione erano:
1° Possessione della Tagliata affitto £. 2050
2° Quella di Secchia in S. Donino di Liguria ” 1620
3° Quella di via di Po ” 1900
4° detta del Ponte Alto ” 2900
5° detta Marmirolo di mezzo ” 2700
6° detta di Tarabuso ” 1700
7° detta di Scarduino ” 2140
8° detta Marmirolo di fuori ” 2600
9° Prato dell’Ospedale ” 630
10° La fornace ” 60
11° Il passo di Secchia e le due case in uso di Osteria ” 2000
Totale £ 20300
Dalla filza 125.
1680. Si concedeva in tal anno il permesso oltre le due loggiature, una per i Padroni l’altra per gli Ecclesiastici di farne altre due una per al famiglia dell’ospedale l’altra pei pellegrini.
1647. Il Vescovo di Reggio riconosceva la reliquia del corpo di S.Oliviero e ne permette l’esposizione nella Chiesa dell’ospedale.
1646. Il Conte Alfonso Sacrati di Comacchio consegna all’economo Scandiani il corpo di S.Oliviero
1570. Testamento del Conte Pietro Maria Sacrati nel quale si lega all’ospedale di S.Maria la Possessione di Marmirolo.
1535. Il Vicario di Reggio Zoboli fa mandato al Cappellano di S.Faustino di porre la prima pietra nella Chiesa dell’Ospedale che sarà tenuta dalla Parrocchia di S.Faustino, non avendo ancora Fontana la sua Chiesa.
1531. 11Giugno fondazione dell’ospedale nuovo.
1533. 24 Maggio compimento e ultimazione della Chiesa
1535. 30 Giugno fondazione della Chiesa di S.Antonio. Il vescovo di Reggio ne aveva approvato la fonazione al 1° Maggio dell’anno stesso
Dalla Filza 124
1759. Viene ristretta la distribuzione dell’elemosina nel giorno dei morti a pro dei overi del territorio di Rubiera.
1720. Non si alloggiano i Pellegrini non provisti delle fedi di Sacri consegnate dalli deputati dei luoghi città o zone dove vanno pogiate (?).
17805. 14 Febraio Giacomo Cusellini Rettore di Fontana viene processionalmente col popolo di Fontana al Convento dei PP. di S.Francesco visita pure nel ritorno la Chiesa dell’Ospedale.
1765. L’Arciprete Maurizio Barozzi visita la Chiesa dell’Ospedale colla processione del secondo giorno delle Rogazioni.(Processioni che si fanno per tre giorni prima dell’Ascensione per implorare un buon raccolto)
Filza A N° 233
I rogiti e memorie di acquisti e di possessi cominciano dal 1605.
26- Testamento della Elisabetta Lazzani che lascia una somma perchè sia fabricato un oratorio in Corticella davanti il di lei casino sotto il titolo di Madonna del Carmine.
96 – 1701 ai 14 Aprile cessione fatta dalla Confraternita della Annunziata di Rubiera a PP. di loro Chiesa con beni azioni e ragioni coll’obbligo ai Padri di venire abitare in Rubiera.
100 – 10 Marzo accettazione fatta dalli PP. della cessione sopradetta col patto di ottenere la dispensa.
Filza B N° 234
106 – 1709 Ancora sulla cessione della Chiesa di ragione della Confraternita fatta ai PP. come nel 1701.
127 – 1719 Relazione del Vescovo di Reggio sopra la cessione da farsi dai PP. alla nuova Collegiata di Rubiera della loro Chiesa, avuta dalla Confraternita della Annunziata.
133 – 1722 Cessione fatta dai PP. alli Canonici di Rubiera della Chiesa dai PP. fabricata in Rubiera con orto e casetta già di ragione della Confraternita dell’Annunziata.
1712- 12 Marzo Sempre sulla cessione e sui rapporti della nuova Colle-
3 Giugno giata col Consorzio
29 Aprile
1718- Perizia della spesa del Convento da farsi in Rubiera.
1718 28 Agosto – Perizia della Chiesa fatta dai PP. in Rubiera
31 Ottobre- Altre perizie in proposito della Chiesa stessa.
28 Ottobre ” ” ” ” “
1718 19 Ottobre Capitoli di concessione fra i PP. e i Consorziali.
1719 19 Giugno Protesta dei Consorziali che non vogliono cedere la loro
Chiesa (a chi?)
1719 21 Gennaio Obblighi di Messe dei Consorziali di Rubiera
Idem 17 Luglio Il vescovo di Reggio visita la Chiesa dei PP. in Rubiera
31 Luglio Relazione del Vescovo su detta ispezione
1726 Convenzione dei Consorziali coi Canonici sopra il tras- porto della Collegiata nella Chiesa nuova dei PP:
1721 13 Marzo Lista delle spese occorse nella fabrica della Chiesa dei
PP. in Rubiera.
1722 17 Aprile Ultimazione della cessione suddetta.
16 Gennaio ” ” “
5 Ottobre ” ” “
15 Ottobre Informazione sopra la cessione fatta dai PP. ai Canonici
di Rubiera
1735 26 Marzo Danni inferti dai Francesi ai PP.
Filza C N° 235
N° 201 – 1623 ai 28 Aprile Bolla Pontificia che partecipa alla Confraternita della Conce
zione nella Chiesa dei PP. tutte le indulgenze.
N° 209 Carte sulla cessione da farsi dai PP. ai Canonici di loro Chiesa
N° 220 17 Agosto 1713. Stima del terreno occupato nella fabrica della Chiesa dei PP.
dè fratelli Pasti.
Filza D N° 236
Ordini, regolamenti, Bollo, intenti…………congregazione
Filza E N° 237
1622. 10 Aprile Fondazione della Confraternita dell’Immacolata Concezione
nella Chiesa dei PP.
235 al 244 – Della dipendenza dei PP. degli ordini, inventari, congregazioni censi e me-
morie sopra la imagine della B.V. nella Chiesa dei PP:
Mattia Missiroli scrisse la memoria dell’ospedale di Rubiera ai 19 Luglio 1704.
Filza N° 128
Relazioni sopra la fondazione dell’Ospedale.
1765 – Lettera dei Marchesi Sacrati al Seg.rio di Stato Abbate Felice Bianchi per l’aggregazione dell’Ospitale all’opera Pia dei Poveri di Modena
Filza N°118
Nulla di rilievo
Filza N°119
Raccolta di Inventari della Chiesa e Ospitale dal 1535 al 1762.
Filza N°120
Privilegi ed esenzioni della casa Sacrati.
Dal 18 al 25. Sui danni dati dalle truppe Sarde nel 1741 per alloggi all’Ospitale.
Filza N° 121
N° 5. Il Vescovo di Reggio può visitare la Chiesa dell’Ospitale e non l’Ospitale.
N°36. Genealogia della Casa Sacrati.
N°37.Alberi della famiglia di Francesco Sacrati.
N°41. Anno 1715. Delle Missioni fatte da Paolo Segnen il giovine.
3. Processione del SS. Sacramento in occasione delle Missioni 1712. 29 Settembre
44.Memoria della festa di S.Oliviero.
45. (1712) Erezione di una colonna nei prati dell’Ospedale verso Secchia in memoria d’esservi stato l’altare delle Missioni. Memoria di un ripostiglio nel pavimento della
Chiesa dell’Ospitale.
46. Liturgia della Chiesa dell’Ospitale.
47. Degli usi devoti dell’Ospedale.
48. Danni per la chiusura dei passi Secchia nel 1713 durante la guerra e per la secca
delle viti nel 1709
40. Redditi del passo di Secchia.
57 (1750) Alloggio della Confraternita di Pavia.
58. Orazione da recitarsi nella famiglia dell’Ospitale.
63. (1706) Convenzione coi passatori di Secchia.
79. Investitura dell’Ospedale di Nicolò d’Este
80. (1441) Investitura del Molino alla Corte fatta da Nicolò d’Este
90.
91. Sul malgoverno dell’Ospedale fatta dalla casa Sacrati dell’Ospedale (1763)
92.
Filza N°122
2 (1625) Previsioni pell’elemosina da darsi ai Pellegrini.
15 (1750) Sull’elemosina del dì dei morti.
23 (1753) Istrumento originale per l’acquisto dei beni dell’Ospedale.
24. Sull’aggregazione dello Spedale a quello di Modena.
25. Sullo stesso argomento.
26(1751) Non si alloggino che i soli poveri Pellegrini.
27. Religiosi alloggiati nell’Ospedale e capitoli di affittanza dei beni e roba dell’Ospe-
28. dale.
33. (1758) Fondazione , regolamenti e redditi dell’Ospedale.
34. (1759) Sull’elemosina dei morti.
57. (1738) Sul passo di Secchia.
59. (1752) Nota dei poveri ascritti all’elemosina del Sabbato fatta dall’Ospedale
60. (1751) Nota come sopra.
69. (1487) Convenzione fra la corte e la casa Sacrati sulla iniziazione.
76. (1577) Lettera pastorale sullo stesso argomento.
77. (1643) Soldati infermi allo Spedale.
89. (1648) Il medico comunale visita gli infermi dell’Ospedale.
101. (1636). Sull’usare l’acqua del canale di Carpi.
102. (1637). Sullo stesso argomento.
103. Ancora come sopra.
104. Istanza in proposito.
105. (1693) Nota della Biancheria dell’Ospedale.
108. Privilegi della casa Sacrati confirmati da Ercole I° a duca Rinaldo. (Stampa)
Filza N° 123
1°. 1453 – Nicolò d’Este vende i beni Boiardi ai Sacrati.
2 . 1453 – La Comunità ai 12 Marzo riconosce e conferma le esenzioni dei beni
suddetti.
8. 1459 – Beni posseduti da Francesco Sacrati nel territorio di Rubiera.
19. 1626 – Inventario dei beni stabili dell’0spedale
30. 1647 – libri della Comunità sulle terre dell’Ospedale.
51. Sommario sulle esenzioni dell’Ospedale.
52 Memorie di verga (?) sulle acque del canale.
53. Allegazioni reciproche fra l’Ospitale e la Comunità sui privilegi.
54. ” ” ” ” “
Filza N° 124
20. Il Rettore di Fontana visita la Chiesa dell’Ospedale
21 Raccomandazione dell’………….in favore dell’Ospedale.
36.1697 – Sul derivare acqua dal Secchia per uso d’irigazione e licenza
in proposito.
41. 1705 – Il Rettore di Fontana visita la Chiesa.
43. 1707 – Visita della Chiesa dell’Ospedale dalla processione delle rogazioni
di Rubiera.
55. 1720 – Si proibisca l’alloggio a chi manca delle fedi di
65. 1734 – proposta di riforma dell’Ospedale.
80. 1746 – Sui danni inferiti all’Ospedale dagli Austriaci.
86. 1750 – Si vorrebbe ridurre l’alloggio dei pellegrini ai pochi religiosi.
96. 1755 – Sull’alloggio dei pellegrini.
102.1758 – Sulla fondazione istituto e stato attivo e passivo dell’Ospedale.
109.Sulla limosina dei morti.
111. ” ” “
Filza N° 125
1°. 1453 – Garanzia della Comunità sui li privilegi dei Beni acquistati dai Sacrati di
di Nicola Leonello d’Este.
3. Vendita del Passo di Secchia fatta dai Rangoni all’Ospedale di Rubiera.
4. (quattro rogiti dal 1563 al 1572)
18. 1531 – Principio del nuovo Ospedale a Rogito Musiani di S.Martino.
1533 – Ricognizione del nuovo Ospedale.
1535 – Fondazione dell’oratorio
19. Idem
81. 1646 – Donazione del Vescovo di Comacchio del corpo di S.Oliviero alla Chiesa
dell’Ospedale
82. Consegna del corpo suddetto.
83. Ricognizione ed esposizione della reliquia.
98. 1682 – Due sepolture una per la famiglia l’altra per i pellegrini.
Filza N° 126
5. 1704 – Sulla irrigazione.
14. 1718 – Sulla irrigazione.
19. 1730 – Reliquia di S.Antonio
24. 1736 – Bolla di Clemente XII che accorda l’indulgenza plenaria nella Chiesa dello
Ospedale nel giorno di S.Anna
29. 1738 – Bolla di Clemente XII di indulgenza pel giorno della Natività di M.V.
41. 1745 – Bolla sul giorno di S.Antonio Abate
62. 1765 – Sulla Pedagna di Tresinara.come fosse a carico dell’Ospedale.
Filza N° 127
1°. 1477 – Catasto dei beni dello Ospedale (*)
3 . Libro delle investiture dal 1619 al 1720
5 . Dei morti nello Ospedale dal 1623 al 1765.
Filza N° 128
3°. Relazione sopra la fondazione dell’Ospedale
4°. 1761 Resoconto degli economi Marzari e Lotti
9°. 1765 ” ” ” “
6°. Lettera sull’aggregazione dell’ospedale all’opera Pia di Modena
11°. 1772 – Consegna al Conte Greppi del rogito Santagati sui beni dell’Ospedale
Filza N° 129
29°. Inventario dalla ……… o libri dell’Ospedale
(*) Esaminare attentamente quella descrizione e rilevare dalle Mappe seppure
esistono il posto, l’estensione e la definizione dei fabbricati che esistevano nelle
circostanze del paese. – Come pure studiare i rapporti del Convento e Chiesa col
Paese, i quali farebbero supporre che da quella parte vi fosse una porta che
mettesse il Paese stesso in comunicazione diretta coi Borghi che ivi esistevano.
Studiare nel catasto dei beni dell’Ospedale, le precise circostanze del Paese.
Forse poco dopo il 1450 epoca in cui fu desolata la terra da micidiale pestilenza, fu
eretta quella celletta e postavi quella Beata Imagine di Maria in memoria di tanta calamità. Poco dopo ruinava di nuovo forse per soverchia vecchiezza e fu in tale occasione che fu trasportata quella imagine, servendosi di quel materiale per ricostruirvi una modesta capelletta sul terreno acquistato a tale oggetto dal frate da Brisighella.
Il censo per vedere in che epoca e come derivavano al Comune di Rubiera le case di sua ragione e che possiede ancora; quando diventò dirittaria del livello del molino; forse quando cessarono i privilegi che la Comunità stessa esercitava sul canale, e ciò in conseguenza perduti diritti.
Da visitarsi:
1.L’archivio del demanio sulle cose riguardanti il Castello, le soppressione e le infeudazioni
2.L’archivio civile per i rogiti più antichi dei Notari Rubieresi.
3.L’archivio del catasto del censo per stabilire l’epoca di certi trapassi.
4.Alla Comunità per riscontrare gli appunti del sferum memorabilimus e le cose del 1512 in su.
Memoria per il sette del corrente 1862
1.Sentire dal Sig.Archivista del modo di conoscere lo Stato Attivo e Passivo del Convento dei MM. Conventuali all’atto della soppressione; conoscere il decreto e i titoli della soppressione stessa; come erogati quei beni all’opera Pia di Modena.
2.Vedere la filza 127 sulle cose dell’Ospedale di S.Antonio. Vedere da quel catasto se si trovano cose che chiariscano la distrettuazione territoriale, come purele circostanze del Paese. Se poi resta tempo esaminare le Filze 128 e129 – Vedere ancora se nel catasto sopra detto risulti memoria della porta di Rubiera dalla parte dell’Ospedale, se eravi memoria della Torre Fontana, e della celletta della B.V. di cui parla la memoria di Fra Lorenzo di Toscana.
Avvertenza- Come, quando, per qual decreto e in quali condizioni furono aggregati i beni dei Minori Conventuali all’opera Pia di Modena.
DELL’OSPEDALE E CHIESA DI S.MARIA DETTA DI CO’ DI PONTE
Nell’abbassamento di quel ridosso di terreno (la campagna ridotta a sodaglie e sterilumi – Terreni acquitrinosi e aliginosi. Impaludati dal soverchiare delle acque per mancanza di scoli) che esisteva e di cui restano tuttora degli avanzi nel fondo Naseria (?), interposto fra la strada di circonvallazione ed il Molino, si scopersero gli avanzi di una Chiesa con avelie mortuarie e fondamenti di annesso fabricato . Qualche reliquia o vestigia o traccia di muri testimoniavano il luogo dell’antico Ospedale e Chiesa di S.Maria di Cò di Ponte. In qual epoca fosse fondato quell’ospedale non abbiamo documenti che lo accertino; possiamo però con molta probabilità ritenerla anteriore al secolo XII sulla fine del quale cominciamo a trovare memorie – de Ospitali de Yrberia – dalle quali rilevasi stavano a custodia alcuni frati con a capo un Priore per aiuto e benefizio del Pellegrini.
(Per aiuto de Pellegrini fu fabbricato a testa di quel ponte un Ospizio di cui stavano a custodia alcuni frati. L’ospizio preesisteva al Ponte; e la Chiesa fu servita dapprima da un Priore, cui spettava l’ufficiatura della Chiesa, mentre i frati conservavano la custodia e servizio dell’Ospedale).
L’oggetto cui fin da quei tempi era destinato, cioè in servizio dei Pellegrini, fa preconoscere che la sua fondazione rimonti all’epoca in cui maggiore ferveva l’entusiasmo di pellegrinare ai luoghi santi e ai santuari che le paure del mille avevano moltiplicato senza (nemmeno) sovvenire ai bisogni di questi che per spirito di penitenza e in nome di Dio si commettevano a strade lunghe disastrose incognite, senza altro mezzo che un capello a larghe tese, il fanvoubretto o sanvoubretto (?) e il bordone per appoggiarvi il passo affaticato, mossero ben presto la pietà dei fedeli a sovvenire di alloggio, di vitto, di cura e di guida nei difficili transiti di fiume impervi e di monti pericolosi.
(A sviare e attutire le ire del sangue la Chiesa sempre vigile approfittò delle peregrinazioni a suggerire delle paure della fine del mondo. I pellegrini si ammettevano a miriadi sulle vie, di null’altro forniti che di fede. All’imprevidenza sopperiva l’ardore col quale sapevano superare i disagi, i patimenti e i pericoli di continue peregrinazioni attraverso lande, contrade sconosciute: a favorire tali peregrinazioni la Chiesa soccorse coi mezzi tutti che aveva in suo potere, erigendo Spedali e Conventi).
E forse in quel tempo sulla strada Emilia che attraversa il fiume secchia, e che congiunge (come principale) l’alta colla media Italia, dovè mostrarsi la necessità di stabilire una casa o mansione ove il povero pellegrino potesse alloggiare quando il fiume non permetteva il passaggio, o sostarvi nel guado a sicurezza di passaggio.
(Poste ai valichi aspri di pericoli, o a guadi di fiumi amplievoli e pericolosi)
A ciò dovevano essere in vita gli avvanzi del Ponte Romano, che trovammo esistere ancora ai tempi nostri. Ne molto dopo fu annessa una Chiesetta col titolo di S.Maria della quale troviamo memoria del 1259.
La Chiesa e l’Ospedale dovettero essere fondati e mantenuti dalla carità privata e pubblica e come porge indizio i lasciti fatti all’Ospitale e Chiesa in quei tempi. Pare però che ben presto i Bojardi ricchi e potenti vi acquistassero diritti o per dotazioni fatte o per arbitrio di prepotenza, perchè nel 1256 un Ugo da Rubiera contrastava la validità dell’elezione del Priore, fatta come di costume dal Capitolo della casa stessa. Troviamo di fatto che nel 1393 Selvatico Bojardi faceva legato di alcune terre a detto Ospedale già nel 1400 costituito in benefizio di cui ne era investito un suo consanguineo Pietro, che poco dopo passò Vescovo di Modena, Bonifacio IX lo concesse a Nicolò Bojardi, coi diritti tremporali quell’Ospedale e Chiesa. Troviamo di fatto nel 1425 che Piero Bojardi trasferisse a Nicolò I d’Este i diritti in ragioni che egli aveva su di esso: e nel 1433 Nicolò ne investì Francesco Sacrati: Investitura confermata nel 1433 stesso dal Vescovo di Reggio, poi da Papa Eugenio IV nel 1437. In sospeso pretese sull’ospedale che furono soppresse da Paolo II nel 1469 che dichiarò la Chiesa membro dell’Ospedale. Il Sacrati oltre ai molti benefizi e miglioramenti di cui fu luogo in sua vita, nel 1461 lasciò molte somme di denari, fabriche e mobigli a detto Ospedale.
(Fece il Francesco Sacrati lavorare alle volte del convento, lo ristaurò, e migliorò le case rusticali annesse, come apparisce da rogito – In cui si parla del maestri muratori).
Ma nel 1523 ricuperata Rubiera dalle armi Pontificie, Alfonso I fece abbattere l’Ospedale e la Chiesa e molte case loro spettanti. Restavano ancora non pochi beni, e nei Sacrati l’obbligo di provvedere ai poveri; benchè imperfettamente per qualche tempo soccorsero ai bisogni del passaggio del fiume come meglio per loro si poteva e nel 1531 riedificarono l’Ospedale dove ora si trova ove pure nel 1535 si eresse la Chiesetta sotto il titolo di S.Maria.
(Maestosa e snella Chiesa ornata da quattro Capelle. Le Capelle furono dipinte da Benvenuto da Garofalo. Alla fede dell’Economo era commessa la distribuzione delle elemosine. Eravi un Cappellano pel servizio religioso dell’Istituto. Un portinaro che teneva lista in apposita stanzetta degli ospiti passeggieri).
In tale epoca si fecero pure gli ordinamenti stabili sul governo di esso.
(E se ne fecero gli statuti sul governo, offrendo alloggio a quelli che arrivavano sulle terre, e pane e vino a quanti ne chiedevano: ai poveri del Paese una lemosina al sabbato di ogni settimana; nelle feste principali e nel giorno dei morti. In tempo di carestia e di pestilenze elemosine giornaliere in base di una nota dei più bisognosi di Rubiera era incaricato dapprima il Rettore poi Arciprete di Rubiera. Nella vigilia di Natale si dispensava ai poveri del Paese ortaglia a discrezione e negli anni d’abbondanza qualche pò di grasso e pane ancora).
Procedè sempre con publico benefizio e soddisfazione e nel 1639 l’Imperatrice Eleonora ne raccomandò al Duca le ragioni. Del 1625 si fa provizione per escludere dall’alloggio quelli che non vi avevano diritti e del 1648 l’Ospedale viene convertito in infermeria militare. 1712 missione, e del 1766 (o 68 come Tirab.) venne soppresso, aggregandone le entrate alle Opere Pie di Modena. Se quella situazione per il cambiare dè tempi non aveva più ragione di publica utilità; le ragioni di Stato consigliavano di erogarne a miglior scopo le entrate; non doveva essere dimenticato il benefizio che da secoli ne godeva il Paese di elemosine i poveri nei tempi ordinari e più nei tempi straordinari; il che serviva a riparare in parte i forti disastri cui era stato soggetto il Paese e suo territorio in benefizio ed utile delle case regnanti. Nel suo decreto di soppressione volle di fatto che fossero continuate quelle benefiche elemosine; ma eliminata la proprietà furono sospesi quei tenui assegni di elemosina di cui avevano goduto per secoli i poveri di Rubiera. Disconoscendo che il Femigenis faceva facoltà ai Patroni di contemplare in modo speciale quelli di Rubiera; e che quelle elemosine avevano servita anche ad utile del Sovrano riparando alle miserie e strettezze cui per guerre erano stati travagliati quei poveri Terrazzani.
Offeso fin dentro l’anima Francesco Sacrati dell’inaudita prepotenza del Duca che volle soppresso quell’Ospizio nulla ricompra, nulla levò di ciò che poteva levare ed era di sua ragione. Lasciò quadri di distinti pennelli, lasciò gli arredi della Chiesa di che ne era ricca; non toccò gli affreschi del Garofalo; lasciò perfino la tomba dei parenti, e il corpo di Sant’Oliviero. E sdegnato dignitosamente a perpetua protesta della patita non so se il dica ingiustizia o violenza, rifiutò quella somma di ricognitio, che nell’atto di soppressione il Duca gli aveva aggiudicato
DELL’OSPEDALE DI S.MARIA DI CO’ DI PONTE IN RUBIERA
1202 – Si trova memoria dell’Ospedale alla cui custodia stavano
alcuni frati, con a capo un Priore. Vedi Tiraboschi
1259 – Della Chiesa annessa allo spedale col titolo di S.Maria Vedi Tiraboschi
1374 – Troviamo il nome del Priore che governa in detta epoca
l’Ospedale Giuramento di fedeltà
1393 – Selvatico Sacrati fa legato di alcune terre a detto Spedale Vedi filza N°120
1400 – Bonifacio IX cambia in beneficio quel Priorato,e lo confe-
risce a Nicolò Boiardi; mentre prima era posseduto da
Pietro passato in allora Vescovo di Modena
1425 – Lo Spedale e la Chiesa per opzione fatta da Pietro Bojardi Vedi rogito di Paolo
che ne era possessore, passa a Nicolò III d’Este. Sarti – Vol.277
1433 – Nicolò investe la Famiglia Sacrati pei temporali diritti dello Vedi nella collezione
Ospedale e Chiesa dei rogiti della Casa
Sacrati.
1433 – Il Vescovo di Reggio ne investe la stessa Casa Sacrati in
quanto alle cose Sacre.
1437 – Il Papa Eugenio IV conferma detta investitura.
1438 – Il Conte Francesco Sacrati prende possesso formale a nome
della detta investitura.
1440 – Bugiano beneficiato dell’Oratorio di S.Maria avanzò pretesti
anche sullo Spedale.
1469 – Il Papa Paolo II soppresse quel Priore, e dichiarò con Bolla
l’Oratorio membro dello Spedale.
1461 – Francesco Sacrati lasciò molte somme di denari, fabriche e
mobiglio a detto Ospedale.
1525 – Ricuperata Rubiera dalle armi di Giulio II, Alfonso d’Este fece
abbattere l’Ospedale e la Chiesa e molte altre case conspettanti
1531 – Riedificazione della Spedale, terminato nel 1533 in cui succedè
la ricognizione ed inaugurazione.
1535 – Si riedifica la Chiesetta e si fanno ordinamenti stabili sul buon
governo dell’Ospedale e della Chiesa.
1639 – L’Imperatrice Eleonora raccomanda al Duca le ragioni dello
Ospedale.
1712 – Famosa Missione fatta in detta Chiesetta da Segneri il giovane.
1648 – Il Convento o meglio Ospedale è convertito in una infermeria
militare.
1625 – Si fa provvisione all’oggetto di escludere dal benefizio di alloggio
quelli che non vi avevano diritto.
1766 – Viene soppresso da Francesco III l’Ospedale e la Chiesa, e i
beni vengono aggregati a quelli dell’Opera Pia di Modena. Viene
però conservata per decreto Sovrano circa elemosina speciale
ai poveri di Rubiera. Ma questa dura poco perchè dopo la vendita
dei beni fatta alla Casa Greppi fu abolita, non si sa con quanta
Giustificazione. Sul quale proposito giova osservare che militavano
a favore dei poveri di Rubiera:
1° – Il decreto stesso di soppressione il quale in termini decisi e in questo nobili diceva
all’Art.lo III:
“Che si continui da essa Opera Pia Generale a contemplare con particolare carità a tenere nelle istituzioni dello Ospedale i poveri di Rubiera. Fornendoli distintamente partecipi dei sussidi nella conformità e secondo i piani da stabilirsi più precisamente in appresso con nostra approvazione”.
Nella istituzione di fatto del detto Ospedale i poveri di Rubiera godevano di una elemosina settimanale ordinaria, più di sussidi straordinari in tempi di penuria e di pestilenze. Benefizi fondati in fini di istituzione in cui si diceva … terzi genis quam alieniyenis …. La detta elemosina era durata fino alla soppressione non contestata, e quindi legittimata dal tempo.
2° – Perchè dopo la soppressione stessa in adempimento della clausola succitata, l’Opera Pia stessa sovvenne ai poveri di Rubiera di una somma mensile, tenue compenso di quanto avevano perduto, ma pure bastevole a testimoniare il sentito obbligo di continuare quella beneficenza cui avevano partecipato in lungo corso di secoli.
Sulla fine del 300 fu cambiato in benefizio il Priorato della Chiesa e Ospedale di S.Maria e venne conferito a Pietro Bojardi il quale passato a Vescovo di Modena ne fu poi investito Nicolò Bojardi con Bolla di Bonifacio IX nel 1400. Durante il Benifizio Bojardi questi lo dotarono di legati e di beni; che poi nella rinunzia dei loro beni nel 1423 fatta a Nicolò III° le cederono pure con ragionis. Piacque all’Estense di farne un jus patronato della casa Sacrati. Benchè solo per farvi memoria del 1262 pare molte ragioni conducono a credere che l’Ospizio esistesse anche prima perchè reggeva il suo bisogno quando per mancanza del ponte era più difficile il guado dal (ponte ???…) E forse data dal 1000 o in quel tempo quando il pellegrinaggio si fé numeroso e frequente come lo spirito presumeva l’oggetto cui era destinato cioè ospitare e ricoverare i viandanti. La concessione di un nuovo casale indica palesemente che il già posseduto non bastava ai bisogni o pei diritti che sopra il …. vi esercitavano i superiori; o per i guasti cui di frequente andava soggetto per le guerre combattute.
P.M:
Sulla soppressione dell’ospedale di S.ta Maria di Rubiera – Vedere dal Giusti se in quel suo codice esista il Rogito di fondazione e datazione della casa Sacrati, fatto dallo stesso del 1531.
Sulla soppressione del convento dei Serviti di Rubiera: vedere all’archivio comunale e dell’Opera Pia, quando e da chi operata (prima del 1772) come erogati i beni – fondi che gli spettavano, da chi istituito a quale oggetto.
Sulla infeudazione di S.Donnino e Borgo Raffano fatta da Francesco I° alla Nobil Casa del Conte Fontana nel 1630 – Vedi il Libro dei Registri, decreti.
Nel decreto di soppressione dell’ospedale si avrebbe nell’istituzione delle elemosine speciali un riguardo a Rubiera che da secoli partecipava alle beneficenze dell’ospedale stesso. Difatto aggregati quei beni all’Opera Pia di Modena fu assegnata una annua pensione a pro dei poveri, i quali benchè defraudati di quanto prima godevano, pure continuavano a percepire quella tenue elemosina come giusto compenso di quanto avevano perduto. Anche alienati i beni, stabili e ospedale stesso, alla Nobil Casa Greppi pure quella pensione continuò per qualche anno ancora, finchè non si sa a quale titolo fu d’un tratto levata trovando a pretesto che era a benefizio dei religiosi e non dei poveri terrieri. Ma pure nel decreto di soppressione si approvava che Rubiera dovesse godere di una singolare considerazione nella disposizione di quella beneficenza. Come anni più tardi per disposizione di un ministro si volle contraddire il disposto che quel decreto ….(foglio strappato)
FINE